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LA REPUBBLICA 39 MERCOLEDÌ 12 NOVEMBRE 2003 D IA R IO di n fenomeno che ha conosciuto varie fasi. La più recente risale alla seconda metà degli anni Ottanta e coincide con la crisi dei grandi partiti politici. Ma qual è oggi l’impatto del populismo, che è presente tanto a destra quanto a sinistra, e quali prospettive può avere nell’ambito delle democrazie sia europee e che americane? Ne discutiamo con alcuni studiosi della politica che all’argomento hanno dedicato vari saggi. POPULISMO è credere, o finge- re di credere, che “popolo” sia un “ismo”, e cioè un tutto unico, o un unico “animale”, da sud- dividere, al più, per medie e sondaggi: la pensa così il 30, così il 20, così il 10 per cento e così via. Populismo è rite- nere che una politica fondata, invece, sull’inaliena- bile valore della responsabilità di ciascuno sia fa- vola o illusione o utopia. Populismo è accondi- scendere al peggiore dei cattivi proverbi: che la vo- ce del popolo (e cioè, inutile dirlo, della “maggio- ranza”) sia la voce di Dio. Da cui ovviamente il corollario: che lo sia altrettanto la voce che a quella del popolo fa scimmiesca eco. Populistica è la politica che occulta la complessità dei problemi, o che li contrabbanda come l’effetto di complotti e sabotaggi da parte del “nemico” di turno; che asservisce all’idolo della “naturale bontà” dei nostri, individuali, appetiti, illudendo che il migliore dei mondi possibili nasca dal loro “libero” intreccio. Populismo è proprio questa confusione tra libertà e licenza, tra obbedienza e anarchia. Una vacua si- curezza nelle proprie ragioni che genera aggressi- vità, insicurezza, angoscia. MASSIMO CACCIARI POPULISMO. ANTONIO GNOLI U Intervista a Yves Mény/ Un fenomeno che nasce dalla crisi della politica «Se il populismo va al potere ci sono due strade: o si integra con il resto della vita democratica o falli- sce. L’esempio è Haider in Austria, il cui programma è segnato da una stridente contraddizione fra il di- scorso radicale e la pratica politica». C’è un crescente populismo me- diatico. Cosa ne pensa? «È un incontro fatale quello fra i grandi mezzi di comunicazione e il populismo. Per il semplice motivo che qui molto più forte si pone il problema della leadership e dei rapporti che intrattiene con la sua base. Però il fenomeno mediatico coinvolge anche le democrazie: i Clinton, i Blair, gli Chirac non sono certo digiuni di televisione e del modo di usarla». La leadership di Blair contiene una componente populista? «Blair ha indebolito il partito la- burista e accentuato la comunica- zione con la gente, e in tal senso la sua leadership contiene un ele- mento populista. Questo da un lato. Dall’altro Blair continua ad avere posizioni sufficientemente auto- nome dall’opinione pubblica, an- che sulla guerra irachena. Tuttavia il populismo in Inghilterra passa at- traverso la stampa popolare. Le de- cisioni di Blair sul conflitto irache- no sono state criticate dalle élites politiche, ma so- stenute da larga parte della stam- pa popolare». C’è il rischio di una telecrazia? «La televisio- ne è un mezzo di enorme potenzialità. De Gaulle fu tra i primi a comprenderne la forza. E attraverso questo mezzo in più di una occasione ha scavalcato i parti- ti per parlare direttamente al popo- lo. Oggi però il Generale sarebbe considerato un dilettante. Il punto vero non è tanto l’appello diretto del politico attraverso il mezzo. Il leader non ne ha bisogno. O almeno non più di tanto. È grazie alla pro- paganda che la televisione di oggi ha creato la vera deriva populista. Se un com- mentatore televisivo dice: il leader politico tal dei tali ha ricevuto una telefonata da Putin o da Bush o da Blair, si lascia intendere che quel leader ha una grande autorevolezza. Ma niente di più. Niente che spieghi che cosa si siano detti in quella te- lefonata, che conseguenze ha sulla vita politica. Capisce? Puro vuoto contenutistico. Propaganda senza vera informazione». L’altra faccia del leader è il popo- lo. Che idea ne ha? «Il popolo può fare molto, ma non può fare tutto. Il potere sponta- neo delle masse è un potere molto pericoloso, che è servito come pre- testo per tutte le dittature: sia di de- stra che di sinistra». C’ È QUALCOSA che negli ul- timi due decenni la politica ha conosciuto come feno- meno emergente prima e dilagante dopo: il populismo. Jean Marie Le Pen in Francia, Jörg Haider in Au- stria, Bossi e Berlusconi in Italia, per fare gli esempi mediaticamente più ricorrenti, hanno in qualche modo cambiato non tanto le regole ma la qualità della politica. Al punto da obbligare molti studiosi ad analiz- zare da punti di vista nuovi le so- cietà democratiche. Fra i primi a studiare il fenomeno Yves Mény che, insieme a Yves Surel, un paio di anni fa è uscito con un lavoro dedi- cato ai rapporti fra populismo e de- mocrazia (edizioni il Mulino). Gli studi più recenti sul populi- smo concordano sul fatto che è molto difficile trovare un accordo sul suo significato. Perché? «La difficoltà è dovuta al fatto che il populismo non è una ideologia, come il marxismo o il liberalismo. Non è facile da fissare concettual- mente una volta per tutte, ed è un fe- nomeno politico rintracciabile sia a destra che a sinistra». Un concetto trasversale? «In qualche modo sì. Un concet- to che muta a seconda dei contesti e delle situazioni in cui è calato». Ma se dovessimo dargli una pur vaga coloritura ideologica, che cosa potremmo dire? «Il populismo è l’ideologia del popolo. In que- sto non è diverso dalla democrazia. Ma con una diffe- renza di non poco conto. Il populi- smo emargina un elemento che è molto importante per la democra- zia: cioè la limitazione del potere e la difesa dello stato di diritto». Ma quale definizione potremmo dare oggi della democrazia? «Essa dà un ruolo di grande rilie- vo al popolo. Ma non si esaurisce in esso. Rispetto al popolo, c’è l’insie- me di procedure e regole che tutti, quindi anche il popolo, devono rispettare. Se l’80 per cento degli ita- liani o dei francesi o dei tedeschi vuole la pena di morte, non per que- sto è democratico ap- plicarla. La democra- zia negli anni ha sapu- to introdurre regole superiori di civiltà. Viceversa per il populismo esiste solo la voce del popolo, che tra l’altro è una voce spesso manipolata». Allude al modo in cui la leader- ship populista gestisce il suo rap- porto con la gente? «Nel populismo è frequente tro- vare un uomo che pretende di in- carnare le aspirazioni e le frustra- zioni di una parte del popolo. E que- sta pretesa assume una forma più o meno carismatica. Si tenga conto di un fatto: il carisma non è una dote intrinseca dell’individuo che di- venta capo, bensì è una relazione fra lui e il popolo». Una relazione di che natura? «Di complicità. Essa corrisponde ad attese più o meno nascoste e fa leva su sentimenti molto elementa- ri. I leader populisti in genere han- no soluzioni facili a problemi com- plicati». È questa la ragione del successo? «È una delle ragioni. In realtà il populismo è forte dove la struttura partitica è debole, o quando essa entra in crisi. Può sembrare cu- rioso, ma il populismo è quasi una costante negli Stati Uni- ti dove i partiti sono pure macchine elettorali per eleggere il presidente, e non hanno nessun’altra funzione di rilievo. In Francia sia nell’Otto- cento che nel Novecento si sono avute forti pulsioni populiste in re- lazione alla debolezza della politica ufficiale. Nell’Europa di oggi vedia- mo che all’Est risorge il populismo per l’evidente debolezza dei partiti. E a Ovest esso si è affermato per l’in- treccio troppo stretto fra partiti di governo e di opposizione». Lei insiste sul populismo come patologia della democrazia. Esi- stono esperienze populiste tan- genziali ai fenomeni autoritari e totalitari? «Non c’è dubbio. In realtà però, più che di populismo vero e pro- prio, si tratta in questi casi di una pura manipolazione delle masse, utilizzate per il sostegno o il raffor- zamento del potere. È difficile però ricondurre questi ultimi nell’alveo del populismo». Una parte del popu- lismo pretende di ri- condurre l’idea di po- polo all’idea di comu- nità. È un’operazione legittima? «Direi che è comple- tamente infondata. Le comunità cui si richia- ma il populismo sono del tutto inventate. Pretende di in- cludervi il popolo, e di tenere fuori alcuni elementi». Quali? «L’esclusione più evidente è la fi- gura dello straniero. Poi dal proget- to populista vengono escluse tutte quelle forze considerate ostili al po- polo: il capitale internazionale, la grande industria, le grandi banche. Il popolo cui fa riferimento è com- posto da gente umile, povera, fru- strata. Automaticamente ostile alle élites economiche, burocratiche, intellettuali, politiche». L’avversione alle élites non im- pedisce al populismo che va al po- tere di farne parte. Fra i vari libri ne segnaliamo alcuni particolarmente importanti. Intanto quello di Marco Tarchi L’Italia populista che uscirà il prossimo 21 novembre per le edizioni de il Mulino. Sempre il Mulino ha pubblicato lo studio di Yves Mény e Yves Surel su Populismo e democrazia. È di questi giorni L’illusione populista di Pierre-André Taguieff, edito da Bruno Mondadori. Infine uscirà nel gennaio del prossimo anno Atlante del populismo di Gui Hermet. LA RELAZIONE DI COMPLICITÀ TRA IL LEADER E IL POPOLO UN FENOMENO CHE SI TROVA SIA A DESTRA CHE A SINISTRA Il disegno è di Tullio Pericoli Un nuovo spettro si aggira per il mondo POPULISMO

2003-11-12 Populismo

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Page 1: 2003-11-12 Populismo

LA REPUBBLICA 39MERCOLEDÌ 12 NOVEMBRE 2003

DIARIOdi

n fenomenoche haconosciutovarie fasi. Lapiù recenterisale alla

seconda metà degli anniOttanta e coincide con lacrisi dei grandi partitipolitici. Ma qual è oggil’impatto del populismo,che è presente tanto adestra quanto a sinistra, equali prospettive puòavere nell’ambito delledemocrazie sia europeee che americane? Nediscutiamo con alcunistudiosi della politicache all’argomento hannodedicato vari saggi.

POPULISMO è credere, o finge-re di credere, che “popolo” sia un

“ismo”, e cioè un tutto unico, o un unico “animale”, da sud-dividere, al più, per medie e sondaggi: la pensa così il 30,così il 20, così il 10 per cento e così via. Populismo è rite-

nere che una politica fondata, invece, sull’inaliena-bile valore della responsabilità di ciascuno sia fa-vola o illusione o utopia. Populismo è accondi-scendere al peggiore dei cattivi proverbi: che la vo-ce del popolo (e cioè, inutile dirlo, della “maggio-

ranza”) sia la voce di Dio. Da cui ovviamente il corollario:che lo sia altrettanto la voce che a quella del popolo fascimmiesca eco. Populistica è la politica che occulta lacomplessità dei problemi, o che li contrabbanda comel’effetto di complotti e sabotaggi da parte del “nemico” diturno; che asservisce all’idolo della “naturale bontà” deinostri, individuali, appetiti, illudendo che il miglioredei mondi possibili nasca dal loro “libero” intreccio.Populismo è proprio questa confusione tra libertàe licenza, tra obbedienza e anarchia. Una vacua si-curezza nelle proprie ragioni che genera aggressi-vità, insicurezza, angoscia.

MASSIMO CACCIARI

POPULISMO.

ANTONIO GNOLI

U

Intervista a Yves Mény/ Un fenomeno che nasce dalla crisi della politica

«Se il populismo va al potere cisono due strade: o si integra con ilresto della vita democratica o falli-sce. L’esempio è Haider in Austria,il cui programma è segnato da unastridente contraddizione fra il di-scorso radicale e la pratica politica».

C’è un crescente populismo me-diatico. Cosa ne pensa?

«È un incontro fatale quello fra igrandi mezzi di comunicazione e ilpopulismo. Per il semplice motivoche qui molto più forte si pone ilproblema della leadership e deirapporti che intrattiene con la suabase. Però il fenomeno mediaticocoinvolge anche le democrazie: iClinton, i Blair, gli Chirac non sonocerto digiuni di televisione e delmodo di usarla».

La leadership di Blair contieneuna componente populista?

«Blair ha indebolito il partito la-burista e accentuato la comunica-zione con la gente, e in tal senso lasua leadership contiene un ele-mento populista. Questo da un lato.Dall’altro Blair continua ad avereposizioni sufficientemente auto-nome dall’opinione pubblica, an-che sulla guerra irachena. Tuttaviail populismo in Inghilterra passa at-traverso la stampa popolare. Le de-cisioni di Blair sul conflitto irache-no sono state criticate dalle élites

politiche, ma so-stenute da largaparte della stam-pa popolare».

C’è il rischio diuna telecrazia?

«La televisio-ne è un mezzo di

enorme potenzialità. De Gaulle futra i primi a comprenderne la forza.E attraverso questo mezzo in più diuna occasione ha scavalcato i parti-ti per parlare direttamente al popo-lo. Oggi però il Generale sarebbeconsiderato un dilettante. Il puntovero non è tanto l’appello direttodel politico attraverso il mezzo. Illeader non ne ha bisogno. O almenonon più di tanto. È grazie alla pro-paganda che la televisione di oggi

ha creato la vera derivapopulista. Se un com-mentatore televisivodice: il leader politicotal dei tali ha ricevutouna telefonata da Putino da Bush o da Blair, silascia intendere chequel leader ha unagrande autorevolezza.

Ma niente di più. Niente che spieghiche cosa si siano detti in quella te-lefonata, che conseguenze ha sullavita politica. Capisce? Puro vuotocontenutistico. Propaganda senzavera informazione».

L’altra faccia del leader è il popo-lo. Che idea ne ha?

«Il popolo può fare molto, manon può fare tutto. Il potere sponta-neo delle masse è un potere moltopericoloso, che è servito come pre-testo per tutte le dittature: sia di de-stra che di sinistra».

C’È QUALCOSA che negli ul-timi due decenni la politicaha conosciuto come feno-

meno emergente prima e dilagantedopo: il populismo. Jean Marie LePen in Francia, Jörg Haider in Au-stria, Bossi e Berlusconi in Italia, perfare gli esempi mediaticamente piùricorrenti, hanno in qualche modocambiato non tanto le regole ma laqualità della politica. Al punto daobbligare molti studiosi ad analiz-zare da punti di vista nuovi le so-cietà democratiche. Fra i primi astudiare il fenomeno Yves Ményche, insieme a Yves Surel, un paio dianni fa è uscito con un lavoro dedi-cato ai rapporti fra populismo e de-mocrazia (edizioni il Mulino).

Gli studi più recenti sul populi-smo concordano sul fatto che èmolto difficile trovare un accordosul suo significato. Perché?

«La difficoltà è dovuta al fatto cheil populismo non è una ideologia,come il marxismo o il liberalismo.Non è facile da fissare concettual-mente una volta per tutte, ed è un fe-nomeno politico rintracciabile sia adestra che a sinistra».

Un concetto trasversale?«In qualche modo sì. Un concet-

to che muta a seconda dei contesti edelle situazioni in cui è calato».

Ma se dovessimo dargli una purvaga colorituraideologica, checosa potremmodire?

«Il populismoè l’ideologia delpopolo. In que-sto non è diversodalla democrazia. Ma con una diffe-renza di non poco conto. Il populi-smo emargina un elemento che èmolto importante per la democra-zia: cioè la limitazione del potere ela difesa dello stato di diritto».

Ma quale definizione potremmodare oggi della democrazia?

«Essa dà un ruolo di grande rilie-vo al popolo. Ma non si esaurisce inesso. Rispetto al popolo, c’è l’insie-me di procedure e regole che tutti,quindi anche il popolo,devono rispettare. Sel’80 per cento degli ita-liani o dei francesi o deitedeschi vuole la penadi morte, non per que-sto è democratico ap-plicarla. La democra-zia negli anni ha sapu-to introdurre regolesuperiori di civiltà. Viceversa per ilpopulismo esiste solo la voce delpopolo, che tra l’altro è una vocespesso manipolata».

Allude al modo in cui la leader-ship populista gestisce il suo rap-porto con la gente?

«Nel populismo è frequente tro-vare un uomo che pretende di in-carnare le aspirazioni e le frustra-zioni di una parte del popolo. E que-sta pretesa assume una forma più omeno carismatica. Si tenga conto diun fatto: il carisma non è una dote

intrinseca dell’individuo che di-venta capo, bensì è una relazionefra lui e il popolo».

Una relazione di che natura?«Di complicità. Essa corrisponde

ad attese più o meno nascoste e faleva su sentimenti molto elementa-ri. I leader populisti in genere han-no soluzioni facili a problemi com-

plicati».È questa la ragione

del successo?«È una delle ragioni.

In realtà il populismo èforte dove la strutturapartitica è debole, oquando essa entra incrisi. Può sembrare cu-rioso, ma il populismo

è quasi una costante negli Stati Uni-ti dove i partiti sono pure macchineelettorali per eleggere il presidente,e non hanno nessun’altra funzionedi rilievo. In Francia sia nell’Otto-cento che nel Novecento si sonoavute forti pulsioni populiste in re-lazione alla debolezza della politicaufficiale. Nell’Europa di oggi vedia-mo che all’Est risorge il populismoper l’evidente debolezza dei partiti.E a Ovest esso si è affermato per l’in-treccio troppo stretto fra partiti digoverno e di opposizione».

Lei insiste sul populismo comepatologia della democrazia. Esi-stono esperienze populiste tan-genziali ai fenomeni autoritari e

totalitari?«Non c’è dubbio. In realtà però,

più che di populismo vero e pro-prio, si tratta in questi casi di unapura manipolazione delle masse,utilizzate per il sostegno o il raffor-zamento del potere. È difficile peròricondurre questi ultimi nell’alveodel populismo».

Una parte del popu-lismo pretende di ri-condurre l’idea di po-polo all’idea di comu-nità. È un’operazionelegittima?

«Direi che è comple-tamente infondata. Lecomunità cui si richia-ma il populismo sonodel tutto inventate. Pretende di in-cludervi il popolo, e di tenere fuorialcuni elementi».

Quali?«L’esclusione più evidente è la fi-

gura dello straniero. Poi dal proget-to populista vengono escluse tuttequelle forze considerate ostili al po-polo: il capitale internazionale, lagrande industria, le grandi banche.Il popolo cui fa riferimento è com-posto da gente umile, povera, fru-strata. Automaticamente ostile alleélites economiche, burocratiche,intellettuali, politiche».

L’avversione alle élites non im-pedisce al populismo che va al po-tere di farne parte.

Fra i vari libri nesegnaliamo alcuniparticolarmenteimportanti. Intanto quellodi Marco Tarchi L’Italiapopulista che uscirà ilprossimo 21 novembreper le edizioni de ilMulino. Sempre ilMulino ha pubblicato lostudio di Yves Mény eYves Surel su Populismoe democrazia. È di questi giorniL’illusione populista diPierre-André Taguieff,edito da BrunoMondadori. Infine uscirànel gennaio del prossimoanno Atlante delpopulismo di Gui Hermet.

LA RELAZIONEDI COMPLICITÀTRA IL LEADERE IL POPOLO

UN FENOMENOCHE SI TROVASIA A DESTRACHE A SINISTRA

Il disegnoè di TullioPericoli

Un nuovo spettro si aggira per il mondoPOPULISMO

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40 LA REPUBBLICA MERCOLEDÌ 12 NOVEMBRE 2003D I A R I O

MOLTI SEGUACINESSUN MAESTRO

LA STORIA DI UN FENOMENO CHE OGGI È IN PIENA ESPANSIONE

MARCO TARCHI

Quando ieri a Valle Giuliaavete fatto a botte / coipoliziotti, / io simpatizzavocoi poliziotti! / Perché ipoliziotti sono figli di poveri.Vengono da periferie,contadine o urbane / che siano./ (…)(…) e voi, amici (benché dalla/ parte / della ragione) eravate iricchi, mentre i poliziotti (cheerano dalle / del torto ) erano ipoveri. Il Pci ai giovani(1968)

PIER PAOLO PASOLINI

MOLTI padri, interpreti eseguaci, nessun mae-stro. Sebbene si indugi

ancora a negargli lo status di teo-ria politica a pieno titolo, il po-pulismo ha dietro di sé una sto-ria lunga e multiforme. La sua vi-sione del mondo che fa della vo-lontà del popolo, rappresentatocome se fosse un aggregato so-ciale omogeneo, depositarioesclusivo dei valori positivi, iltermine costante di riferimentoe la fonte principale d’ispirazio-ne per i comportamenti degli in-dividui, sin da fine Ottocento si èpresentata sulla scena di varipaesi, declinandosi in formespecifiche ad ogni contesto. L’e-sordio avvenne nella Russia neinarodniki, giovani intellettualiurbani che migrarono nellecampagne per trovare nella pu-rezza della vitarurale il ce-mento rigene-ratore di unospirito popola-re autenticoestintosi a Mo-sca o a San Pie-troburgo. Po-chi anni doponegli Usa la na-scita del Peo-ple’s Party ri-produsse lostereotipo del-la naturaleonestà conta-dina minaccia-ta dalla proter-via dei parassitidel governo diWashington.Da allora in poila mentalitàpopulista, divi-sa tra il rifiutodella politica dip r o f e s s i o n e ,unito alla richiesta di affidare al-la gente comune la gestione deipropri affari, e la tentazione diaffidare l’espressione della pro-pria voce a un uomo forte, unoutsider venuto dal basso, si èdiffusa a macchia d’olio, anchese tramite una continua alter-nanza di ondate di piena e sec-che.

Al primo populismo agrarione è seguito negli anni fra le dueguerre mondiali un secondo,politico ed economico, che hacelebrato i suoi fasti soprattuttoin America Latina con Eva e JuanDomingo Peron, Getulio Vargase i molti sodali e imitatori, impe-gnati nell’incorporare le massedei rispettivi paesi in uno sforzodi modernizzazione che noncancellasse il radicamento nelletradizioni locali ma ne proiet-tasse i capisaldi in un contestodinamico. Sin da allora la letturaschematica e manichea dellarealtà che caratterizza questamentalità ha esercitato una im-portante funzione di sintesi,globale e cicatrizzante, comel’ha ben definita Ludovico Inci-sa di Camerana, che ha permes-so ai suoi sostenitori di rimuove-re il peso dei conflitti di interessisulla politica o di attribuirne l’e-sistenza alla colpevole incapa-cità di classi dirigenti oligarchi-che corrotte oppure all’interfe-renza di soggetti esterni ostili.

Ciò spiega perché il populi-smo abbia trovato proseliti a de-stra come a sinistra nella varie-gata coorte dei caudillos impe-gnati a liberare le proprie nazio-ni dal peso della dipendenza dai

poteri economici locali e inter-nazionali, presentandosi comeuno schema di azione buonotanto per conservatori “illumi-nati” quanto per militari pro-gressisti.

Ciò spiega perché la contrap-posizione tra il “buon” popolo ele egoistiche élite che ne sfrutta-no l’ingenuità e la capacità di sa-crificio, accompagnata dalladiffusione di una oleografia nel-la quale predomina la figura diuno o più capri espiatori, gliagenti “antipopolari” che sareb-bero alle radici dei mali di cuisoffre la comunità nazionale, hafatto proseliti in molte aree delmondo pur senza mai trovareinterpreti dottrinari capaci didar corpo a qualcosa di assimi-labile a un’ideologia. Gli esperi-menti populisti, contraddistinti

da un comples-so di atteggia-menti e con-vinzioni con-vergenti, si so-no moltiplicati.In Africa nell’e-ra postcolonia-le seguita al tra-monto dell’il-lusione di unindolore tra-pianto delleistituzioni de-mocratiche oc-cidentali. InAsia sotto for-ma di dittaturee di sviluppo.Ma anche negliUsa, dove unsottile filo ros-so ha collegatola retorica e lostile di uominicome HueyLong, il gover-natore della

Louisiana degli anni Trenta uc-ciso da un attentato mentre lasua sfida al Big Government ec-citava gli animi di molti seguaci,di George Wallace, il governato-re dell’Alabama che sfidò alla fi-ne degli anni Sessanta democra-tici e repubblicani incassando asua volta le pallottole di un con-testatore, e del più pragmatico etecnologico Ross Perot, avver-sario di Clinton e Bush senior.

Grazie all’elasticità dei riferi-menti ideali e ai connotati emo-tivi dello stile comunicativo,che ha il vantaggio di offrire so-luzioni apparentemente sem-plici ai problemi di individui egruppi che vivono con incertez-za e paura la crescita dei conflit-ti sociali nei paesi più sviluppa-ti, il populismo si è infine diffu-so anche in Europa. In una ver-sione spuria, gravata da uno sta-talismo estraneo al suo codicegenetico, il primo a importarlo èstato il fascismo, ma solo dopo il1945 le sue stigmate antipoliti-che si sono impresse nel vec-chio continente in modo auto-nomo. Copiato nello stile a de-stra e a sinistra, le sue manife-stazioni originali si sono con-servate nella sostanza in feno-meni come il qualunquismo e ilpoujadismo e hanno preso vi-gore negli anni Settanta con lacrisi delle politiche conservatri-ci e socialdemocratiche inScandinavia (i Partiti del pro-gresso degli anni Settanta), di-ventando in seguito una formu-la di relativo successo che stacontagiando un intero conti-nente.

Ascolta: stiamo preparandouno spettacolo in onore delPresidente, uno spettacolo digala (…) Penso che perl’occasione dovresti creare unballet, con l’aiuto di unmusicista, che abbia per temala felicità popolare di avereGetúlio Vargas comepresidente. Una cosa magica,una cosa sensazionale. Ho giàparlato con il compositoreCidade, è d’accordo…Agonia della notte(1954)

JORGE AMADO

Eva Peron

I LIBRI

MARCO

TARCHI

L’Italiapopulista. Dalqualunquismoai girotondi.Il Mulino (in uscita nei prossimigiorni)

GUY

HERMET

Atlante delpopulismo.BollatiBoringhieri.Uscirà agennaio

PIERRE-

ANDRÉ

TAGUIEFF

L’illusionepopulista.BrunoMondadori2003

YVES MÉNY

YVES

SUREL

Populismo edemocrazia.Il Mulino 2001

GUSTAVE

LE BON

La psicologiadelle folle.Longanesi1996 (ult.ed.)

FRANCO

VENTURI

Il populismorusso. Einaudi1979 (ult.ed.)

NICOLA

MATTEUCCI

Dalpopulismo alcompromessostorico.Edizioni dellaVoce 1976

LUDOVICO

INCISA DI

CAMERANA

Caudillos.Biografiadi uncontinente.Corbaccio1994

EVA PERON

La ragionedella mia vita.Bocca, 1953

PAOLO

FLORES

D’ARCAIS

Il populismoitaliano daCraxi aBerlusconi.Donzelli 1996

La sua visione delmondo fa del popolo ildepositario esclusivo

dei valori positivi

San Francisco

La ricchezza personale; la potenza di Hollywood; ilmatrimonio con una Kennedy. Nonostante questiprivilegi da enfant gaté del villaggio globale di

McLuhan, Arnold Schwarzenegger è riuscito a compiereun miracolo. Ha stravinto le elezioni di governatore dellaCalifornia il 7 ottobre perché ha imposto la sua sceneg-giatura: la battaglia di un “outsider” venuto dalla societàcivile (lui), contro “l’establishment”, il vecchio ceto poli-tico rappresentato dal governatore democratico GrayDavis. Pur essendo sposato con una delle più note an-chorwomen televisive d’America, ha rifiutato legittimitàai mass media tradizionali, anch’essi «establishment», eper di più liberal, cioè di sinistra.

Il Terminator ha già scritto una nuova pagina nella sto-ria antica del populismo. Conquistando lo Stato più sofi-sticato e anticonformista degli Usa, quella California che

da mezzo secolo è il laboratorio d’incubazione di nuovetendenze politiche, economiche e culturali, la star cine-matografica di origine austriaca è diventata l’esponentedi un neopopulismo della West Coast che non ha bisognodella tracotanza di un Umberto Bossi, anzi si denuda diogni ideologia aggressiva. Verde con i Verdi, tollerantecon i gay, come si conviene per essere accettabili in que-sta parte del mondo. Agli antipodi da Jean Marie Le Pen,quello di Schwarzenegger è un «estremismo di centro»che non se la prende con gli immigrati: come nemico gli

SCHWARZENEGGERIL CINEPOPULISTA

FEDERICO RAMPINI

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LA REPUBBLICA 41MERCOLEDÌ 12 NOVEMBRE 2003 D I A R I O

(segue dalla prima pagina)

LA FIGURA del politico che siserve della persuasione ra-zionale per raggiungere i

suoi fini viene sostituita da quel-la dell’artista che plasma il mate-riale umano a sua immagine e so-miglianza o dell’ipnotizzatore,capace di far partecipare gli sve-gli a un sogno comune, di inseri-re le loro emozioni e idee entro loschema di ideologie dominate dauna logica dell’inverosimile edell’irreale che fa aggio sulla logi-ca della realtà. Coadiuvato dauno stuolo d’esperti (o addirittu-ra da un Ministero della propa-ganda), il demagogo, trascinato-re di folle, si trasforma in psica-gogo, abile nel penetrare dentrol’anima e le motivazioni del “po-polo”, così datrasformarlo incomparsa chesi crede prota-gonista.

Com’è muta-to il populismooggi? Per com-prenderlo, oc-corre partire daun evento di cuinon ci siamoquasi accorti.Della cadutadel muro di Ber-lino si è parlatomolto; poco onulla della ca-duta delle pare-ti domestiche,provocata dallatelevisione cheha fatto entrarela politica in ca-sa, infrangendoquel diafram-ma che — real-mente e simbo-licamente — separava lo spaziopubblico da quello privato. La so-glia di casa non costituisce più uninvalicabile confine fra due mon-di separati, un limite dinanzi alquale si arrestava persino il pote-re assoluto del sovrano di Hob-bes. Si produce una nuova formadi politicizzazione, che coinvol-ge progressivamente figure pertradizione più legate più alla di-mensione concava della famigliache non alla dimensione conves-sa della politica. Attraverso la ra-dio, i “regimi totalitari di massa”– com’è accaduto in Italia con ilfascismo — avevano già comin-ciato a stanare le donne, i bambi-ni e i ceti che non si erano mai in-teressati della vita pubblica dallasfera privata, trasformarli in“massaie rurali”, “giovani italia-ne”, «figli della lupa» o “balilla”.

Ora tale metamorfosi della po-litica ha luogo, in modo più effi-cace ma meno visibile, per mez-zo della televisione, che generaun consenso “forzato”, non per-ché strappato con la violenza, maperché conseguito mediante unaforzatura, allo stesso modo in cuis’inducono gli ortaggi a una cre-scita accelerata in serra. Tale ser-ra, in cui il consenso viene popu-listicamente drogato, è oggi rap-presentata dalla casa.

Dopo i bambini, gli anziani,specie le “nonne, mamme e zie”sono i più esposti agli effetti dellatelevisione, ma, ovviamente,non i soli. Certo, essi costituisco-no non solo una riserva di voti fi-nora trascurata, ma anche lapunta emergente di una nume-rosa quantità di cittadini chespesso hanno allentato o perdu-

to quelle relazioni domestiche,interpersonali e politiche allequali una volta s’intrecciava l’e-sistenza individuale: la famigliaallargata dove più generazioniconvivevano sotto lo stesso tetto,la comunità di vicinato o di fab-brica, le riunioni in parrocchia,gli incontri nelle case del popoloe nelle sezioni di partito. Si trattadi soggetti che non hanno, per lopiù, rapporto con la politica mili-tante, che assorbono e valutanola vita politica soprattutto attra-verso le immagini e i discorsi del-la televisione. E si tratta, per lopiù, di una politica a basso costodi partecipazione, che si può ela-borare in poltrona e che non ri-chiede defatiganti riunioni, sfila-te e comizi.

Decine di milioni di cittadiniadulti e attivi,uomini e don-ne, sono tutta-via egualmentecatturati dallapolitica ‘addo-mesticata’, nelduplice sensodi una politicaintrodotta nellacasa e di unapolitica adatta-ta allo stile e allemodalità deicomportamen-ti, delle aspetta-tive, delle pauree dei litigi do-mestici . Perquesto, i prota-gonisti dellalotta politica sicaricano dellevalenze (di sim-patia o di anti-patia, di ‘tifo’pro e contro)che circondano

gli altri eroi dello schermo, daiconduttori di talk shows e di quizagli attori del cinema e ai perso-naggi delle telenovelas.

Dobbiamo ipotizzare che taliforme di populismo evolvanoverso eventuali regimi videocra-tici soft? Sebbene le democraziesiano dotate di robusti anticorpi,un rischio remoto non è da esclu-dere. Il potere assunto dalla tele-visione è, tuttavia, più l’effetto diun disagio sociale che una causadi pericolo. La democrazia appa-re, infatti, sempre più minaccia-ta dalla scarsità di risorse da ridi-stribuire, sia materiali che sim-boliche. Il loro prosciugarsi —entro un orizzonte d’aspettativesociali decrescenti — viene sur-rogato da un pathos ipercom-pensativo di partecipazione mi-metica alla vita pubblica, daun’inflazione di sceneggiature,psicodrammi e messaggi politicisopra le righe. Azzarderei per-tanto l’ipotesi secondo cui gli ele-menti spettacolari tendono, inquesto caso, a crescere in pro-porzione diretta all’aumentodelle difficoltà da superare. Sipossono cioè considerare gli in-gredienti di teatralità fine a sestessi, puramente emotivi, inparte come sostituti di azioni ef-ficaci e, in parte, come pubblicicerimoniali propiziatori. Certo,nessuna politica si riduce a tea-tralità, per quanto non si riesca afarne a meno. Il populismo è ne-fasto proprio perché la politica a‘uso esterno’ prevale sulla solu-zione coraggiosa dei problemi.Ma quale politico è disposto a fa-re a meno di un consenso più fa-cilmente acquisibile?

LA SOTTILE ARTE

DI TRASCINARE LE FOLLE

UN MODELLO DI POLITICA SUGGERITO DA GUSTAVE LE BON NEL 1895

REMO BODEI

(…) il discorso è questo, chenoi non andremo verso ilpopolo. Perché già siamopopolo e tutto il resto èinesistente. Andremo se maiverso l’uomo. Perché questoè l’ostacolo, la crosta darompere: la solitudinedell’uomo - di noi e deglialtri. La nuova leggenda, ilnuovo stile sta tutto qui. E,con questo, la nostra(felicità).La letteratura americana e altrisaggi (1953)

CESARE PAVESE

Tutti i cattivi auspici sicompiono in quell’anno.Muoiono mio padre e ilGenerale Peron. Buoni ocattivi, quegli uomini mitengono ancora sulla corda.Dal fondo dei tempi mio padremi saluta dalla porta di casasua, con la vestaglia logora,mentre il Generale ascolta perl’ultima volta quella musicameravigliosa che è la voce delsuo popoloPirati, fantasmi e dinosauri(1996)

OSVALDO SORIANO

Benito Mussolini

EVITAStoriamusicaledell’exstellina della radioEva Duarteche diventala moglie delcolonnellodittatoreJuan Perone poi la santa deidescami-sadosargentiniDi AlanParker (1996)

VIVAZAPATA! Biografia diEmilianoZapata, ilrivoluzionarioche per unbreveperiododiventòpresidentedel MessicoDi EliaKazan (1952)

METELLOIl muratoreMetelloSalanipartecipaal nascentemovimentosocialista. Di MauroBolognini(1970)

LA FOLLARitrattodell’uomocomune inAmerica chesi avvicinaalla crisidel’29 Di KingVidor (1928)

MIRACOLOA MILANONellaperiferiamilaneseunacomunità dibarboniscopre ilpetrolionell’area cheoccupano,cacciatidalla poliziasaliranno ilcielo sullescope deglispazzini Di VittorioDe Sica(1951)

I FILM

Nel suo trattato dipsicologia c’è l’idea

che le masse non sannodirigere la propria vita

basta «la politica», esserne a digiuno è un titolo di merito.Soprattutto se a questa conclamata estraneità dal cetopolitico-amministrativo (che il Terminator in realtà fre-quenta intimamente da due decenni) si aggiunge un al-tro professionismo: quello della società dello spettacolo,dell’entertainment, della manipolazione dei simboliconsumati dall’immaginario popolare. E’ una forma diberlusconismo light, senza conflitto d’interessi e senzaproprietà dei media, senza scheletri negli armadi e senzaconti da regolare con la magistratura. Ha portato a vota-

re quelle generazioni X e Y, ventenni e trentenni, che era-no scomparse dalla mappa elettorale americana.

Del vecchio populismo Schwarzenegger ha conserva-to la ricerca di scorciatoie, il rifiuto dei vincoli, la fuga dal-la realtà. Di fronte a un deficit californiano (38 miliardi didollari) provocato dall’effetto combinato della crisi eco-nomica e delle basse aliquote fiscali, Schwarzenegger hacontinuato a spargere l’illusione che si possano risanarei conti riducendo le imposte e senza tagli alle spese pub-bliche essenziali (scuola, università). Chi gli ha dato fidu-cia sarà presto risvegliato da questi sogni. Ma come sem-pre il populismo nasce da una disfatta della politica. Il si-sma Schwarzenegger è stato possibile perché prima di luiun governatore democratico ha scelto di seminare le stes-se illusioni. Nella gara degli effetti speciali da illusionisti,non poteva che vincere il vero professionista, l’attore ad-destrato nella capitale mondiale dello show-business.

Page 4: 2003-11-12 Populismo

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Fondatore Eugenio Scalfari Direttore Ezio Mauro

Anno 28 - Numero 266 € 0,90 in Italia (con “BUIO A MEZZOGIORNO” € 5,80) mercoledì 12 novembre 2003

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Polemica dopo il manifesto per la lista unitaria. Cox lo convoca all’Europarlamento. D’Alema: indegna gazzarra

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RAMAZZOTTIT U T T E S T O R I E

La legge andrà domani in Consiglio dei ministri. La “modica quantità” non è più discrezionale

Droga, ecco il giro di vite di FiniLe sanzioni penali scattano per più di uno “spinello”

La Cei: troppi ritardi per l’asiloIl Senatùr: li ospitino in Vaticano

I vescovi“Diritto di voto

per gliimmigrati”

Bossi li contestaMARCO POLITI

A PAGINA 7

ROMA — Domani arriva in Con-siglio dei ministri la nuova leggesulla droga proposta dal vice-premier Gianfranco Fini. E leprime indiscrezioni conferma-no le promesse: quello in arrivoè un vero e proprio giro di vite.Da domani sarà proibito dro-garsi. Sempre e comunque. La“modica quantità” non sarà piùdiscrezionale. Cade la distinzio-ne tra droghe leggere e droghepesanti. E le sanzioni sarannoidentiche sia per l’uso (o lo spac-cio) di hashish o cocaina, sia dieroina o di ecstasy. La sanzionepenale scatterà per chi verrà tro-vato in possesso di oltre 150 mil-ligrammi di hashish e marjiua-na: in pratica con poco più diuno spinello si finisce davanti almagistrato.

MARIA NOVELLA DE LUCAA PAGINA 25

Il ministro in Parlamento: “Grave la minaccia del terrorismo”

Pisanu: ci saranno altri attentatigli anarchici puntano all’egemonia

DOSSIER

Bruxelles vara le grandi opere: 56 progetti. Ma l’Italia si è mossa troppo tardi

Quei ponti della nuova EuropaPAOLO RUMIZ

L’EUROPA ha già un cuore nuovo.Pulsa tra Alpi, Carpazi e Monti Sudeti,adagiato sull’ex Cortina di ferro. Sta al-le porte dell’Est, in bilico tra Vistola eDanubio, Vienna e Cracovia. Terra ditransito, coperta di betulle, miniere eacciaierie, per secoli battuta da eserci-ti, e appena uscita dal Grande Freddodel comunismo. Un cuore nuovo ches’aggiunge a quello vecchio: il triango-lo Reno-Senna-Tamigi, con all’inter-no megalopoli come: Londra, Parigi,Duesseldorf e, al centro, Bruxelles.

SEGUE A PAGINA 13CIRILLO ALLE PAGINE 12 e 13

Calcio, al via due procedure Ue

Spalmadebitisott’inchiesta

“Il decretova cambiato”

BIANCHI e LIVINI

A PAGINA 11

Il presidente della Commissione Ue Romano Prodi ALLE PAGINE 2, 3, 4 e 5

IL DIRITTODI FAR POLITICA

ANDREA BONANNI

BRUXELLES

IL capo degli eurodeputati popolari e con-servatori Hans Poettering attacca Prodiper aver presentato il suo documento “Eu-

ropa: il sogno, le scelte”. E subito il presiden-te del Parlamento europeo Pat Cox, che ai po-polari deve la poltrona, convoca il presiden-te della Commissione a spiegarsi davanti al-l'assemblea. Secondo loro Prodi, assumendola leadership dei riformisti italiani in vistadelle elezioni europee, è venuto meno ad unpresunto “dovere di neutralità” di cui sareb-be investito il presidente della Commissione.

Sarebbe facile rispondere a questo generedi accusatori ricordando i loro disciplinati si-lenzi quando Berlusconi, in qualità di presi-dente dell'Unione europea, si diverte a rac-contare barzellette su Karl Marx o a denun-ciare il «complotto delle sinistre» da cuiavrebbe salvato il paese, o a illustrare le per-secuzioni di cui è vittima da parte dei «giudi-ci comunisti».

SEGUE A PAGINA 5

CON REPUBBLICA

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Oggi: “Buioa mezzogiorno”

Populismolo spettro

che si aggiraper il mondo

REMO BODEI

IL moderno populismo hauna data di nascita: il 1895. Èl’anno in cui Gustave Le Bon

pubblica La psicologia delle fol-le e, per combinazione, quellostesso in cui i fratelli Lumièremostrano al pubblico i primi fil-mati.

Dinanzi ai tentativi dei nuovi“barbari”, delle masse ignorantie violente, di organizzarsi trami-te i partiti socialisti, e dinanzi al-l’incapacità delle élite liberali diporre un freno alla loro rovinosaascesa, Le Bon suggerisce unmodello di politica incentratosulla figura del meneur des fou-les. Qualche decennio più tardi,l’espressione sarà resa nelle va-rie lingue con i termini Duce,Führer, Caudillo, Conducator.Eppure, sebbene Mussolini sisia vantato di aver letto diversevolte la sua opera, non si può ri-durre Le Bon a un semplice pre-cursore del fascismo. Anche ilpresidente degli Stati UnitiTheodor Roosevelt l’ammirava.

Alla base della teoria di Le Bonsta la convinzione che, negli statimoderni, la stragrande maggio-ranza degli uomini è incapace didirigere autonomamente la pro-pria vita. Infatti, una volta incri-nata la fede nei dogmi della Chie-sa e dello Stato, nessuna autoritàriesce più a imporsi e nessun ra-gionamento personale ha da solola forza di orientare il pensiero el’azione. Il meneur des foulesdevedunque restaurare artificialmen-te la capacità delle masse di cre-dere in un’autorità indiscutibile,che si rivolga direttamente a essecon discorsi che sembrino l’ecorinforzata della vox populi, la tra-duzione efficace di ciò che cia-scuno vorrebbe sentirsi dire. A ta-le scopo, egli costruisce miti inve-rificabili, inventa slogan, fa scri-vere articoli e libri su di sé e lasciache s’innalzino statue per conso-lidare la fede nella sua forza e in-fallibilità. Sposta così il baricen-tro della politica dal parlamento edalla discussione pubblica versola piazza e il monologo.

SEGUE A PAGINA 41CACCIARI, GNOLI

RAMPINI e TARCHI

ALLE PAGINE 39, 40 e 41

DIARIO

Un’armataeuropea

per la pace

IL CASO

Passa un emendamento dell’Udc: tassa di un euro per gli imbarchi negli aeroporti

Finanziaria, governo ancora sottoDE GENNARO e PETRINI A PAGINA 29

La coda di pagliasull’informazione

GIOVANNI VALENTINI

LA lingua del centrodestra batte do-ve il dente del pluralismo duole.Deve aver toccato un nervo sco-

perto il manifesto di Romano Prodi sul-l’Europa, per provocare tali e tante rea-zioni in Italia, all’interno della Casa del-le Libertà. E di riflesso anche fuori, comeun’onda tellurica, nelle sue propaggini earee adiacenti.

Eppure, nelle 25 pagine del testo inte-grale scaricate e stampate da Internet, lerighe dedicate al tema del pluralismo so-no appena 40, compresa quella del tito-lo “La democrazia tra partecipazione einformazione”. Ma evidentemente sonobastate per incendiare la coda di pagliadei “berluscones”, lunga da Roma fino aBruxelles, come un’imbarazzante ap-pendice dello strapotere mediatico in-carnato dal nostro premier.

SEGUE A PAGINA 14

IL CASO

Una perquisizione della Polizia FUSANI ALLE PAGINE 8 e 9

TZVETAN TODOROV

COME garantire la pace nelmondo? Alcuni (la Fran-cia) rispondono: nutren-

do fiducia nel diritto internazio-nale e in organizzazioni qualil’Onu. Purtroppo, questa solu-zione è limitata: sappiamo beneche i rapporti internazionalinon si conformano alla legge, ameno che i vari paesi non scel-gano liberamente di sottomet-tervisi. Altri (gli Stati Uniti) di-chiarano: facendo affidamentosulla nostra potenza, la più fortedel mondo. Tutti gli altri paesinon hanno che da rassegnarsi eseguire questa politica, anchequalora essa sia loro sgradita:questo è il prezzo da pagare a be-neficio della pace. Siamo dun-que condannati a questa alter-nativa? No, la “pace per decreto”e la “pace tramite l’egemonia”non esauriscono tutte le stradepossibili. Queste due soluzionihanno in comune il fatto di cer-care la salvezza nell’unità: unitàconcreta dell’impero america-no, per gli uni; unità agognatadell’autorità mondiale, per glialtri. A queste due opzioni è op-portuno aggiungere anchequella della pluralità, che con-tribuisce al mantenimento del-la pace tramite l’equilibrio trapiù potenze. È in questo conte-sto che potrà trovare la sua col-locazione l’Europa del domani.

Nel mondo odierno, nessunpaese europeo dispone dellaforza sufficiente a garantirsi dasolo la difesa contro una grandepotenza, né, tanto meno, per in-fluire sul destino del mondo. LaFrancia l’ha appena dimostrato:nel corso del conflitto irachenoessa ha difeso una posizione cheha suscitato sì delle simpatie,ma che non aveva chance alcu-na di prevalere. Le sue possibi-lità militari non sono state all’al-tezza delle sue ambizioni politi-che.

SEGUE A PAGINA 43