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Alessandra Caldarelli,“Francesco Ardini, Stige”, Exibart, 17 June 2015 pubblicato mercoledì 17 giugno 2015 Per la sua prima personale a Roma, Francesco Ardini presenta il proprio progetto dal titolo Stige negli spazi della galleria Federica Schiavo, ove appa- re istantaneamente evidente un impasto tra materia e tempo, tra oggetti e tracce del loro passaggio, tra vari livelli di memoria letteralmente e material- mente stratificati l’uno sull’altro. Con un occhio di riguardo all’antica tradizione della lavorazione dell’argilla per la Repubblica veneziana da parte di quell’antica comunità che, ai primi del Seicento, abitava l’area costeggiante le rive del fiume Brenta – per gli antichi Romani Medoacus – il corpus dei Manufatti Fossili riunisce su di sé due sfaccettature del lavoro di Ardini: da una parte quella della manualità, del saper fare quindi della lavorazione del materiale, che oggi viene sempre più meno nel lavoro di molti altri artisti; dall’altra, il desiderio di fare di questi oggetti un tramite tra passato e futuro. Brocche, vasi, piatti, persino specchi: l’artista ne fa degli stampi, che poi seziona mostrandone le tracce interne. Nel mostrarsi dall’interno di quei blocchi di gesso, gli oggetti si tramutano in oggetti archeologici, in fossili per l’appunto, testimonianza di una presenza del passato e congelamento del passato stesso. Trasportati dalle acque del fiume – non a caso lo Stige dantesco era uno dei cinque fiumi dell’Inferno – questi nuovi reperti sopravvivono alla morte temporale. FEDERICA SCHIAVO GALLERY ROMA MILANO

FEDERICA SCHIAVO GALLERY · 2018. 1. 10. · Alessandra Caldarelli,“Francesco Ardini, Stige”, Exibart, 17 June 2015 pubblicato mercoledì 17 giugno 2015 Per la sua prima personale

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Alessandra Caldarelli,“Francesco Ardini, Stige”, Exibart, 17 June 2015

pubblicato mercoledì 17 giugno 2015

Per la sua prima personale a Roma, Francesco Ardini presenta il proprio progetto dal titolo Stige negli spazi della galleria Federica Schiavo, ove appa-re istantaneamente evidente un impasto tra materia e tempo, tra oggetti e tracce del loro passaggio, tra vari livelli di memoria letteralmente e material-mente stratificati l’uno sull’altro. Con un occhio di riguardo all’antica tradizione della lavorazione dell’argilla per la Repubblica veneziana da parte di quell’antica comunità che, ai primi del Seicento, abitava l’area costeggiante le rive del fiume Brenta – per gli antichi Romani Medoacus – il corpus dei Manufatti Fossili riunisce su di sé due sfaccettature del lavoro di Ardini: da una parte quella della manualità, del saper fare quindi della lavorazione del materiale, che oggi viene sempre più meno nel lavoro di molti altri artisti; dall’altra, il desiderio di fare di questi oggetti un tramite tra passato e futuro. Brocche, vasi, piatti, persino specchi: l’artista ne fa degli stampi, che poi seziona mostrandone le tracce interne. Nel mostrarsi dall’interno di quei blocchi di gesso, gli oggetti si tramutano in oggetti archeologici, in fossili per l’appunto, testimonianza di una presenza del passato e congelamento del passato stesso. Trasportati dalle acque del fiume – non a caso lo Stige dantesco era uno dei cinque fiumi dell’Inferno – questi nuovi reperti sopravvivono alla morte temporale.

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L’artista torna poi a riflettere su un tema a lui già molto caro, quello del-la dimensione di crisi e precarietà nell’equilibrio familiare, nell’apparente tranquillità domestica, che si nasconde dietro una linearità solo apparen-te.  «La mia ricerca accetta l’idea che gran parte della realtà non è lineare» racconta l’artista in un’intervista, assunto a partire dal quale il caos viene riconosciuto come una dimensione continuamente esistente in parallelo a quella della normalità. Nei restanti spazi della galleria Ardini ricostruisce gli ambienti di un ap-partamento, dove resta immediatamente palpabile questa crisi, repressa e trattenuta ma pronta ad esplodere – è il caso di Francesco, 2014, un blocco di materia stretto a una sedia da una cintura, ricalcante il profilo di una figura umana seduta ma pronta a liberarsi della prigione – o appena consu-matasi – in Convivio, Sacrificio  e Manufatto vissuto, Tavolo la scena porta i segni di un movimento violento, un tavolo resta a testimoniare l’offerta come su un altare, l’altro si leva in piedi, la ceramica lavorata così finemen-te da sembrare pelle fatta a brandelli. Ancora una volta Francesco Ardini consegna le sue opere al tempo, cristallizandole fino a far perdere loro la propria destinazione d’uso fino a diventare «monumenti della memoria con segni di vissuto su tutta la superficie». 

Alessandra Caldarellimostra visitata il 14 maggio 2015

Dal 28 aprile al 4 luglio 2015Francesco Ardini, StigeFederica Schiavo GalleryVia Piazza di Montevecchio, 16 – 00186 RomaInfo: www.federicaschiavo.com, [email protected]   

Alessandra Caldarelli,“Francesco Ardini, Stige”, Exibart, 17 June 2015

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Andrea Vegro,“As Vunerable as Stone - Francesco Ardini”, Blog Art On Demand, 15 May 2015

According to myth, the waters of the river Styx had the power to render it’s bathers invulnerable: this is where Thetis dipped her newborn son, Achilles, making him equal to the Gods.

Francesco Ardini named his first solo exhibition “Styx” connecting, in an oxymoronic way, the myth of invulnerability to the malleability of the material he used most frequently, clay. Ardini’s fossil resurfa-ce from a metaphorical Styx, unveiling sections of agglomerated and stacked plaster. These findings reveal the internal contours of the molds used to shape ancient ceramics for daily use. The artist is an archaeologist and an inquisitor: divulging the ancient role of these casts, and investigating the possibi-lity of giving them a new meaning, suitable – and adapted – to this new era. Ardini begins a reflection on what it means, today, to be Invulnerable: not so much to be static and unchanging, but to adapt. Leaving oneself to be slightly eroded by events and time, like stones in streams.

The exhibition “Styx” is open in the Schiavo Gallery in Rome until July 4, 2015.

Secondo il mito, le acque del fiume Stige avevano il potere di rendere invulnerabile chiunque vi si im-mergesse: è qui che Teti immerse il figlio Achille, ancora neonato, per renderlo pari agli dei.

Francesco Ardini intitola “Stige” la sua prima mostra personale, legando in modo ossimorico il mito dell’invulnerabilità alla malleabilità del materiale da lui più utilizzato, l’argilla. Ardini fa riemergere i suoi fossili da un metaforico Stige, che riporta alla luce sezioni di gesso agglomerate e impilate, reperti che rivelano la sagoma interna degli stampi anticamente utilizzati per plasmare ceramiche di uso quo-tidiano. L’artista è un archeologo ed un inquisitore: rivela l’antico ruolo di questi calchi, e indaga sulla possibilità di dare loro un nuovo significato, adatto – ed adattabile – a questa nuova epoca. Ardini apre una riflessione su cosa significhi oggi essere Invulnerabili: non tanto essere immobili ed immutabili, ma sapersi adattare. Lasciarsi limare dagli eventi e dal tempo, come pietre nei torrenti.

La mostra “Stige” è visitabile alla Schiavo Gallery di Roma fino al 4 luglio 2015.

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Mirtille,“Le acque dell’invulnerabilità. Lo Stige di Francesco Ardini”, Artnoise 8 May 2015

“L’ordine è qualcosa di artificioso; il naturale è il caos” sosteneva Arthur Schnitzler. Questo pensiero ha prodotto una vera e propria rivoluzione: improvvisamente abbiamo iniziato a osservare il mondo con occhi diversi e a comprendere che il caos è più fondamentale dell’ordine. È la situazione più comune in Natura, mentre l’ordine è relativamente raro e può essere facilmente distrutto dalla più piccola “perturbazione”. La Natura stessa sembra utilizzare il caos come parte integrante del suo programma di evoluzione; per risolvere il problema di adattare le forme di vita per la sopravvivenza in un ambiente in continua trasformazione, complesso, apparentemente caotico, ogni schema deterministico sarebbe destinato al fallimento. La Natura sceglie perciò di combattere il caos con il caos, generando così una moltitudine di forme di vita attraverso le mutazioni casuali. Questa teoria ci porta così a considerare l’evoluzione e il cambiamento come dei fattori intrinseci alla vita stessa: l’uomo è in continuo muta-mento, così come l’ambiente che lo circonda, perché, come diceva Aristotele “La vita è nel movimento”.

La mostra personale di Francesco Ardini, Stige, alla galleria Federica Schiavo, si sviluppa proprio intorno a questo concetto di mutamento e caoticità. Il progetto è frutto di una lunga meditazione sull’origine del proprio fare e su come gli oggetti domestici, come ad esempio la ceramica, debbano evolvere e tro-vare nuovi equilibri come qualsiasi altra cosa in natura, al fine di sopravvivere a questo cambiamento.Nato nel 1986 a Padova, Francesco Ardini vive e lavora tra Nove e Bassano del Grappa. Saranno proprio questi luoghi di origine a caratterizzare tutta la sua poetica e a dar vita al suo percorso artistico, segnato da una continua ricerca che mette in discussione l’aspetto plastico della materia al fine di attribuirle un senso di delicata leggerezza.

Le città di Nove e Bassano del Grappa sono attraversate dal fiume Brenta che, in epoca romana era individuato come Medoacus “in mezzo a due laghi” in riferimento ai due bacini più settentrionali della laguna di Venezia. Questa zona, durante il periodo della Serenissima, era un importante centro mani-fatturiero per la produzione dell’argilla. Materia fortemente malleabile, l’argilla fu utilizzata fin dall’an-tichità da innumerevoli popoli, dagli antichi Egizi, ai Persiani e i Cinesi, per la produzione di oggetti in ceramica. Questo materiale, così nobile e concreto, viene plasmato dall’artista in forme ardite e di grande impatto, che testimoniano un passato abbandonato, di una vita che ha lasciato una forma per assumerne un’altra e muoversi altrove.

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Mirtille,“Le acque dell’invulnerabilità. Lo Stige di Francesco Ardini”, Artnoise 8 May 2015

I Manufatti Fossili che occupano gli spazi della galleria, illustrano pienamente questo concetto di espan-sione ed evoluzione. Essi non sono solo semplici blocchi di gesso lavorati, impilati, sezionati e sui quali si scorgono dei rilievi, ma sembrano riportare alla luce un lontano ricordo, rendendo così il passato presente.

Un’interpretazione ingenua lega il Tempo unicamente al trascorrere degli eventi, all’evoluzione delle situazioni, al mutare degli stati, ma esso deve essere guardato anche come qualcosa di strettamente vincolato alla materia, alla massa. Einstein ci dice infatti che la massa ha un effetto concreto e ben de-terminabile sul tempo, tanto che lo modifica, lo altera, lo stira e ne mette in evidenza le sue proprietà, per così, dire elastiche e flessibili. Tempo e Materia sono i due concetti cardine della poetica di Ardini: egli infatti muta la materia al fine di farla sopravvivere all’evolversi del tempo.

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Mirtille,“Le acque dell’invulnerabilità. Lo Stige di Francesco Ardini”, Artnoise 8 May 2015

Un’esistenza labile quindi, segnata da una profonda precarietà e in continuo cambiamento, dove nul-la è costante, statico o solido bensì soggetto a una incessante trasformazione. Sarà solo alterando e sconvolgendo le forme e gli oggetti, e dando loro nuovi significati ed equilibri che essi riusciranno a perdurare e a sottrarsi all’oblio. Oggetti come sedie o tavoli, recuperati da laboratori artigianali, vengo-no esposti e reinterpretati creando uno scenario sinistro e tetro, ma al tempo stesso vivo e dinamico. Le opere assumono un carattere antropomorfo, i colori rosacei ricordano la carne, i drappi lasciati cadere sul tavolo delineano impronte umane diffondendo cosi ombre di un passato lontano ma ancora esistente. Ardini riporta alla luce oggetti e manufatti di un’epoca passata, così come la corrente porta alla deriva rilievi, donando loro una nuova esistenza in un mondo in continuo divenire. Stige è uno dei cinque fiumi presenti negli Inferi secondo la mitologia greca e romana, e le sue acque avevano il potere di dare l’invulnerabilità: secondo il mito, infatti, è qui che Teti immerse il figlio neonato Achille per renderlo pari agli dei, tenendolo però per il tallone che non fu quindi toccato dal’’acqua e rimase vulnerabile. Sembrerebbe quindi che Stige,grazie alle sue acque magiche, sia in grado di concedere du-revolezza alle cose nonostante l’intrinseca instabilità del mondo, così come l’artista riesce, ripensando e riplasmando la materia, a restituirle una vita nuova.

“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” disse Tancredi Falconieri nel Il Gat-topardo.Questo pensiero sembra valere anche per le opere di Francesco Ardini: egli, ripensando ed espandendo la materia, dando nuovi significati e cercando di sconvolgere la staticità delle cose, riesce, attraverso il cambiamento, a far sì che queste non siano solo un lontano ricordo di un passato sepolto, ma una traccia ancora carica di contenuti vivi e attuali.Una mostra e un progetto ricco di storia, di pensiero e di reperti antichi che rivedono la luce grazie al modus operandi di un artista la cui arte e ricerca sono in continua evoluzione e divenire.

Mirtille

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“Marketplace | A Survey of Ceramics at the Sao Paulo and Dallas Art Fairs”, CFile Online, 8 April 2015

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Peter Simek, “10 Galleries You Can’t Miss at Dallas Art Fair”, Front/Row Blog, D Magazine,10 April 2015

The Dallas Art Fair kicked off last night with throng of well-heeled would-be art buyers filling the hallways of the Fashion Industry Gallery. It is all a bit of an overwhelming affair. I went to the press preview earlier in the day, and it took a good 20-30 minutes to overcome the initial rush of oversaturation. At the crowded gala, F.I.G.’s narrow, low-ceilinged hallways can feel a little like a rat labyrinth, and I got turned around more than few times.  It’s easy to deride the art fair expe-rience, and yet by evening, champagne in hand, a mix of artists, collectors, dealers, museum folk, politicians, society gadflies, and the rest of Dallas’ cultural notables filing through F.I.G. the entire affair felt less like an artistic meat market and more like a huge, well-attended, high-spirited and high quality Design District art opening.

“Lots of leather and zippers,” said one New York dealer of the Dallas crowd’s fashion sense. It was her first time to participate in the fair, and she said she brought some work with her that she thought would be best for Dallas tastes – the same stuff she brings to the Hamptons Art Fair. And yet, by the end of the night, it wasn’t the gooey, abstract “sweet stuff” paintings she had sold, but rather the more interesting, outsider-leaning drawings and paintings.

That anecdote speaks to a broader learning curve that the city, the art fair, and the dealers who populate it have been traveling on over the past 7 years. I bumped into an elated Art Fair co-founder John Shugrue while leaving last night, and he spoke about the efficiency of the art unload – tons of art hauled off tractor trailers over the course of just over a day – and joked

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about the logistical headaches of the early years. Then there’s the dealer curve. Many of the best galleries continue to come back each year, a positive indication that they are moving work and find value in the connections they make while in Dallas. And their booths feel less full of the “stuff for Dallas.” It would seem that they have begun to realize that Dallas collectors don’t necessarily meet clichéd expectations of Dallas taste.

There is a lot of art worth seeking out at this year’s Dallas Art Fair. Here are my highlights from the fair, which offer a very subjective and impulsive tour, not a ranking or a best-of, but just a rundown of what struck me as memorable, surprising, or worth noting. I’ve left off the local galleries and focused on the stuff we don’t get to see around here regularly.Harlan Levey Projects – Perhaps my favorite single gallery in the show. If all the Dallas Art Fair accomplishes for me this year is putting Cleveland-based artist TR Ericsson on my map, then I consider it a success. Ericsson’s work here included a dreamy blown up photograph of his mother in her youth, a black vinyl record continuing 20 tracks of conversations with his now-elderly mother, and a rack of zines containing reproduced copies of his grandfather’s notes and diaries. It is a kind of anthropological mining of nostalgia-inducing artifacts, work that locates personal history and individual identity in a liminal space between elusive meanings and fleeting emotion.

Edel Assanti – The London gallery’s booth features the work of Jodie Carey, large-scale wall-hung pieces constructed of woven strips of canvas dipped in plaster, sensual and evocative painting-like objects that bridge historical reference points from folk craft making to abstraction to minimalism. The gallery gets extra points, though, for an installation it organized on the Art Fair’s front lawn by Marcin Dudek, a progressively shifting fenced “border line,” paired with boots that are replicas of the footwear worn by Roosevelt, Stalin, and Churchill at the famous Europe-dividing Yalta ConferenceGalerie Tanja Wagner – You can find work by Anabel Daou at Conduit’s space, but the text pieces at Galerie Tanja Wagner are particularly strong. Her delicate pieces incorporate text that reads like melodramatic love poetry which is materially incorporated into the architecture of wistful, evocative paper works.Washburn Galelry – Just stepping into Washburn’s booth feels like a throwback to Leo Castelli-era art dealing. Here you can ogle at early Pollocks and a particularly odd little early figurative Rothko. Highlights also include abstract works by venerable artists like Myron Stout.MKG127 – If I had to pick best in show, it would likely be the Toronto-based MKG127, which mixes high-minded conceptual text pieces with some fantastic zippy rabbit paintings, all playing through a dense layering of conceptual reference points and conceits. If there is a sense that Dallas tastes are maturing, the presence of this gallery is an indication.Raebervon Stenglin – Works by Jill Magid, Robert Kinmont, and surprisingly delicious little dimi-nutive still lives by Ivan Seal round out a diverse booth that’s deep in quality.Derek Eller Gallery – Directly across from Barry Whistler’s booth, which is given over nearly entirely to Nathan Green’s boisterous, uplifting throw-back abstractions, the Los Angeles-based Derek Eller Gallery also dedicates its space to one artist, Despina Slokov. Slokov appropriates text from coding and digital culture and filters it through a richly expressive painting practice that incorporates text into gestural, street-leaning abstractions which recalling Cy Twombly and Basquiat alike.Ibid London and LA – Another strong space with a broad-range of artists. I particularly enjoyed stumbling upon David Ademo’s shelf of diminutive little sculptural objects.The Apartment – Swing through The Apartment if only to check out White Columns founder Matthew Higgs’ tongue-in-cheek conceptual pieces, an ongoing series of torn out and reframed images from books and book covers. He calls them “found conceptual,” or “found abstract” art, and they filter modernistic aesthetic tropes through a conceptual approach that culls references to Duchamp’s readymades, consumer mass production, media, and literature.Federica Schiavo Gallery – I had two “finds” at this year’s fair. I mentioned TR Ericsson at Harlan Levey. Rome-based Federica Schiavo provides the other one. Virtuosic ceramicist Francesco Ardini creates twisted worm-like bowl pieces and vase-like objects covered in nuclear-blue pustules, complex constructions that can look a bit too much like Jolly Rancher glass-man Dale Chihuly for my taste. But when Ardini takes his interest in the interconnection of ceramics and the domestic sphere and pushes it through digital appropriation — as he does with a wall piece consisting of bathroom-style tiles printed with “selfie” images plucked from the internet – Ardini invents an intriguing new approach to his medium, suggesting a conceptual resonance in his material that can push both sculpture and ceramics into new terrain. Only 29-years-old, It will be interesting to watch how the Italian artist’s career progresses.

Peter Simek, “10 Galleries You Can’t Miss at Dallas Art Fair”, Front/Row Blog, D Magazine,10 April 2015

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Ronnie Watt, “The DOMUS: Constructong Histories and Identities in Clay”, New Ceramics, January - February 2015, p. 40 - 43

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Ronnie Watt, “The DOMUS: Constructong Histories and Identities in Clay”, New Ceramics, January - February 2015, p. 40 - 43

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Ronnie Watt, “The DOMUS: Constructong Histories and Identities in Clay”, New Ceramics, January - February 2015, p. 40 - 43

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Ronnie Watt, “The DOMUS: Constructong Histories and Identities in Clay”, New Ceramics, January - February 2015, p. 40 - 43

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“Inno alla Precarità”, Lancia Trend Visions, 07 March 2015

INNO ALLA PRECARIETÀ

Francesco Ardini sforna due nuove serie di vasi in ceramica: un’inedita versione di “Proliferazione” che cresce fra le pareti di casa, e “Vasebook”, ispirato ai social network con cui aggiornare e condi-videre il proprio mood.

La visione della realtà di Francesco Ardini gioca con la precarietà, colta nel suo processo di fram-mentare ciò che lo circonda. Disomogeneità, dissoluzione, rotture. Nelle sue opere tutto sfocia in un naturalismo dove nulla è assoluto ma tutto è relativo e instabile.Nella sua ultima collezione, parte della serie “Proliferazioni”, vediamo i suoi pezzi trovare posto, crescere e covare in ogni punto della casa. Li osserviamo mentre fanno perdere forma e senso al bordo dei vasi, elemento familiare, qui divorato da una nidiata batterica viva e imprevedibile.“La difficoltà è stata trovare un dialogo tra le cromaticità”, racconta Ardini che ha realizzato ogni pezzo a mano, “un aspetto complesso da gestire quando lavori la ceramica”.La materia reagente brucia e deforma la superficie. Si autodefinisce con volumi che ricordano microrganismi ed elementi primordiali. L’opera nasce così con una forma pura. Viene stressata e si creano forature, a sottolineare come ogni mutazione avviene in presenza di ossigeno che ne cambia la forma.Inquietudine e bellezza insieme in una sfida. Lungi dal voler decretare un vincitore riescono a mo-strare un gioco di forze compresenti.Nella seconda serie, “Vasebook”, Ardini torna alla semplicità del vaso bianco, ma con una novità: il vaso può essere aggiornato e condiviso come in un social network. È umorale e si adatta allo spazio domestico. Tolto il coperchio – il cui dialogo continua reggendo le vignette – il vaso svolge la sua ordinaria funzione.Classe 1986, Ardini scopre la ceramica da autodidatta e inizia una ricerca personale che Lancia TrendVisions ha raccontato in un precedente articolo.I suoi pezzi inseguono un sottile senso di leggerezza, propria di chi subisce il tempo. Una leggerezza che si fa corpo nei vasi, li nutre e li sfibra. Diventano vasi con una sostanza domestica e un animo umano.

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“Inno alla Precarità”, Lancia Trend Visions, 07 March 2015

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Silvia Neri, “L’orrore del domestico. I temibili convivi di Francesco Ardini”, Arearte, 21 June - 23 September 2014

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L’ORRORE DEL DOMESTICOI temibili convivi di Francesco Ardinidi Silvia Neri

L a vita quotidiana nella sua routine e tradizione può avere risvolti insoliti. Il semplice atto di sedersi a ta-

vola e mangiare su un normale piatto in ceramica bianca può rivelarsi rassicurante, in quanto atto famigliare, ma an-che temibile e pauroso, come ci mostra Francesco Ardini.Le sue installazioni ricostruiscono ambienti domestici trasfi-gurati dallo spettro dell’imposizione autoritaria e selettiva della nostra società contemporanea che ci prescrive cano-ni, stili e modelli da seguire. Si tratta di tavole imbandite, sontuosamente apparecchiate con candide stoviglie da cui escono piccoli mostri del quotidiano, che si insinuano silenti nei percorsi della tovaglia. L’artista ritrae nelle sue sculture le proprie paure che abitano gli ambienti domestici in cui l’abbondanza di cibo crea pressione psicologica sull’indivi-duo, mettendolo in difficoltà nel distinguere cosa è bene e cosa è male. Televisione e pubblicità, concetto di bellezza

estetica e mondo virtuale fanno parte del nostro quotidiano e ci inseguono senza sosta. Abbiamo davvero bisogno di tutto questo? Non ci sentiamo a volte sovrastati, soffocati e calpestati da bulimici bisogni di sazietà per supplire carenze interiori che lacerano la nostra anima confusa ed impauri-ta? Francesco Ardini con la sua opera decide di denunciare questo sistema fagocitante di bisogni e mancanze, di impo-sizioni e frustrazioni, per indurre a riflettere, o anche solo ad osservare. Durante la formazione di architetto all’Università di Venezia, Ardini si avvicina alla ceramica che trova in No-ve (Vicenza) il suo centro di sviluppo storico che ancor oggi gode di grande prestigio. Divenuto lo strumento deputato a tale missione controcorrente, l’artista ha investito il suo lavo-ro di una forte componente emozionale che si fa strada pian piano, cercando risonanze universali da poter comparare alla propria esperienza. Le mutazioni e trasformazioni che

viviamo quotidianamente trovano luogo nella casa, identifi-cata nella tavola che dunque si presta ad essere l’ambiente più intimo e al tempo stesso più universale per l’espressione di tali concetti. Infatti l’artista è mosso da inquietudini perso-nali che trovano voce nella sua produzione artistica e nella mise en place di questa serie di loci horridi.Grazie alla residenza al Guldagergaard, il Centro di Ce-ramica Contemporanea della Danimarca, è nata l’instal-lazione Volume del Disgusto: di forte impatto scenico, è il coinvolgimento emotivo che stupisce. La perfetta realizzazio-ne dell’inquietudine domestica dell’artista è resa dall’accu-mulazione eccessiva di cibo. Vi si trova soprattutto il pollo, presente sulla tavola di ogni cultura, che diviene metafora della sovrapproduzione della società. Questa temibile im-magine di banchetto infernale è reiterata in Circe, installa-zione presentata al Jerome Zodo Contemporary di Milano. Utilizzando l’immagine della maga omerica che aveva il po-tere di trasformare gli uomini in animali, ognuno secondo la propria indole, l’artista padovano realizza una complessa installazione narrativa che espone il gioco crudele tra reale e virtuale.L’uomo moderno si trova nella trappola dell’incanto tecnolo-gico come l’uomo omerico si trova invischiato nell’incantesi-mo di Circe. Se da un lato la visione della bianca ceramica rassicura, nel momento in cui viene spezzata, rotta e calpe-stata, il conforto del suo aspetto decade e viene distorto e

l’ossessione si rivela. La maniacale attenzione nei confronti dell’immagine è inoltre un altro aspetto che caratterizza for-temente la nostra epoca. Domus Carnea, presentata a Palazzo Botton, Museo della ceramica di Torino, è un’installazione dai volumi conside-revoli: simboleggiando l’eccesso senza fine, vi si ritrovano elementi già esplorati e ricorrenti nel lavoro di Ardini, a sot-tolineare i fondamenti concettuali cui la sua opera s’ispira mettendo il focus su problematiche attuali molto presenti e sulle quali l’Autore non cessa mai di ragionare, proponendo le sue visioni. La componente estetica dei lavori di Francesco Ardini si attua in un equilibrio di forti cromie antitetiche che si spalleggiano l’un l’altra per creare contrasti evidenti, ma si attua anche nella coerenza narrativa e nella semplicità compositiva che fa da contraltare ai tripudi cromatici delle tavole. Si può quindi affermare che queste ceramiche sono opere che nascono dall’intimo progetto dell’artista, dalla sua esigenza di esprimerlo ma anche di indurre gli altri a per-correre ed esplorare questo sentiero. Lo fa, ovviamente, alla maniera dell’artista: attraverso installazioni e sculture dalle forme tentacolari che si intrecciano in grovigli inestricabili.

FRANCESCO ARDINI vive e lavora tra Padova e Nove (VI)

www.francescoardini.com

INQUIETUDINE DOMESTICA | 2013Ceramica smalto bianco lucido - Ceramic, white polished glazecm 1,70 x 2.50 x 1,80

INQUIETUDINI FAMIGLIARI | 2013Ceramica e smalto bianco - Ceramic and white glaze

INQUIETUDINI FAMIGLIARI | 2013Ceramica e smalto bianco particolare sedia - Ceramic and white glaze, chair detailcm 1,8 x 1,50 x 1,50

FEDERICA SCHIAVO GALLERY ROMA MILANO

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Silvia Neri, “L’orrore del domestico. I temibili convivi di Francesco Ardini”, Arearte, 21 June - 23 September 2014

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L’ORRORE DEL DOMESTICOI temibili convivi di Francesco Ardinidi Silvia Neri

L a vita quotidiana nella sua routine e tradizione può avere risvolti insoliti. Il semplice atto di sedersi a ta-

vola e mangiare su un normale piatto in ceramica bianca può rivelarsi rassicurante, in quanto atto famigliare, ma an-che temibile e pauroso, come ci mostra Francesco Ardini.Le sue installazioni ricostruiscono ambienti domestici trasfi-gurati dallo spettro dell’imposizione autoritaria e selettiva della nostra società contemporanea che ci prescrive cano-ni, stili e modelli da seguire. Si tratta di tavole imbandite, sontuosamente apparecchiate con candide stoviglie da cui escono piccoli mostri del quotidiano, che si insinuano silenti nei percorsi della tovaglia. L’artista ritrae nelle sue sculture le proprie paure che abitano gli ambienti domestici in cui l’abbondanza di cibo crea pressione psicologica sull’indivi-duo, mettendolo in difficoltà nel distinguere cosa è bene e cosa è male. Televisione e pubblicità, concetto di bellezza

estetica e mondo virtuale fanno parte del nostro quotidiano e ci inseguono senza sosta. Abbiamo davvero bisogno di tutto questo? Non ci sentiamo a volte sovrastati, soffocati e calpestati da bulimici bisogni di sazietà per supplire carenze interiori che lacerano la nostra anima confusa ed impauri-ta? Francesco Ardini con la sua opera decide di denunciare questo sistema fagocitante di bisogni e mancanze, di impo-sizioni e frustrazioni, per indurre a riflettere, o anche solo ad osservare. Durante la formazione di architetto all’Università di Venezia, Ardini si avvicina alla ceramica che trova in No-ve (Vicenza) il suo centro di sviluppo storico che ancor oggi gode di grande prestigio. Divenuto lo strumento deputato a tale missione controcorrente, l’artista ha investito il suo lavo-ro di una forte componente emozionale che si fa strada pian piano, cercando risonanze universali da poter comparare alla propria esperienza. Le mutazioni e trasformazioni che

viviamo quotidianamente trovano luogo nella casa, identifi-cata nella tavola che dunque si presta ad essere l’ambiente più intimo e al tempo stesso più universale per l’espressione di tali concetti. Infatti l’artista è mosso da inquietudini perso-nali che trovano voce nella sua produzione artistica e nella mise en place di questa serie di loci horridi.Grazie alla residenza al Guldagergaard, il Centro di Ce-ramica Contemporanea della Danimarca, è nata l’instal-lazione Volume del Disgusto: di forte impatto scenico, è il coinvolgimento emotivo che stupisce. La perfetta realizzazio-ne dell’inquietudine domestica dell’artista è resa dall’accu-mulazione eccessiva di cibo. Vi si trova soprattutto il pollo, presente sulla tavola di ogni cultura, che diviene metafora della sovrapproduzione della società. Questa temibile im-magine di banchetto infernale è reiterata in Circe, installa-zione presentata al Jerome Zodo Contemporary di Milano. Utilizzando l’immagine della maga omerica che aveva il po-tere di trasformare gli uomini in animali, ognuno secondo la propria indole, l’artista padovano realizza una complessa installazione narrativa che espone il gioco crudele tra reale e virtuale.L’uomo moderno si trova nella trappola dell’incanto tecnolo-gico come l’uomo omerico si trova invischiato nell’incantesi-mo di Circe. Se da un lato la visione della bianca ceramica rassicura, nel momento in cui viene spezzata, rotta e calpe-stata, il conforto del suo aspetto decade e viene distorto e

l’ossessione si rivela. La maniacale attenzione nei confronti dell’immagine è inoltre un altro aspetto che caratterizza for-temente la nostra epoca. Domus Carnea, presentata a Palazzo Botton, Museo della ceramica di Torino, è un’installazione dai volumi conside-revoli: simboleggiando l’eccesso senza fine, vi si ritrovano elementi già esplorati e ricorrenti nel lavoro di Ardini, a sot-tolineare i fondamenti concettuali cui la sua opera s’ispira mettendo il focus su problematiche attuali molto presenti e sulle quali l’Autore non cessa mai di ragionare, proponendo le sue visioni. La componente estetica dei lavori di Francesco Ardini si attua in un equilibrio di forti cromie antitetiche che si spalleggiano l’un l’altra per creare contrasti evidenti, ma si attua anche nella coerenza narrativa e nella semplicità compositiva che fa da contraltare ai tripudi cromatici delle tavole. Si può quindi affermare che queste ceramiche sono opere che nascono dall’intimo progetto dell’artista, dalla sua esigenza di esprimerlo ma anche di indurre gli altri a per-correre ed esplorare questo sentiero. Lo fa, ovviamente, alla maniera dell’artista: attraverso installazioni e sculture dalle forme tentacolari che si intrecciano in grovigli inestricabili.

FRANCESCO ARDINI vive e lavora tra Padova e Nove (VI)

www.francescoardini.com

INQUIETUDINE DOMESTICA | 2013Ceramica smalto bianco lucido - Ceramic, white polished glazecm 1,70 x 2.50 x 1,80

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Silvia Neri, “L’orrore del domestico. I temibili convivi di Francesco Ardini”, Arearte, 21 June - 23 September 2014

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The daunting banquets of Francesco Ardini

DOMESTIC HORRORSby Silvia Neri

Our daily life in its routine and tradition can offer some unusual developments. The simple act of sitting down at the table and eat on a normal white ceramic dish can look re-assuring, because familiar, but can also be frightening and scary, as Francesco Ardini shows us.

His installations reconstruct domestic environments transfi-gured by the spectre of authoritarian and selective impo-sition of our contemporary society, which prescribes rules, styles and models to follow. These are laid tables, sump-tuously prepared with white dishes from which little mon-sters of everyday life creep out, worming their way into the tablecloth. The artist portrays in his sculptures his own fears, inhabiting a domestic environment where the abundance of food produces a psychological pressure on the individual, making it difficult for him to tell what is good and what is bad. Television and advertising, the concept of beauty and the virtual world are part of our daily life, and relentlessly after us. Do we really need all this? Don’t we feel a litt-le overwhelmed, suffocated and trampled by some bulimic need for satiety that should compensate the inner voids tea-ring up our confused and frightened soul? Francesco Ardini wants to denounce with his work this devouring system of needs and wants, of impositions and frustrations, to make us reflect, or just observe.

During his architectural studies at Venice University, Ardini approached ceramics through the works he saw in Nove (Vicenza), the historical development centre that still enjoys great prestige. As the appointed instrument in a mission against mainstream art, he puts into his work a strong emo-tional element that digs its way into it little by little, looking for universal resonances to compare to his own experience. The mutations and transformations we experience daily find a place in the home, and more specifically on the table, which lends itself to being the most private and at the same time universal place where to express such concepts. Ardi-ni is moved by his own personal anxiety, expressed in his artistic production and in the mise en place of this series of loci horridi.

The installation entitled Volume del Disgusto originates from his stay at Guldagergaard, the Contemporary Ceramics Research Centre in Denmark: the visual impact is strong, but it’s the emotional involvement that surprises. The artist’s domestic anguish is perfectly rendered by the excessive amount of food, especially chicken, present on the tables of every culture and therefore a good metaphor of society over-production. This frightening image of an infernal banquet is repeated in Circe, the installation presented at the Jerome

Zodo Contemporary in Milan. Using the image of the Homeric witch who had the power to tran-sform men into animals, each one according to his own nature, the artist from Padua constructs a complex narrating installation that exposes the cruel game between real and virtual. Modern man finds himself in the trap of a technological spell just as the Homeric man was caught in Cir-ce’s spell. If, on one hand, the sight of white ceramic is reassuring, when this is broken, sma-shed and trampled its comforting look fades and is distorted, and the obsession is revealed. The maniacal attention to images is another aspect that strongly characterizes our times.

Domus Carnea, presented at Palazzo Botton, Tu-rin’s Ceramics Museum, is an installation of con-siderable volumes: it symbolizes endless excess, and here we find elements already explored and recurrent in Ardini, to emphasize the concep-tual foundations of his work, focused on cur-rent issues that are very much present and on which he never ceases to reason, proposing his visions. The aesthetic component of Francesco Ardini’s works comes out in the balance of strong antithetical colours that back each other up to create obvious contrasts, but also in the consistency of the narrative and the composition simplicity counterbalancing the chromatic blaze on the tables. We can say that these ceramics originate from a deep, interior project of the artist, from his need to express it but also to induce others to walk along this path and explore it. And he does it, obviously, like an artist does: through installations and sculptures with tentacular forms intertwined in inextricable tangles.

FRANCESCO ARDINI lives and works in Padova and Nove (VI)

www.francescoardini.com

VOLUMI SUL DISGUSTO | 2013Ceramica - Ceramicaltezza - height 3 mt

INQUIETUDINI FRA ME E TE | 2013Ceramica e porcellana, tavolo e sedie in legno - Ceramic and porcelain and wood table and chairs cm 100 x 80 x 75

INVILUPPO ORO | 2013Forma scultorea di tubolari in terraglia, smalto e terzo fuoco in lustro oro - Sculptural form of tubular earthenware, glaze and third firing in gold lusterdiametro 50 cm - 50 cm diameter

CONVIVIO | 2013Ceramica smalto lucido e opaco tecnica - Ceramic and matt and polished glazecm 150 x 100

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Silvia Neri, “L’orrore del domestico. I temibili convivi di Francesco Ardini”, Arearte, 21 June - 23 September 2014

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The daunting banquets of Francesco Ardini

DOMESTIC HORRORSby Silvia Neri

Our daily life in its routine and tradition can offer some unusual developments. The simple act of sitting down at the table and eat on a normal white ceramic dish can look re-assuring, because familiar, but can also be frightening and scary, as Francesco Ardini shows us.

His installations reconstruct domestic environments transfi-gured by the spectre of authoritarian and selective impo-sition of our contemporary society, which prescribes rules, styles and models to follow. These are laid tables, sump-tuously prepared with white dishes from which little mon-sters of everyday life creep out, worming their way into the tablecloth. The artist portrays in his sculptures his own fears, inhabiting a domestic environment where the abundance of food produces a psychological pressure on the individual, making it difficult for him to tell what is good and what is bad. Television and advertising, the concept of beauty and the virtual world are part of our daily life, and relentlessly after us. Do we really need all this? Don’t we feel a litt-le overwhelmed, suffocated and trampled by some bulimic need for satiety that should compensate the inner voids tea-ring up our confused and frightened soul? Francesco Ardini wants to denounce with his work this devouring system of needs and wants, of impositions and frustrations, to make us reflect, or just observe.

During his architectural studies at Venice University, Ardini approached ceramics through the works he saw in Nove (Vicenza), the historical development centre that still enjoys great prestige. As the appointed instrument in a mission against mainstream art, he puts into his work a strong emo-tional element that digs its way into it little by little, looking for universal resonances to compare to his own experience. The mutations and transformations we experience daily find a place in the home, and more specifically on the table, which lends itself to being the most private and at the same time universal place where to express such concepts. Ardi-ni is moved by his own personal anxiety, expressed in his artistic production and in the mise en place of this series of loci horridi.

The installation entitled Volume del Disgusto originates from his stay at Guldagergaard, the Contemporary Ceramics Research Centre in Denmark: the visual impact is strong, but it’s the emotional involvement that surprises. The artist’s domestic anguish is perfectly rendered by the excessive amount of food, especially chicken, present on the tables of every culture and therefore a good metaphor of society over-production. This frightening image of an infernal banquet is repeated in Circe, the installation presented at the Jerome

Zodo Contemporary in Milan. Using the image of the Homeric witch who had the power to tran-sform men into animals, each one according to his own nature, the artist from Padua constructs a complex narrating installation that exposes the cruel game between real and virtual. Modern man finds himself in the trap of a technological spell just as the Homeric man was caught in Cir-ce’s spell. If, on one hand, the sight of white ceramic is reassuring, when this is broken, sma-shed and trampled its comforting look fades and is distorted, and the obsession is revealed. The maniacal attention to images is another aspect that strongly characterizes our times.

Domus Carnea, presented at Palazzo Botton, Tu-rin’s Ceramics Museum, is an installation of con-siderable volumes: it symbolizes endless excess, and here we find elements already explored and recurrent in Ardini, to emphasize the concep-tual foundations of his work, focused on cur-rent issues that are very much present and on which he never ceases to reason, proposing his visions. The aesthetic component of Francesco Ardini’s works comes out in the balance of strong antithetical colours that back each other up to create obvious contrasts, but also in the consistency of the narrative and the composition simplicity counterbalancing the chromatic blaze on the tables. We can say that these ceramics originate from a deep, interior project of the artist, from his need to express it but also to induce others to walk along this path and explore it. And he does it, obviously, like an artist does: through installations and sculptures with tentacular forms intertwined in inextricable tangles.

FRANCESCO ARDINI lives and works in Padova and Nove (VI)

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VOLUMI SUL DISGUSTO | 2013Ceramica - Ceramicaltezza - height 3 mt

INQUIETUDINI FRA ME E TE | 2013Ceramica e porcellana, tavolo e sedie in legno - Ceramic and porcelain and wood table and chairs cm 100 x 80 x 75

INVILUPPO ORO | 2013Forma scultorea di tubolari in terraglia, smalto e terzo fuoco in lustro oro - Sculptural form of tubular earthenware, glaze and third firing in gold lusterdiametro 50 cm - 50 cm diameter

CONVIVIO | 2013Ceramica smalto lucido e opaco tecnica - Ceramic and matt and polished glazecm 150 x 100

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Jill Foulston, “La Vita e Bella: The Elegant Art of Living in the Italian Style”, September 2014

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Jill Foulston, “La Vita e Bella: The Elegant Art of Living in the Italian Style”, September 2014

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Jill Foulston, “La Vita e Bella: The Elegant Art of Living in the Italian Style”, September 2014

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Catalogue of Arte Laguna Art Price13.14, Francesco Ardini, 2014

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Technologies Numériques, La revue de la céramique et du verre, n°199, Novembre - Decembre 2014

Technologies Numeriques - la revue de la céramique et du verre n° 199/2014

Technologies Numeriques - la revue de la céramique et du verre n° 199/2014

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Taiwan Ceramics Biennale 2014, Catalogue Exhibition, 2014

TAIWAN CERAMICS BIENNALE 2014 : TERRANOVA - Catalogue exhibi� on-

TAIWAN CERAMICS BIENNALE 2014 : TERRANOVA - Catalogue exhibi� on-

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Nantong International Contemporary Crafts Biennale 2014, Catalogue Exhibition, 2014

NANTONG INTERNATIONAL CONTEMPORARY CRAFTS BIENNALE 2014 - Catalogue exhibi� on -

NANTONG INTERNATIONAL CONTEMPORARY CRAFTS BIENNALE 2014 - Catalogue exhibi� on -

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“An Interview With Francesco Ardini”, Interiorator, 12 March 2013

An Interview With Francesco Ardini

Disgust. Decay. Not necessarily the first words that spring to mind when you think of great art or design. Italian ceramicist Francesco Ardini, however, has managed to create visually stunning pieces exactly around these themes. He is one of my favorite artists of the moment and it excites me to no end that he made some time recently for an exclusive interview with Interiorator.

Francesco Ardini

So Francesco, I’m a big fan of your work and I’ve noticed that decay and dissolution are important themes for you. Why?My research accepts the idea that a large part of reality is not linear, but chaotic, upsetting the static nature of elements of the contemporary home environment. We live in a society where everything has become precarious. Relationships and needs have changed due to virtual connectivity. Domestic objects, such as ceramics have to evolve as anything in nature in order to survive this change. They are no longer an immutable, static or solid presence in the house. They expand, seeking a new balan-ce and meanings like an organism in nature.

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“An Interview With Francesco Ardini”, Interiorator, 12 March 2013

Proliferazione

Last year I posted a picture of Proliferazione on the blog I write for Dutch department store de Bijenkorf – and it seemed like people either really love your work or totally hate it. How do you deal with that?In the logic of natural transformation in my work everything changes in an organic way which leads to a sense of disgust at the excessive proliferation of life in nature. The feeling of disgust works firstly with repulsion, this leads to a boost in perception, bringing ones attention to the details of what was previously repudiated, then one studies it , seeks to under stand; the process continues to mutate, into curiosity and finally interest. Only disgust allows access to splendor, to the inef-fable beauty of nature. This concept may not be immediately obvious to everyone, especially if the traditional vase is still a commonly accepted aesthetic.

Volume of Disgust

Some of your work is currently on display at Guldagergård in Den-mark – how did that come about?The International Center for Contemporary Ceramics Guldagergård selected me to participate in Project Network 2013. The center selects 11 artists from all over the world who are free to express themselves in an organized creative space for more than a month. The work I have created is deliberately provocative. It is entitled “Volume of Disgust”.In this work I present the food that is served on the ceramic material as an element of domestic unrest we are experiencing. The exces-sive amount of food in our society has led to an overproduction of its “pottery” on which it is served. The excess has no dimension. In this work there is a force like a volume; extruded but hyperchaotic in which the details of organic transformation become a witness to the precariousness of nature. The chicken is a common element on tables all around the world and therefore the work has an immediate and global force.

Vasebook®

You’re very successful as an artist. Would you consider designing a mass-produced object, like a vase for IKEA?I think that today I must be flexible to work on all levels. Design has different lanuguages and needs than art…but I try to stay true to my need to create ceramics that lives in the present. Communication via social networks has led to a profound change in our society by cre-ating a kind of body that is continually connected. I have previously designed a product that shows how a simple object like a white vase may change depending on the user. I’m talking about Vasebook ®!You can update it and share with friends. But at the same time the vase remembers his duty indissoluble within the home.Remove the lid (which functions as a holder for notifications) and the vessel carries out its normal function. As Facebook’s homepage presents a band of blue and white so does the vase. Vasebook® is completely handmade.It would be wonderful to bring my attitude to dialogue and variability into a global phenomenon like IKEA.

Which artist or designer do you admire and know personally?I would call myself a renaissance man, with a finger in every pie. I follow many different fields: architecture, design, technology, fashion, graphics … and of course art.I try not to get attached to anything in particular, to have a certain detachment from my specific path even if I am a careful observer. I would like to bring your attention to the study of young Italian archi-tects Disguincio & Co. , where the architecture is designed conside-ring a living organism, subject to technical, physical and environmen-tal solutions.

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Alessandro Turci, “CIRCE: Dov’è la magia? Intervista a Francesco Ardini”, Ceramica Nuova, n°3, 2013, p. 34-35

CIRCE : Dov’è la magia? - CERAMICA NUOVA n° 3/2013

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Alessandro Turci, “CIRCE: Dov’è la magia? Intervista a Francesco Ardini”, Ceramica Nuova, n°3, 2013, p. 34 - 35

CIRCE : Dov’è la magia? - CERAMICA NUOVA n° 3/2013

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Project Network, Guldagergaard - International Ceramic Research Center, Catalogue of the exhibition, 2013

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“FrancescoArdini”, Ceramics Now Magazine, 2012

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Alessandra Valli, AD, n.370, March 2012, p.33

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Alessandra Valli, AD, n.370, March 2012, p.33

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Catalogue of Fondazione Vignato per l’arte. 10 anni di collezione: 2002-2012, publication curated by Lorenza Tonani and Elisa Paiusco, 2012

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“Ardidesign, la ceramica vive”, Lancia Trend Visions, 2010

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“Ardidesign, la ceramica vive”, Lancia Trend Visions, 2010

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Elle Decor Italia

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“Francesco Ardini, Chaotic Ceramics”, Feather Of Me Website

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“Francesco Ardini, Chaotic Ceramics”, Feather Of Me Website

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