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La nascita del monoteismo intervista con jean assmann

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La nascita del monoteismo. Intervista con Jean Assmann

Da Le monde des religions, n. 28, mars-avril 2008, p. 40-41.

(a cura di Florence Quentin)

La nascita del monoteismo. Intervista con Jean Assmann (a cura di Florence Quentin)

Professore di egittologia a Heidelberg e membro dell’Istituto tedesco di archeologia, Jean

Assmann traccia in le Prix du monothéisme, un “ritratto” del monoteismo, di cui aveva

raccontato la nascita in Moïse l’égyptien (Aubier, 2001). Secondo lui, la sua caratteristica

principale non è la distinzione tra un dio unico e delle divinità multiple, ma tra la verità e

l’errore. Ecco l’intervista:

Si può dire che il monoteismo è nato dal politeismo e da una evoluzione del pensiero, o

invece che è una “invenzione” indipendente dalle religioni precedenti?

Procede da ambedue le cose. Dal politeismo, con un lungo processo di evoluzione (l’Egitto

ne è il miglior esempio) e da un atto rivoluzionario di abbandono di tutte le tradizioni. Si può

dunque distinguere un monoteismo evolutivo e l’altro rivoluzionario. Il motto del monoteismo

evolutivo si riassume in ”Tutti gli dei sono uno” e il rivoluzionario dice:”nessun dio se non

Dio” o anche “non altri dei”. Si parla dunque di monoteismi inclusivo e esclusivo. L’esempio

più antico di monoteismo esclusivo è quello del culto di Aton, introdotto dal re egiziano

Amenofis IV, Akenaton. Ma anche questo monoteismo rivoluzionario non è caduto dal cielo.

Esso presuppone una tradizione più antica, dalla quale si allontana in maniera polemica.

Akenaton ha soltanto radicalizzato una “nuova teologia del sole” che già esisteva. Quanto al

“movimento di Jehovah solo” (Bernhard Lang), rivoluzionario, esso si impone per tappe,

prima che si costituisca il monoteismo puro.

Come è germinata nella mente degli uomini l’idea del Dio unico?

Le religioni del mondo antico non conoscevano un allegro bazar di divinità, ma un mondo

strutturato di dei, un pantheon. Questo implica già l’idea di unità. Opera di un solo creatore,

il mondo è pieno di dei, ma non c’è che un Dio increato, autocostituito, da cui tutto proviene.

Tale prospettiva monoteista è molto pronunciata in Egitto. Il concetto di Akenaton era che il

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mondo, non solo proveniva da un’origine, ma che era mantenuto nel quotidiano da questa

fonte unica di energia vitale cosmica, Aton, il sole. Con il suo movimento esso generava il

tempo, e con i suoi raggi la luce e il calore. È un monoteismo cosmologico, molto diverso da

quello che la Bibbia associa a Mosè, quello della legge e della fedeltà a un solo Signore.

Quest’ultimo presuppone l’esistenza di altri dei. Che senso avrebbe altrimenti la legge della

fede? Ben più decisiva dell’affermazione dell’uno, che si ritrova nei testi “pagani”, è la

negazione dei molteplici (“Nessun altro esiste se non te” in Akenaton, “Tu non devi avere

altri dei presso di te” per Mosè).

Il «l’uno l’unico» degli Egiziani, il «YHWH è uno»dello Shema ebraico e il «Dio è uno»

dell’Antichità greco-romana sono lo stesso dio?

L’uno l’unico egiziano celebra il dio dal quale tutto il mondo, gli dei e gli uomini, proviene. La

preghiera dello Shema si riferisce, con «YHWH nostro Dio è uno solo», al dio unico che

Israele deve amare con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.. Il motto «heis

theos» («un dio») delle iscrizioni greco-romane oscilla fra i due significati: un dio fra o sopra

tutti gli dei e un dio solo che può salvarci.

L’affermazione di un dio unico da parte di Akenaton può essere considerata come il primo

vero tentativo di monoteismo?

È il primo vero monoteismo perché abolisce e persegue gli altri dei, cioè i loro culti.

All’inverso di quel che avviene nel monoteismo biblico, si tratta di un dio che si occupa del

mondo nella sua totalità, ma non degli individui. Il dio di Akenaton è il sole, e nient’altro che il

sole, che brilla sul Bene e sul Male, senza preoccuparsi della giustizia, dell’ingiustizia e del

modo di vivere di ciascuno. Soltanto Akenaton può entrare in relazione personale con

questa potenza, e il sole appare soltanto a lui sotto i tratti di una persona. Per il comune dei

mortali come per il resto della creazione, il dio Aton è soltanto energia cosmica. Ci si può

domandare se si tratta di un teismo e non piuttosto di un deismo, di un atto che dipende

meno dalla fondazione di una religione, che da un “disincanto” del mondo.

In Moïse l’Égyptien lei dice che, malgrado l’avvento del monoteismo, il cosmoteismo ha

attraversato i secoli e ha accompagnato la spiritualità occidentale, “corrente vivace” dotata di

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una “affascinante capacità di rinascita”.

Il cosmoteismo postula la divinità del mondo, il monoteismo considera un Dio che è esteriore

al mondo. Le due posizioni si escludono, eppure vi sono dei gradi intermedi, delle linee di

comunicazione. Il cosmodeismo conosce l’idea della divinità “ipercosmica”, che supera il

cosmo visibile, nella misura in cui essa lo precede come origine e non si manifesta a esso

che “in riflessi colorati” (Goethe). Il monoteismo insiste sulla radicale esteriorità al mondo del

dio trascendente, e collega dio e mondo mediante la creazione. L’idea di creazione separa

dio e mondo come soggetto e oggetto, e tuttavia il mondo può essere compreso come un

atto della rivelazione, come lo presenta l’insegnamento cristiano. Questa tensione

caratterizza la storia spirituale e religiosa occidentale.

Il monoteismo non genera forse l’intolleranza con una affermazione che è estranea al

politeismo: “tutto ciò che è fuori di me rientra nel campo dell’errore e dalla menzogna”?

Lei tiene come aperta l’idea della religio duplex (religione doppia). Che cosa nasconde? Il

problema del monoteismo esclusivo è l’intolleranza. La distinzione fra vero e falso non

autorizza gradi intermedi. Questa distinzione era estranea alle religioni pagane del mondo

antico, e con essa l’idea di dei falsi e di falsa religione. Le religioni monoteiste devono

allontanarsi da questo concetto di verità assoluta. Le verità della fede non possono essere

mai universali e assolute. Però esse sono vere per coloro che vi credono e dobbiamo

attenerci a questa verità. È una visione del secolo XVIII e un compito che le religioni attuali

non hanno ancora compiuto intellettualmente: il concetto di religio duplex faceva la

differenza fra la religione del popolo che doveva attenersi a delle verità assolute e la

religione degli iniziati che aveva capito il carattere relativo delle verità della fede, ma

tenevano alla rappresentazione di un Essere Superiore e all’obbligo di regole morali. Oggi la

differenza fra “popolo” e “iniziati” non ha naturalmente più senso. Ma dobbiamo riconoscere

che esistono, al di là delle religioni e delle loro credenze, alcune regole del gioco universale

nel rapporto con l’altro, che sono inerenti alla natura dell’Uomo.

Risposte raccolte da Florence Quentin

(Da Le monde des religions, n. 28, mars-avril 2008, p. 40-41.)

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