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1 Nostra Signora del Nilo (Notre-Dame du Nil) di Scholastique Mukasonga traduzione dal francese di Stefania Ricciardi 66THAND2ND 2014 pagine 210 a cura di Rocco Santoro Premessa Il romanzo di Mukasonga ci proietta dentro la tragedia ruandese, l’ultimo genoc idio del secolo scorso che riassume tutte le tregende del secolo breve: odio razziale fomentato da una mistificazione e una mitologia ideologica, fallimento delle politiche postcoloniali, impotenza delle organizzazioni internazionale e dei suoi strumenti, ipocrisia delle democrazie occidentali, crisi dell’ideologia della democrazia e sovranità nazionale, fine della neutralità dell’intervento umanitario, sudditanza della politica al riduzionismo economico, default del sistema dei mass-media mondiale nel racconto della catastrofe. Queste tematiche richiedono una profonda riflessione critica che non sfoci in un decostruttivismo consolatorio, ma fornisca basi solide per un nuovo approccio alla risoluzione di conflitti etnici in contesti non occidentali. Per questo i contributi che seguono si soffermano sul significato letterario dell’opera correlato al genocidio Tutsi del 1994 ma senza avere la pretesa di fornire risposte agli interrogativi che ad oggi ancora sono privi di risposte soddisfacenti: il genocidio dei Tutsi era evitabile? Si potrebbero ripresentare condizioni tali da generare una nuova ecatombe? E’ lecito un intervento internazionale anche militare in un paese sovrano per impedire un genocidio? Come si possono depotenziare i conflitti socioeconomici camuffati da conflitti interetnici? Mukasonga è un caso letterario perché nasce scrittrice per dovere etico non per vocazione e questa sua dimensione trova la sua espressione attraverso la struttura narrativa del terzo millennio che opera indipendentemente da un discorso etico - morale. Per questo leggere Mukasonga significa ribaltare luoghi comuni letterari, formulando un’estetica della memoria dell’indicibile. Biografia Scholastique Mukasonga, nata in Ruanda nel 1956 da etnia Tutsi e residente in Francia dal 1992, è una sopravvissuta alle persecuzioni razziali nei confronti della sua etnia. Esule in Burundi fin dal 1973, insieme al fratello, André, poiché abbandonò la scuola d’assistente sociale a Butare, a causa della persecuzione razziale anti-Tutsi che si scatenò in Ruanda, successiva alla persecuzione anti- Hutu in Burundi 1 dell’anno prima, divenne scrittrice per preservare la memoria di ciò che lei, la sua famiglia e il suo popolo subirono in Ruanda. La sua produzione letteraria si focalizza sulla sua esperienza di rifugiata. Nel 2006 Gallimard pubblica la sua prima opera autobiografica “Inyenzi ou les cafards” (Inyenzi ovvero gli scarafaggi). La seconda opera, “La femme aux pieds nus” (La donna a piedi nudi) pubblicata sempre da Gallimard nel 2008, ne consacra il successo sia in termini di vendite sia in termini di critica. Il libro è un magnifico racconto della sua infanzia a Nyamata, dove la sua famiglia fu deportata nel 1960. Un omaggio reso alla madre coraggiosa, Stefania trucidata durante il genocidio del 1994 insieme a 37 membri della sua famiglia, la quale per tutta la sua esistenza ha sempre protetto i suoi sette figli. La scrittura appassionata e fluida, tragica e gioiosa a seconda delle circostanze, è il sudario dell’autrice con il quale cerca di coprire il corpo della madre. Il libro vinse il premio Seligman contro il razzismo. Anche la sua terza opera L’Iguifou del 2010, una raccolta di storie ruandesi, conferma un talento poetico nella narrazione della crudeltà umana attraverso un florilegio di colori, fiori, alberi, uccelli e sensazioni tattili. L’opera vince i primi Renaissance de la Nouvelles e quello dell’Académie des Sciences d’Outre-Mer. nel 2012 viene pubblicato Notre Dame du Nil, che è il suo primo romanzo suggello del percorso letterario di autobiografia e di tutela della memoria del genocidio. Il prestigioso premio Renaudot consacra la scrittrice ruandese come una delle migliori voci letterarie contemporanee di lingua francese. Le sue opere sono: Inyenzi ou les Cafards , 2006 11 La persecuzione causò circa 100000 morti dalle stime basate sui registri anagrafici esistenti fu praticato da elité Tutsi burundesi attraverso l’etnia Hima. Un ecatombe generata dall’insurrezione nel

Nostra Signora Del Nilo

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olocausto rwandese

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Nostra Signora del Nilo (Notre-Dame du Nil) di Scholastique Mukasonga traduzione dal francese di Stefania Ricciardi 66THAND2ND 2014 pagine 210

a cura di Rocco Santoro

Premessa Il romanzo di Mukasonga ci proietta dentro la tragedia ruandese, l’ultimo genocidio del secolo scorso che riassume tutte

le tregende del secolo breve: odio razziale fomentato da una mistificazione e una mitologia ideologica, fallimento delle

politiche postcoloniali, impotenza delle organizzazioni internazionale e dei suoi strumenti, ipocrisia delle democrazie

occidentali, crisi dell’ideologia della democrazia e sovranità nazionale, fine della neutralità dell’intervento umanitario,

sudditanza della politica al riduzionismo economico, default del sistema dei mass-media mondiale nel racconto della

catastrofe. Queste tematiche richiedono una profonda riflessione critica che non sfoci in un decostruttivismo

consolatorio, ma fornisca basi solide per un nuovo approccio alla risoluzione di conflitti etnici in contesti non

occidentali. Per questo i contributi che seguono si soffermano sul significato letterario dell’opera correlato al genocidio

Tutsi del 1994 ma senza avere la pretesa di fornire risposte agli interrogativi che ad oggi ancora sono privi di risposte

soddisfacenti: il genocidio dei Tutsi era evitabile? Si potrebbero ripresentare condizioni tali da generare una nuova

ecatombe? E’ lecito un intervento internazionale anche militare in un paese sovrano per impedire un genocidio? Come

si possono depotenziare i conflitti socioeconomici camuffati da conflitti interetnici? Mukasonga è un caso letterario

perché nasce scrittrice per dovere etico non per vocazione e questa sua dimensione trova la sua espressione attraverso la

struttura narrativa del terzo millennio che opera indipendentemente da un discorso etico - morale. Per questo leggere

Mukasonga significa ribaltare luoghi comuni letterari, formulando un’estetica della memoria dell’indicibile.

Biografia Scholastique Mukasonga, nata in Ruanda nel 1956 da etnia Tutsi e residente in Francia dal 1992, è una sopravvissuta alle persecuzioni razziali nei confronti della sua etnia. Esule in Burundi fin dal 1973, insieme al fratello, André, poiché abbandonò la scuola d’assistente sociale a Butare, a causa della persecuzione razziale anti-Tutsi che si scatenò in Ruanda, successiva alla persecuzione anti-Hutu in Burundi1 dell’anno prima, divenne scrittrice per preservare la memoria

di ciò che lei, la sua famiglia e il suo popolo subirono in Ruanda. La sua produzione letteraria si focalizza sulla sua esperienza di rifugiata. Nel 2006 Gallimard pubblica la sua prima opera autobiografica “Inyenzi ou les cafards” (Inyenzi ovvero gli scarafaggi). La seconda opera, “La femme aux pieds nus” (La donna a piedi nudi) pubblicata sempre da Gallimard nel 2008, ne consacra il successo sia in termini di vendite sia in termini di critica. Il libro è un magnifico racconto della sua infanzia a Nyamata, dove la sua famiglia fu deportata nel 1960. Un omaggio reso alla madre coraggiosa, Stefania trucidata durante il genocidio del 1994 insieme a 37 membri della sua famiglia, la quale per tutta la sua esistenza ha sempre protetto i suoi sette figli. La scrittura appassionata e fluida, tragica e gioiosa a seconda delle circostanze, è il sudario dell’autrice con il quale cerca di coprire il corpo della madre. Il libro vinse il premio Seligman contro il razzismo. Anche la sua terza opera L’Iguifou del 2010, una raccolta di storie ruandesi, conferma un talento poetico nella narrazione della crudeltà umana attraverso un florilegio di colori, fiori, alberi, uccelli e sensazioni tattili. L’opera vince i primi Renaissance de la Nouvelles e quello dell’Académie des Sciences d’Outre-Mer. nel 2012 viene pubblicato Notre Dame du Nil, che è il suo primo romanzo suggello del percorso letterario di autobiografia e di tutela della memoria del genocidio. Il prestigioso premio Renaudot consacra la scrittrice ruandese come una delle migliori voci letterarie contemporanee di lingua francese.

Le sue opere sono:

– Inyenzi ou les Cafards , 2006

11 La persecuzione causò circa 100000 morti dalle stime basate sui registri anagrafici esistenti fu praticato da elité Tutsi burundesi attraverso l’etnia Hima. Un ecatombe generata dall’insurrezione nel

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– La femme aux pieds nus , 2008 (prix Seligmann 2008 « contre le racisme, l’injustice et l’intolérance » )

– L’Iguifou, Nouvelles rwandaises , 2010 (prix Renaissance de la nouvelle 2011 et le Prix de l’Académie des Sciences d’Outre-Mer.)

– Notre-Dame du Nil, 2012 (premio Ahmadou Kourouma - dedicato al celebre scrittore ivoriano deceduto nel 2003 – 2012; premio Renaudot 2012; premio Francine et Antoine Bernheim pour les Arts et les Lettres de la Fondation du Judaïsme 2015)

– Ce que murmurent les collines: Nouvelles rwandaises, 2014 (Grand Prix SGDL de la Nouvelle 2015)

Mukasonga è sposata con un francese ed ha due figli e risiede nella Bassa Normandia.

Scrittrice della memoria Mukasonga spiega così la sua decisione di diventare scrittrice attraverso diverse interviste rilasciate che sono reperibili tramite il suo sito http://www.scholastiquemukasonga.net/home/:

«Ho scoperto in me talento di scrittore perché mi sono trovata ad affrontare la tragedia del Ruanda. Io sono uno dei pochi sopravvissuti, mi permetto di aggiungere, non sopravvissuti al massacro. Faccio la distinzione tra le due condizioni, perché vengo da Nyamata, la zona di espulsione Tutsi nel 1960. Noi siamo stati purtroppo sottoposti a persecuzioni e massacri per quasi 34 anni prima del genocidio nell'indifferenza di tutti. E quando la tragedia si è manifestata nel 1994, tutta la popolazione è stata sterminata e non ci sono stati sopravvissuti o sopravvissute

nel mio villaggio a Nyamata. Se fossi stata là in quel momento, nell'aprile 1994, avrei subito la stessa sorte degli altri. (…)

Io sono sopravvissuta per la scelta dei miei genitori e il coraggio soprattutto di mia madre Stefania. Venti anni fa, nel 1973, durante il mini-genocidio ruandese scelsero di inviare due dei suoi figli, mio fratello Andrea e la sottoscritta, in Burundi. Questo paese vicino di casa ha ospitato rifugiati tutsi in fuga dai massacri che avanzano gradualmente. In effetti, ella [mia madre] ci voleva far emigrare, perché potessimo un giorno essere i custodi della memoria di famiglia. Gli Hutu erano considerati come scarafaggi (Inyenzis) che dovevano essere sterminati completamente. Io sono il custode della memoria dall'età di 16 anni e la scrittura è il modo migliore per farlo. (…)

Stavo in Francia dal 1992 quando ho saputo del genocidio nell'aprile 1994. Ho iniziato a scrivere in un taccuino blu di scuola per ricordare eventi, nonostante l'ansia e la paura del momento. Quando sono venuta a sapere che la mia famiglia era stata sterminata e che ero l'unico sopravvissuta! Naturalmente mio fratello André era già in Senegal. Di fronte l'emozione di questa tra gedia avrei potuto perdere lamemoria e dimenticare tutto e fallire nella missione che prima mi ero data. Ho cosi tanto scritto che mi sono detta perché non proporre il mio manoscritto, in luglio 2006, sul mio vissuto da rifugiata a Nyamata alle case editrici di Plon, Actes Sud, Michel Lafont e Gallimard. Nel mese di settembre, Jean-Noël Schifano, direttore della collezione Oscuro Continenti Gallimard primo mi ha contattato dicendomi "Sei d'accordo che pubblichiamo il vostro libro? ". Ho subito dato la mia risposta positiva.»

L’Opera Il racconto si colloca nel filone del romanzo post-moderno, costruendo una narrazione del passato che permetta di giocare con esso senza stravolgerne il continuum, ma sottolineando incongruenze, paradossi, velleità e indeterminatezze. La trama è privata dell’unità aristotelica e di forme d’introspezioni psico-sociali anche a costo di proporre personaggi che presentano costantemente una sola dimensione. Mukasonga dimostra di padroneggiare con una sufficiente disinvoltura la strumentazione dello scrittore contemporaneo: scoprire l’ignoto come se non fosse tale; usare elementi di finzione e

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di realtà storica con lo stesso valore euristico; non avere mai un centro di riferimento narrativo costante. Per cui le protagoniste del romanzo sono coralmente le allieve del fantomatico liceo femminile a conduzione religiosa Notre Dame du Nil, costruito a ridosso delle fonti del Nilo, il fiume che simbolicamente funge da levatrice della miticità delle origini dei Tutsi. La collocazione temporale è gli inizi degli anni 70 che inaugureranno per i Tutsi il loro tragico destino di capri espiatori delle ambizioni politiche della classe dirigente Hutu, alla perenne ricerca di un fattore coagulante l’identità nazionale, depurato dalle radici della storia ruandese, nella quale i Tutsi governarono gli Hutu in simbiosi. Il fine della menzogna storica sui Tutsi e le loro mitiche origini è fornire una giustificazione davanti alla comunità internazionale ed in particolare dei Belgi e dei loro cugini francesi l’spoliazione di potere politico-economico dei Tutsi e la politica delle quote.

Le vicende scolastiche delle allieve tutte appartenenti ad un elité sono l’occasione per (di)mostrare come il preconcetto razzista si deve coltivare fin da giovani perché possa avere successo socialmente. E l’istituzione scolastica lascito del potenza coloniale (il Belgio) contribuisce senza alcun tentennamento alla piena realizzazione del disegno sterminatorio razzista fomentato dalla classe dirigente nazionale. « microcosme existentiel, un prélude exemplaire au génocide rwandais, fascinant de vérité sans faille » così recità la quarta di copertina della prima edizione francese

Mukasonga pur manifestando una inevitabile simpatia per le immaginarie allieve della quota Tutsi (10% secondo i dati del censimento etnico) riesce a tenere il registro nella migliore tradizione naturalista francese (in rigoroso ordine alfabetico Balzac, Flaubert, de Maupassant, Zola) tuttavia senza mai scadere nella minuziosa pedanteria da scienziato della società che caratterizzò non di rado il movmento letterario francese. Infatti la scrittrice ruandese persegue il suo fine di preservare la memoria e nel contempo di distinguere bene le responsabilità interne ed esterne alla società ruandese; c’è quindi nella scrittura un evidente schierarsi da una parte fin da subito. « Les photos

des chefs ont subi la “révolution sociale”, dit Gloriosa en riant. Un coup de stylo, un coup de machette, et pffft…, fini les Tutsi » (p.14-15 dell’edizione francese pag 12 dell’edizione italiana). Come osserva Azarian2 “L’autrice mette cosi in luce la volontà di distruzione integrale: distruzione dell’esistenza e delle tracce dell’esistenza contro la quale testimoniare è una posta essenziale”. [pag 6 mia traduzione].

Il racconto della memoria della sopravvissuta, nell’accezione di ultima superstite e non di scampata all’ecatombe, però è complesso perché si intreccia con il racconto dell’adolescenza e del rito d’iniziazione rappresentato dai viaggi che caratterizzano l’entrata delle fanciulle nel mondo delle donne che formeranno l’elité femminile del paese: Veronica va dalla zia per consultare il ritualista di corte; Gloriosa e Modesta vanno a modificare il naso della statua della Vergine Maria; Goretti ed Immacolata vanno a scoprire i gorilla e come i bianchi si erano impadroniti anche di loro; Virginia viaggia attraverso il delirio mitico di Fontenaille nel suo sogno patinato; Godelive si esilia a causa del suo mancato viaggio in Belgio; Frida viaggia con il suo grottesco e laido Pigmalione che la condurrà alla sua morte che “poneva fine all’esempio scandaloso”.

Ma un altro racconto s’intreccia ed è quello della polisemia della politica che disegna gli eventi tragici dei pogrom contro i Tutsi: una polisemia testimoniata da Gloriosa nella sua lucidità macchiavellica . « (…) Mon père dit qu'on ne doit jamais oublier de faire peur au peuple. » (p.194 edizione francese, pag 176 edizione italiana).La menzogna, la paura, il ricatto e la violenza psico-fisica sono i tensori della dinamica storica del genocidio Tutsi in Ruanda, ma che possono facilmente essere traslati in altre realtà a partire dal Burundi. Persino la Shoa può essere ricondotta a questi elementi, pur rimanendo integra la sua alterità ed unicità.

Stante un simile contesto diventa difficile accettare l’ interpretazione di Sévérine Kodio-GrandVaux su Jeune Afrique di Veronica come un alter ego della scrittrice. L’autrice stessa nega di aver alcuna

2 Azarian V. (2014) Poétique du témoignage dans l'oeuvre de Scholastique Université de Bayreuth

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identificazione con una delle ragazze del liceo e sostiene che finalmente attraverso la scrittura del suo primo romanzo di aver metabolizzato l’indicibile orrore che ha attraversato/devastato la sua esistenza.

Tuttavia vi è un ragione strettamente letteraria per cui l’interpretazione della critica della prestigiosa rivista è errata: se fosse vera l’identificazione significherebbe ricondurre Nostra Signora del Nilo nella grande famiglia del romanzo moderno. Ed invece Mukasonga non è in nessun modo una scrittrice moderna a causa di una serie di considerazioni letterarie.

Innanzitutto il costrutto sintattico è lineare, semplice non particolarmente ricercato dal profilo lessicale; a ciò si aggiunga che la prosa è succinta pseudo scientifica nelle descrizioni, scevra da sperimentazioni ma pregna di una sottile ironia. Inoltre Mukasonga fa continuamente uso di vocaboli ed espressioni provenienti dalla lingua parlata ruandese kinyarwarda (ma non solo c’è anche swahily e kirundi) non sempre tradotte o contestualizzate, perché come fa osservare Richard Oko Ajah3 “La scrittrice allarga il campo semantico della parola ruandese al fine di confutare i paradigmi epistemologici occidentali e decostruire la concettualizzazione linguistica eurocentrica”[pag 56 mia traduzione].

Ma è l’elemento magico-rituale che colloca la scrittura della ruandese nell’ambito del romanzo del terzo millennio: il rito e la magia sono componenti essenziali della narrazione e delle vicende storiche senza che vi sia alcun tipo di giustificazione o spiegazione ragionevole di esse fatto salvo il contesto culturale in cui si svolge il racconto quello ruandese. Un fatto che determina ciò che Dominique Maingueneau4 chiama « porosité des frontières entre fiction et document » in forma assoluta perché il magico-rituale è oltre la finzione e si pone come altra realtà non raziocinante, ma capace di fornire risposte soddisfacenti alle istanze del popolo, in particolare in occasione di crisi o di tragedie.

Ecco perché Mukasonga è caso di studio letterario che trasversalmente taglia le scienze sociali, la politica, la storia e l’etica. Si può individuare nel suo percorso letterario una missione volta a trovare una capacità di capitalizzare l’eredità traumatica dell’economia genocida: malnutrizione, spoliazione, umiliazione5. Una triade che rende possibile «dire l’indicibile, leggere l’incomprensibile» il compito che Alain Goldshlager6, direttore dell’Holocaust Literature Research Institute, afferma essere proprio della letteratura della testimonianza della Shoa

Per parlare dell’indicibile si deve rendere tutto chiaro, lineare, anche se di linearità non ve n’è. Mukasonga non prepara nessun colpo di scena, non crea alcuna palpitazione (se non durante la scalata alla statua della Madonna); la narrazione scorre senza intoppi, dove l’unica difficoltà è il vernacoliere ruandese. Si prenda l’episodio scatenante i pogrom anti-Tutsi nella scuola: tutti credono al tentato stupro di Gloriosa e Modesta come se fosse già prospettata dalla madre superiora e di padre Herménégilde tale eventualità. Perfino quando Gloriosa nella seconda versione dei fatti aggiunge un nominativo preciso nessuno s’insospettisce, anzi appaiono tutti già pronti per la caccia al Tutsi. La scrittrice voleva dirci che la caccia al Tutsi era già scritta e niente l’avrebbe potuta fermare? O piuttosto stressare sulla capacità carismatica di Gloriosa figlia di un ministro? Non si ha la risposta, ma rimane la continuità letteraria nel passaggio da una situazione tendenzialmente routinaria ad un escalation senza ritorno di avvenimenti. In un romanzo moderno ci sarebbe stato un processo interiore di trasformazione dell’eroe/eroina che accompagnava il lettore nel partecipare alla vicenda narrata. Al contrario in Notre Dame du Nil non si riscontra il tentativo di far immedesimare il lettore con i personaggi del romanzo: essi non hanno bisogno del “pubblico” perché sono già determinati dalle

3 Richard Oko Ajah (2015) “Lilies in the Mires”: Contesting Eurocentric Paradigms and Rhetoric of Civilization in Scolastique Mukasonga’s War Narratives DOI: 10.1515/hssr -2015-0004 4 Dominique Maingeneau 1987 Nouvelles tendances en analyse du discours Paris, Hachette. 5 Il capitolo V «la Missione de Scholastique Mukasonga» dell’opera The Unspeakable: Representations of Trauma in Francophone Literature and Art Cambridge Scholars Publishing 2013, a cura di Névine El Nossery,Amy L. Hubbell, usa questi tre sostantivi per articolare una interessante disamina della scrittura di testimonianza delle opere della Mukasonga. 6 Uno dei maggiori studiosi della letteratura della Shoa e della testimonianza

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vicende tragiche in cui si ritrovano. Non hanno niente da aggiungere se non la loro fisica presenza sul luogo del misfatto. Il pubblico lettore scorre con facilità le pagine del racconto osservando dall’esterno questo microcosmo scolastico in cui si sta per consumare il preludio dell’ultimo genocidio del XX secolo. Ogni capitolo sembra un episodio di una novella Comedié Humaine ruandese che si conclude con il pogrom e l’esilio di una sopravvissuta. Grazie a Mukasonga, noi ora sappiamo cosa è accaduto e se malauguratamente si verificasse una prossima volta non potremmo certo più fare finta di non capire l’esplosione dell’orrore razzista.

Cosa dice l’autrice Dal suo blog, la traduzione è del sottoscritto:

"Dalle prime immagini di massacri in televisione nel 1994, mi sono reso conto che il Ruanda è stata teatro di un genocidio. Immediatamente ho saputo che ho dovuto mantenere, conservare tutta la memoria a tutti i costi le persone che hanno perso la vita tragicamente. Ho iniziato a scrivere ovunque, in qualsiasi momento! Inizialmente ho scritto per la mia famiglia, i miei amici, i miei figli, senza pensare di eventuale pubblicazione.

Dieci anni dopo, ho trovato la forza di affrontare la realtà per tornare al mio villaggio in Ruanda. Laggiù ho imparato a camminare, a ballare, a cantare, non c'era niente altro che la campagna. Improvvisamente, ho sentito terribilmente la paura che la memoria svanisse. Era indispensabile che rientrassi il più velocemente possibile in Francia per rielaborare rapidamente i miei scritti, consegnarli alle stampe. Nel 2005 ho inviato il mio manoscritto in particolare a Gallimard.

In breve tempo Jean-Noël Schifano7 mi ha suggerito di pubblicare nella collana Continenti neri. Avevo vissuto per anni, fin dalla più giovane età, nel campo di Nyamata dove si erano riuniti i tutsi eventi così oscuri e così negativi che fui sul punto dell'insensibilità per sfuggire alla disperazione. Quando il positivo è venuto con la pubblicazione del mio primo libro, ho imparato gradualmente a far posto alla piccola stella che mi diceva: nulla è bianco o nero, ci si può aggrappare alla parola "ottimismo ",non tutto è perduto.

Il Prix Renaudot mi ha dato fiducia nella mia vocazione di scrittrice. Questo primo romanzo mi ha permesso di godere il piacere di scrivere senza soffrire. Non sono più un prigioniero del tema del genocidio, anche se è ovviamente alla base della mia ispirazione. Mi sento liberata e pronto a scoprire altre storie. La mia esigenza è quella di parlare a tutti, a tutti gli spettatori, semplici o intellettuali, di tutte le età, che serve come una memoria collettiva. Oggi non riesco a vedere la mia vita senza la scrittura. "

L’intervista Il 7 gennaio 2013 sul sito Babelio i quattro membri della giuria del Premio Océans intervistano Scholastique Mukasonga. La traduzione è del sottoscritto:

Prima di tutto complimenti per il premio Renaudot assegnato alla "Madonna del Nilo!" Come avete vissuto l’annuncio del premio? E come è stato qualche giorno dopo?

Sono sicuramente sorpresa e contenta dell’assegnazione del premio Renaudot al mio libro. Non me l`aspettavo. Tuttavia, il mio libro non era forse questo "oggetto-letterario non identificabile" com’è stato descritto da alcuni giornali. Poco dopo la sua uscita nel marzo 2012, aveva ricevuto il premio a Ginevra Kourouma ed era stato segnalato dalla critica come un libro importante. Aveva fatto parte della selezione “Primavera” del Premio Renaudot e il mio editore Gallimard aveva riposto grandi speranze su di lui per il premio8. Speranza disattesa dopo che non era più presente nelle successive liste di Renaudot e grande delusione per me. Pertanto che gioia vedere così dopo questi avvenimenti assegnato il Renaudot! 7 NdT Schifano è l’inventore della collana « Continents Noirs » della Gallimard, di cui è il direttore letterario 8 NdT l’esclusione tra la lista di novembre era sicuramente attribuibile al flop delle vendite del libro dalla sua uscita: 4000 copie in un semestre. Fu il premio nobel 2008, Jean-Marie Gustave Le Clézio (noto come J. M. G. Le Clézio) a risolvere il problema alla giuria che sembrava incapace di trovare un vincitore facendo vincere alla decima votazione la scrittrice ruandese.

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Torniamo al romanzo "Nostra Signora del Nilo". Ha scritto questo libro come un omaggio ai dispersi? Una necessaria puntualizzazione storica? Un dovere di verità? Terapia?

C'è un po’ di tutti e tre. L`omaggio ai dispersi, alla mia famiglia, a mia madre, a tutti coloro di Nyamata, a tutti del Ruanda, credo d’averlo fatto già nei miei primi due libri, “Inyenzi o scarafaggi” e “La donna a piedi nudi”. L'ampliamento del mio campo di scrittura era già iniziato l’uscita di L`Iguifou, dove la finzione rappresenta una quota molto ampia. Con “Nostra signora del Nilo”, ho deciso di scrivere un vero romanzo. Naturalmente come ogni romanzo, è costruito su basi autobiografiche: liceo Nilo Notre Dame sembra grande al liceo Notre Dame de Citeaux dove ero allieva a Kigali e i pogrom contro gli studenti Tutsi sono quelli del 1973 che mi hanno obbligato ad esiliarmi in Burundi. Ma la finzione allarga la prospettiva, io non sono più la vittima in, sono la scrittrice che da fuori mi permette d`approcciare questioni come lo status delle donne, le antiche tradizioni del Ruanda, ecc. Il romanzo mi libera e m`apre molte strade, la cui più importante è la possibile riconciliazione tra i ruandesi.

La dimensione tragica del libro è sempre controbilanciata dalla leggerezza di queste adolescenti e delle loro storie di cuore, d`amicizia, etc. Ha lavorato nella direzione di mantenere questo equilibrio tra l`orrore che si prepara e la vita mondana delle ragazze?

L`humour ha sempre fatto parte dei miei libri ed importanti critici l’hanno posto l’accento. E’ vero che alcuni capitoli di Nostra Madonna del Nilo (la visita della regina Fabiola, per esempio) sono particolarmente satirici. Credo che sia necessario, infatti, che il lettore non sia sopraffatto dall`orrore e gusti anche la gioia della lettura. L`humour mi dà la distanza necessaria per continuare a scrivere senza cadere nella sofferenza e nella follia del sopravvissuto.

Ma l`humour anche nelle situazioni più tragiche è un tratto culturale ruandese. I Ruandesi lo gestiscono con grande destrezza: fa parte delle buone maniere, de l`eleganza. Lo gestiscono con proprio stile. Discreta, riservata, l`ironia mi sembra caratteristica della nostra cultura. Questo ha causato molti malintesi ...

Veronica, Gloriosa, Modesta, Virginia sono tante ragazze che popolano diverso il libro. Sono derivate interamente dalla vostra immaginazione o sono ispirate da ragazze che avete conosciuto in Ruanda? E qual è il carattere di Fontenaille: vi siete ispirata ad una persona reale o è completamente inventata per il libro perché c’era bisogno di mostrare qualcosa circa la presenza di europei in Ruanda?

I miei personaggi necessariamente prendono in prestito tratti presenti in molte giovani ragazze che hanno attraversato la mia strada, anche se nessuna corrisponde in particolare. E lo stesso vale per gli altri personaggi.

Fontenaille, nello specifico, simboleggia i miti e le fantasie mortifere che l`antropologia coloniale e dei falsi studiosi hanno inventato per la cosiddetta origine straniera dei Tutsi, anche fino a creare appositamente una razza speciale, i Camiti . Il fascino di Fontenaille per il fantasticato passato dei Tutsi fu quello che molti missionari e cosiddetti antropologi prima di diventare la versione ufficiale della storia del Ruanda visto dalla repubblica Hutu. Fortunatamente gli storici seri africanisti dal 1960 hanno denunciato e confutato questi miti.

Voglio ricordare che Tutsi, Hutu e Twa non sono gruppi etnici: parlano la stessa lingua, non hanno un proprio territorio, vivono uno accanto all'altro, condividono la stessa cultura. Le differenze erano soprattutto economiche: allevatori i Tutsi, coltivatori gli Hutu. Queste specializzazioni ovviamente non hanno senso oggigiorno. Noi siamo tutti i ruandesi e come vuole la leggenda tutti figli e figlie di Gihanga9.

Con il vostro libro, il lettore apprende alcune cose sulla società ruandese e il suo modo di operare, realizza anche che possiede una visione sommaria di quello che fu il genocidio del 1994. Quale libro (o libri) si dovrebbe conoscere per approfondire la storia del Ruanda, tra cui il genocidio del 1994? Pensa che la letteratura, in particolare il romanzo è più efficace in questo senso che il rapporto del giornalista o il lavoro dello storico?

9 Gihanga è il creatore o fondatore, un eroe culturale ruandese descritto nelle storie orali come un antico re Tutsi accreditato come il fondatore dell’antico Regno del Ruanda.

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Molti libri sono stati scritti circa le testimonianze delle vittime del genocidio, d`attualità, saggi polemici. Credo che il mio primo libro “Inyenzi o scarafaggi”, senza la pretesa di essere un lavoro d’uno storico, fornisce le tracce della complessità della situazione politica in Ruanda per più di trenta anni dal 1960 fino al genocidio del 1994. Se si vuole uno sguardo nel passato del Ruanda ed anche allargare ad altri paesi dei Grandi Laghi (Burundi, Uganda), si dovrebbe leggere il libro di Jean-Pierre Chrétien, Africa dei Grandi Laghi, Aubier, 2000.

Alla fine del romanzo, lei fa dire alla sua eroina: "Tornerò quando il sole della vita tornerà a splendere sulla nostra Ruanda.". Oggi ritiene che "il sole della vita" brilla di nuovo in Ruanda? Siete mai tornata o siete in procinto di tornare un giorno?

Le trasformazioni del Ruanda dal 1994 sono spettacolari. In ciascuno dei miei viaggi in Ruanda, sono sorpreso da così rapidi progressi. Kigali non è più una cittadina cupa ma è divenuta una vera capitale brulicante d`attività e s’è abbigliata di grattacieli come mai era stata vista finora.

Nyamata con le sue banche e i mercati moderni non ha nulla a che spartire con la sinistra città di profughi affollati attorno alla missione.

Non c’è che il mio villaggio, Gitagata, a sei chilometri di distanza, che rimane deserta, come se ci siamo rifiutati di vivere in un luogo impregnato di morte.

Avete già pensato d’iniziare il prossimo libro? Se è così, puoi dirci qualche parola?

Ho iniziato un libro nuovo per portarci indietro nel mondo coloniale degli anni ‘30 Mi ci vuole un grande sforzo di documentazione. Spero di realizzarlo bene...

Le letture da giovane e le frasi da ricordare Cosa dichiara a tale proposito sul suo sito:

«Al liceo Notre Dame de Citeaux, la biblioteca era povera e molto selettiva: avevamo letto solo "buoni libri": storie missionarie di martiri, specialmente quelli dell’Uganda, San Kizito.

Ho letto ancora alcuni classici: I miserabili di Victor Hugo, meno peggio per Alexandre Dumas: I tre moschettieri, Il Conte di Montecristo, ...

Ricordo d’aver letto Quo vadis di Henryk Sienkiewicz che è stato fortemente consigliato dalle suore.

Ho ancora letto Lo straniero di Albert Camus. Credo d’averlo comprato al mercato Kigali tra i rivenditori di libri, la maggior parte rubati dai ragazzi ai loro padroni. L'insegnante di francese, un francese, parla molto in corso.

Dopo il genocidio, ho letto molti libri sull'Olocausto, Primo Levi, Elie Wiesel. “Se quello è un uomo” è diventato il mio libro preferito. In parallelo con il libro “La donna a piedi nudi” lessi Albert Cohen, “Il libro di mia madre”, che m`ha veramente toccato.

Nella ricerca di documentazione su Richard Kandt, l`esploratore che ha scoperto la sorgente del fiume accanto alla quale sono nato, il Rukarara e che è considerato fonte del Nilo, ho saputo che al campo egli leggeva Nietzsche ogni sera, così mi sono immersa nella lettura del filosofo e non so in quale modo uscirne...

Naturalmente ho letto i classici della letteratura francese: Aimé Césaire, Léopold Sédar Senghor, Camara Laye, Ahmadou Kourouma e tutti i miei fratelli e sorelle della collezione "Black Continenti" ... Non posso citare tutti.

Le frasi che mi accompagnano sempre sono:

"Sopravvivere e testimoniare sono indissolubilmente legati" Primo Levi, Se questo è un uomo `

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"Per il sopravvissuto che vuole testimoniare il problema è semplice. E’ suo dovere di lasciare per i morti e per i vivi, e soprattutto per le generazioni future. Non possiamo avere il diritto di privare il passato che appartiene alla memoria comune.

Dimenticare significa pericolo e insulto. Dimenticare i morti sarebbe come ucciderli la seconda volta. E se, eccetto gli assassini e i loro complici, nessuno è responsabile della prima morte, noi lo siamo della seconda. " Elie Wiesel, Notte, pp. 22-23»

Opere femminili sul genocidii in Ruanda e Burundi Molte donne hanno testimoniato i massacri e le ecatombi di mezzo secolo nei due paesi confinanti. Questo è un elenco delle principali opere in lingua francese ed inglese.

Princesse des rugo. Mon histoire (2001) Autobiografia d'Esther Kamatari, Principessa del Burundi divenuta modella. Suo padre fu assassinato nel 1964

Le chant des Fusillés (1981) Romanzo di Nadine Nyangoma evocante il massacro degli Hutus (tra 100 000 e i 150 000 morti) a seguito della loro insurrezione contro il Governo Tutsi del Burundi nel 1972.

SurVivantes (2004) Testimonianza d'Esther Mujawayo (nata nel 1958) la cui famiglia fu quasi totalmente annientata dal massacro dei Tutsis in Ruanda nel 1994

Nous existons encore (2004) Autobiografia d'Annick Kayitesi (nata nel 1979) che dopo la fuga dal massacro di tutsi del 1994, trova rifugio in Francia, dove lei si trova ad affrontare molteplici problemi di adattamento

Lettre à Isidore (2003) Testimonianza di Perpétue Nshimirimana (nata nel 1961) la cui famiglia, di origine hutu, fu ostracizzata e discriminata dopo che suo padre, Isidoro Mugabonihera, è stato assassinato dall'esercito burundese nel 1965.

La mort ne veut pas de moi (1997) Testimonianza di Yolande Mukagasana (nata nel 1958) che ha perduto i suoi tre figli, suo marito, suo fratello e le sue sorelle durante il massacro del 1994.

Les Blessures du silence. Témoignages du génocide au Rwanda. [con le fotografie d'Alain Kazinierakis] (2001) Testimonianze degli assassini e delle vittime dei massacri che hanno colpito il Ruanda nel 1994.

Comme la langue entre les dents. Fratricide et piège identitaire au Rwanda (2000) Testimonianza di Marie-Aimable Umurerwa, madre di famiglia Tutsi coinvolta nel subbuglio ruandese con i suoi figli e il marito Hutu.

L'Ombre d'Imana. Voyages jusqu'au bout du Rwanda (2000) Romanzo della scrittrice ivoriana Véronique Tadjo del suo viaggio in Ruanda e dei suoi incontri nel 1998.

Tutsie, etc. (1998) Viaggio in Ruanda di Maggy Corrêa (nata nel 1949 e residente in Svizzera da piùdi 20 anni) alla fine del 1994 per ritrovare la sua famiglia e sua madre tutsi.

La Paix dans l'âme (2004) Testimonianza della ruandese Chantal Umutesi (nata nel 1973) vittima di 4 anni di vagabondaggio ed estreme privazioni, punteggiate da atrocità durante il quale la sua famiglia viene massacrato, tra cui la sua bambina di due anni.

The land of thousands hill. My life in Rwanda (2002) [in inglese] Autobiografia di Rosamond Halsey Carr (née en 1912). Questa americana che ha vissuto cinquant'anni in Ruanda, vicino al confine congolese, testimonia la sua vita a Mugongo. All’età d’oltre ottanta anni trasforma la sua proprietà in un orfanotrofio dopo le stragi del 1994, ma è costretta ad abbandonare il luogo nel 1997 per una ripresa delle ostilità.

Rwanda, du bonheur à l'horreur. J'y étais... (2005) ttesti,monianza di una segretaria, Madeleine Mukamuganga (nata nel 1958), che punta il dito sui grandi poteri interessati alle ricchezze del suo paese e di altri paesi come il Congo, la Costa d'Avorio, l'Iraq ecc. come origine della destabilizzazione del suo paese e della

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"imbottitura di cranio" delle popolazioni, Hutu quanto Tutsi che ha condotto gli abitanti della regione dei Grandi Laghi a fuggire il loro paese ed a massacrarsi da più di dieci anni .

La haine n'aura pas le dernier mot - Maggy, la femme aux 10 000 enfants (2005) la testimonianza dell’azione intrapresa a favore dei bambini burundesi vittime di guerra e della miseria intrapresta daMarguerite Barankiste (Maggy) dal 1993 e proseguita dall'ONG burundese Maison Shalom.

Rwanda Mon Amour (2001) [Nuova edizione nel 2006]. Testimonianza e riflessione d'Ida Zirignon, ivoriana inviata in missione in Ruanda dall’ONU nel 1994 e successivamente fino al 1998

Miracle (2007) [in inglese]. testimonianza d'Immaculée Ilibagiza, sopravvissuta al massacro del 1994 avendo "messo il suo destino nelle mani di Dio" e trascorse piu mesi rinchiusa in una sgabuzzino con le sue compagne

La mémoire trouée (2007). Romanzo d'Elisabeth Combres, giornalista e scrittrice francese "per le " (néegiovani en 1967), narrante la storia di una giovane che prova a ricostruirsi dopo la morte della madre nella tragedia del 1994

Sous les étoiles du Rwanda (2007). Testo a due voci dove s’incontrano le testimonianze della ruandese Odette Habiyakare e della svizzera Mathilde Fontanet

La femme aux pieds nus (2008). Hommage à la mère de Scholastique Mukasonga dont les parents et 37 proches sont assassinés lors du massacre des Tutsis qui frappa le Rwanda en 1994. Demain ma vie. Enfants chefs de famille dans le Rwanda d'après (2009). Testimonianza di Berthe Kayitesi i cui genitpri furono massacrati nel 1994.

Le Livre d’Élise ( 2014) testimonianza di Élise Rida Musomandera, la scrittura di una sopravvissuta Tutsi vivente in Ruanda

Murekatete (2000). Romanzo della burkinabé Monique Ilboudo

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I perché di un genocidio Nel 2005 l’antropologo sociologo Jared Diamond pubblicò un pamphlet dal titolo auto esplicativo Collapse: How Societies Choose to Fail or Succeed (Collasso: come le società scelgono di fallire o riuscire). Il decimo capitolo è dedicato al genocidio ruandese con il titolo esemplificativo: Malthus in Africa: Rwanda's Genocide. In estrema sintesi la causa scatenante il genocidio secondo Diamo fu la scarsità di terra in rapporto alla crescita più che proporzionale della popolazione che scatenò un’insanabile competizione tra i due gruppi etnici principali gli Hutu agricoltori (circa l’85% della popolazione) ed i Tutsi pastori (circa il 15% della popolazione) per il possesso delle risorse scarse rispetto ai bisogni. Una spiegazione semplice che destò un vespaio di polemiche rispetto alle quali Diamond non modificò il suo “determinismo ambientalista” che trovò in autorevoli analisti politici un convinto appoggio. L’analisi di Diamond è una narrazione accattivante ma ha tre elementi che ne inficiano l’efficacia in modo a mio parere irreversibile:

I. è assente un’analisi storica degli eventi che vada a capire se esiste un filo rosso dell’ostilità tra le due etnie, il loro modello di sfruttamento delle risorse naturali, il crescente degrado ambientale e la pressione demografica;

II. le statistiche utilizzate a corroborare l’argomento non mostrano un fenomeno incontrollato ma un andamento crescente rispetto al quale l’esplosione dei 100 giorni del genocidio non è più correlata statisticamente di quanto possa esserlo con l’andamento dell’indice della borsa di Shangai, o qualsiasi altro fenomeno in crescita negli anni tra il 1988 e il 1993;

III. i nessi causali proposti sono in realtà meramente libere associazioni senza un modello causale sottostante: ad esempio le difficoltà matrimoniali e di lavoro dei giovani, le regole del passaggio ereditario dei beni patrimoniali e le violenze scatenatisi nel 1994 sono associate ma prive di collegamenti spiegati tra loro. Per questo non si comprende bene perché i giovani in difficoltà si sarebbero dovuti scatenare nel 1994 e non nel 1993 o nel 1995.

Tuttavia, questo tentativo di spiegazione endogena facilita una breve riflessione su quanto è accaduto e che Mukasonga ci stimola a prendere in considerazione. Gli orrori della storia si manifestano come eruzioni o terremoti; la loro origine non è mai hic et nunc, ma affonda nella memoria sia di coloro che li producono, sia di coloro che li subiscono. Nessun accadimento umano può prescindere da Madre Natura e dalla biologia umana, ma ogni riduzionismo bio-ambientale è prima di tutto antiscientifico, perché inverte cause con effetti. Le vicende umane sono soggette alle dinamiche sociali ed economiche quanto a quelle antropologico-culturali e al sistema di credenze e di cognizioni dominante. In questo situazione, che è naturalmente dinamico, l’ambiente e la nostra esistenza biologica interagiscono senza soluzione di continuità. Come nella fisica quantistica il calcolo dell’intensità di un fenomeno modifica la posizione dell’osservabile tanto da rendere impossibile calcolare la sua posizione senza compromettere il calcolo dell’intensità, così nell’analisi di una fenomenologia sociale le condizioni storiche che ne permettono di comprendere origini ed evoluzione si modificano al punto da rendere inutile l’analisi perché il fenomeno sociale è divenuto altro. Nello specifico, il genocidio del 1994 trova le sue fondamenta nelle vicende politiche ruandesi e burundesi del ventennio precedente, e, nello stesso tempo, hanno una giustificazione piena nel ruolo del colonialista e della comunità internazionale in relazione a ciò che è il Ruanda geograficamente dal lato ambientale e dal lato umano.

La versione di Wikipedia sul genocidio con riferimento alla missione ONU L'UNAMIR venne creata il 5 ottobre 1993 con la risoluzione 872 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Venne autorizzato il dispiegamento 2.500 militari, ma ci vollero mesi perché il contingente venisse completamente dispiegato. La missione era guidata dal generale Jacques-Roger Booh-Booh del Camerun, mentre il comando delle operazioni sul campo era affidato all'esercito canadese con a capo il generale Roméo Dallaire. Una parte consistente delle truppe(400 militari) proveniva dal Belgio, paese che controllava il Ruanda in epoca coloniale; questo fatto rappresenta una anomalia della missione, poiché l'ONU generalmente non prevede l'invio di forze armate di peacekeeping da parte di paesi ex-colonizzatori. Questa decisione è stata criticata anche perché erano

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stati proprio i colonizzatori belgi ad accentuare e sfruttare a loro favore la contrapposizione tra Hutu e Tutsi, privilegiando i Tutsi.

Nel 1993 la situazione nel Ruanda sembrava andare verso una soluzione pacifica: entrambi i fronti avevano acconsentito a deporre le armi e a rispettare gli accordi di Arusha, creando un governo temporaneo di unità nazionale.

La situazione però precipitò dopo l'insediamento del nuovo presidente Juvénal Habyarimana, il 5 gennaio 1994; i partiti diedero inizio a una violenta disputa sulla composizione del governo, e in questo contesto due dei maggiori leader politici del paese vennero assassinati. Dopo un agguato dell'RFP a un convoglio di caschi blu, l'ONU protestò con il presidente Habyarimana e l'RFP, invitandoli a rispettare i patti.

Il 5 aprile 1994 l'ONU votò il prolungamento dell'UNAMIR fino al 29 giugno, esprimendo "profonda preoccupazione per la situazione politica del paese, in particolar modo per la capitale Kigali". Il giorno dopo, l'aereo che trasportava il presidente del Ruanda Juvénal Habyarimana e quello del Burundi Cyprien Ntaryamira venne abbattuto. Fu la scintilla che fece esplodere il conflitto civile nel paese. Le truppe regolari del Fronte armato ruandese, sotto il comando di generali Hutu, diedero inizio al genocidio sistematico dei Tutsi.

Il primo ministro Agathe Uwilingiyimana venne uccisa durante un assalto da parte delle forze governative ruandesi, in cui persero la vita anche dieci militari belgi. La morte dei soldati belgi venne in seguito attribuita alle regole di ingaggio poco chiare, che apparentemente non consentivano al comandante delle truppe di rispondere al fuoco nonostante un assedio prolungato per più di due ore.

La confusione legata alle regole di ingaggio caratterizzò in generale la missione UNAMIR. Il mandato era vago soprattutto riguardo alla difesa dei civili. L'imbarazzo internazionale fu enorme; gli Stati Uniti rimasero inermi, già impegnati dalla missione di pacekeeping in Somalia e furono più volte accusati di aver ritardato l'invio di una forza di intervento, dopo il massacro il Belgio ritirò le truppe del paese come la maggior parte degli altri stati ritirò. Solo il generale Roméo Dallaire rifiutò di abbandonare il paese, nella speranza di poter ancora evitare il genocidio, rimanendo nel paese con un contingente di soli 270 militari canadesi supportati da poco più di 200 truppe locali.

Con un contingente ridotto all'osso Dallaire continuò a comandare le proprie truppe salvando migliaia di cittadini Tutsi. Dallaire chiese urgentemente all'ONU l'invio di un contingente di almeno 5.000 unità, la sua richiesta venne respinta. Per sei settimane l'UNAMIR cercò di condurre un negoziato di pace tra le fazioni, che si rivelò un fallimento completo. Mentre nel paese infuriava la violenza finalmente il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approvò una risoluzione che stabiliva l'invio di 5.500 militari nel paese. I paesi, però, rifiutarono di mandare le proprie truppe nel paese fino a quando l'ondata di violenza non fosse cessata

Nel luglio dello stesso anno l'RFP entrò a Kigali e il presidente provvisorio Paul Kagame si impegnò nel rispettare gli accordi di Arusha, il genocidio era finito. Ad agosto dello stesso anno Dellaire chiese di rientrare in Canada perché sofferente di stress, venne sostituito da Guy Tousignant. Il genocidio dei Tutsi lasciò una striscia di sangue spaventosa: si calcola che i Tutsi massacrati furono un milione in poco più di 100 giorni.

Dopo la fine del genocidio i paesi si decisero nel mandare le truppe nel paese, che stabilizzarono il paese grantendo un fragile pace e a dare aiuto ai 4 milioni di profughi ritornati dai paesi vicini.

Dopo il genocidio l'UNAMIR riuscì a dare cure e supporto al paese stremato dalla guerra, alla fine del 1996, avendo fallito la missione prioritaria, l'UNAMIR venne ritirato.

L'UNAMIR riuscì comunque a salvare dei cittadini Tutsi dal genocidio ma non riuscì ad evitare la carneficina. Il generale Dallaire, nonostante il comportamento eroico, venne traumatizzato dalla missione e frustrato dall'aver fallito il compito, tentò anche il suicidio. Attualmente è senatore del Québec e attraverso numerose interviste ha più volte criticato l'atteggiamento dell'ONU e di Kofi Annan.

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Nonostante i diversi rapporti presentati alla Commissione per i diritti umani dell'ONU, il Consiglio di Sicurezza, a causa del veto USA, non riconosce il genocidio in Ruanda.

Nella missione 27 peacekeeper sono morti.

La scheda della missione tratta dal sito dell’ONU

Luogo: Rwanda

Comando: Kigali

Durata: Ottobre 1993-Marzo 1996

Speciali rappresentanti del segretario generale e capi missione Jacques-Roger Booh-Booh (Cameroon) Novembre 1993-Giugno 1994

Shaharyar M. Khan (Pakistan) Luglio 1994-Marzo 1996* [*dopo la chiusrua della missione, Mr. Khan continuò nel mese d’aprile 1996 come speciale rappresentante del SG]

Comandanti militari Major-General Romeo A. Dallaire (Canada) Ottobre 1993-Agosto 1994

Major-General Guy Tousignant (Canada) Agosto 1994-Dicembre 1995

Brigadier-General Shiva Kumar (India) Dicembre 1995-Marzo 1996

Commissari di Polizia Colonel Manfred Bliem (Austria) Dicembre 1993-Aprile 1994

Colonel C.O. Diarra (Mali) Ottobre 1994-Gennaio 1996

Effettivi

Autorizzati, 5 Ottobre 1993-20 Aprile 1994

2.548 personale militare, includente 2.217 truppe addestrare e 331 osservatori militari, e

60 polizia civile; supportata da personale assunto civile internazionale e locale

Autorizzati, 21 Aprile-16 Maggio 1994

270 military personnel; supportata da personale assunto civile internazionale e locale

Autorizzati, 17 maggio 1994-8 giugno 1995

Circa 5.500 militari, includenti approssimativamente 5.200 truppe e militari di supporto

e 320 osservatori militari, e 90 poliziotti civili [nel febbraio 1995, la forza autorizzata di

polizia civile fu aumentata a 120]; supportata da personale assunto civile internazionale

e locale

Autorizzati, 9 giugno-8 settembre 1995

2.330 truppe e militari di supporto, 320 osservatori militari e 120 polizia civile;

supportata da personale assunto civile internazionale e locale

Autorizzati, 9 settembre-11 dicembre 1995

1.800 truppe e militari di supporto, 320 osservatori militari e 120 polizia civile;

supportata da personale assunto civile internazionale e locale

Autorizzati, 12 dicembre 1995-8 marzo1996

1.200 truppe e militari di supporto and 200 osservatori militari; supportata da personale

assunto civile internazionale e locale

Effettivi al ritiro (29 febbraio 1996)

1.252 truppe e militari di supporto, 146 osservatori militari; c’erano anche

approssimativamente 160 internazionali e 160 locali di staff civile staff e 56 UN

volontari

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Contributori di militari e personale civile: Argentina, Australia, Austria, Bangladesh,

Belgium, Brazil, Canada, Chad, Congo, Djibouti, Egypt, Ethiopia, Fiji, Germany,

Ghana, Guinea, Guinea Bissau, Guyana, India, Jordan, Kenya, Malawi, Mali,

Netherlands, Niger, Nigeria, Pakistan, Poland, Romania, Russian Federation, Senegal,

Slovak Republic, Spain, Switzerland, Togo, Tunisia, United Kingdom, Uruguay, Zambia

and Zimbabwe

Caduti:

3 militari osservatori;

22 altro personale militare;

1 poliziotto civile;

1 personale di staff

_______________________

27 Totale

Finanziamento

Metodo: Valutazioni in relazione a speciale contabilità

Spese: $453.9 million (nette) dall’avvio della missione al 30 giugno 1997, inclusive

della chiusura amministrativa

La missione ONU in Runda dal sito dell’ONU Il documento offerto è fondamentale per capire l’approccio che è stato tenuto dall’Onu nella tragedia ruandese e lo svolgimento dei fatti nella versione ufficiale più accreditata. Purtroppo, essendo un documento ufficiale, non ho potuto fornire una traduzione senza un’autorizzazione scritta. Ovviamente chiunque privatamente può tradurre il testo, ma la sua divulgazione può incorrere in sanzioni anche penali.

UNAMIR

“Fighting between the Armed Forces of the mainly Hutu Government of Rwanda and the Tutsi-led Rwandese Patriotic Front (RPF) first broke out in October 1990 across the border between Rwanda and its northern neighbour, Uganda. A number of ceasefire agreements followed, including one negotiated at Aruhsa, United republic of Tanzania, on 22 July 1992, which arranged for the presence in Rwanda of a 50-member Neutral Military Observer Group I (NMOG I) furnished by the Organization of African Unity (OAU). Hostilities resumed in the northern part of the country in early February 1993, interrupting comprehensive negotiations between the Government of Rwanda and RPF, which were supported by OAU and facilitated by the United Republic of Tanzania.

The United Nations active involvement in Rwanda started in 1993, when Rwanda and Uganda requested the deployment of military observers along the common border to prevent the military use of the area by RPF. The Security Council in June 1993 established the United Nations Observer Mission Uganda-Rwanda (UNOMUR) on the Ugandan side of the border to verify that no military assistance reached Rwanda.

Meanwhile, the Arusha talks, brokered by Tanzania and OAU, reconvened in March 1993 and finally led to a peace agreement in August 1993. The comprehensive peace agreement called for a democratically elected government and provided for the establishment of a broad-based transitional Government until the elections, in addition to repatriation of refugees and integration of the armed forces of the two sides. Both sides asked the United Nations to assist in the implementation of the agreement. In early August 1993, NMOG I was replaced by an expanded NMOG II force, composed of some 130 personnel to operate as an interim measure pending the deployment of the neutral international force.

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In October 1993, the Security Council, by its resolution 872 (1993), established another international force, the United Nations Assistance Mission for Rwanda (UNAMIR), to help the parties implement the agreement, monitor its implementation and support the transitional Government. UNAMIR's demilitarized zone sector headquarters was established upon the arrival of the advance party and became operational on 1 November 1993, when the NMOG II elements were absorbed into UNAMIR. Deployment of the UNAMIR battalion in Kigali, composed of contingents from Belgium and Bangladesh, was completed in the first part of December 1993, and the Kigali weapons-secure area was established on 24 December.

The United Nations solicited troop contributions, but initially only Belgium with a half a battalion of 400 troops, and Bangladesh with a logistical element of 400 troops, offered personnel. It took five months to reach the authorized strength of 2,548. But because of many unresolved issues between the parties, implementation of the agreement was delayed. Consequently, the inauguration of the transitional Government never took place.

In April 1994, the Presidents of Rwanda and of Burundi were killed while returning from peace talks in Tanzania, when the Rwandese plane crashed, in circumstances that are still to be determined, as it was landing in Kigali, Rwanda's capital. This set off a tidal wave of political and ethnic killings: the Prime Minister, cabinet ministers and UNAMIR peacekeepers were among the first victims.

The killings, targeting Tutsi and moderate Hutus, were mainly carried out by the armed forces, the presidential guard and the ruling party's youth militia, as subsequently confirmed by the Special Rapporteur on Rwanda of the United Nations Human Rights Commission. The RPF resumed its advance from the north and the east of Rwanda, and government authority disintegrated.

An interim Government was formed, but failed to stop the massacres. With the RPF's southward push, the number of displaced persons and refugees increased tremendously. On 28 April alone, 280,000 people fled to Tanzania to escape the violence. Another wave of refugees went to Zaire. The United Nations and other agencies provided emergency assistance on an unprecedented scale.

UNAMIR sought to arrange a ceasefire, without success, and its personnel came increasingly under attack. After some countries unilaterally withdrew their contingents, the Security Council, by its resolution 912 (1994) of 21 April 1994, reduced UNAMIR's strength from 2,548 to 270. Despite its reduced presence, UNAMIR troops managed to protect thousands of Rwandese who took shelter at sites under UNAMIR control.

The Security Council, by adopting resolution 918 (1994) of 17 May 1994, imposed an arms embargo against Rwanda, called for urgent international action and increased UNAMIR's strength to up to 5,500 troops. But it took nearly six months for Member States to provide the troops.

To contribute to the security of civilians, the Council, by resolution 929 (1994) of 22 June 1994, authorized, under Chapter VII of the United Nations Charter, a multi-national humanitarian operation. French-led multinational forces carried out "Operation Turquoise", which established a humanitarian protection zone in south-western Rwanda. The operation ended in August 1994 and UNAMIR took over in the zone.

In July, RPF forces took control of Rwanda, ending the civil war, and established a broad-based Government. The new Government declared its commitment to the 1993 peace agreement and assured UNAMIR that it would cooperate on the return of refugees.

For their part, when the conflict broken out in April, UNOMUR observers had expanded their monitoring activities in Uganda to the entire border area. But the Security Council gradually scaled down the operation, and UNOMUR left Uganda in September.

By October 1994, estimates suggested that out of a population of 7.9 million, at least half a million people had been killed. Some 2 million had fled to other countries and as many as 2 million people were internally displaced. A United Nations humanitarian appeal launched in July raised $762 million, making it possible to respond to the enormous humanitarian challenge.

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A Commission of Experts established by the Security Council reported in September that "overwhelming evidence" proved that Hutu elements had perpetrated acts of genocide against the Tutsi group in a "concerted, planned, systematic and methodical way." The final report of the Commission was presented to the Council in December 1994.

In the following months, UNAMIR continued its efforts to ensure security and stability, support humanitarian assistance, clear landmines and help refugees to resettle. But Rwanda supported ending the mission, stating that UNAMIR did not respond to its priority needs. The Security Council heeded that request, and UNAMIR left in March 1996.

At a meeting organized by Rwanda and the United Nations Development Programme in 1996, international donors pledged over $617 million towards the reconstruction of the country. United Nations agencies have continued to provide humanitarian aid and to assist in the return of the refugees.

INTERNATIONAL TRIBUNAL FOR RWANDA

On 8 November 1994, the Security Council established the International Tribunal for Rwanda "for the sole purpose of prosecuting persons responsible for genocide and other serious violations of international humanitarian law committed in the territory of Rwanda and Rwandan citizens responsible for genocide and other such violations committed in the territory of neighbouring States, between 1 January 1994 and 31 December 1994". Located in Arusha, Tanzania, the Tribunal issued the first indictments in 1995 and held the first trials in 1997.

1999 INDEPENDENT INQUIRY

Five years after the event, the United Nations and the whole international community remained accused of not having prevented the genocide. In view of the enormity of what happened, and the questions that continued to surround the actions of the United Nations and its Member States before and during the crisis, in March 1999 the Secretary-General, with the approval of the Security Council, commissioned an independent inquiry into those actions. The members included Mr. Ingvar Carlsson (former Prime Minister of Sweden), Professor Han Sung- Joo (former Foreign Minister of the Republic of Korea) and Lieutenant-General Rufus M. Kupolati (rtd.) (Nigeria).

The findings of the inquiry were made public on 15 December 1999. The inquiry concluded that the overriding failure in international community’s response was the lack of resources and political will, as well as errors of judgement as to the nature of the events in Rwanda. Expressing deep remorse over the failure to prevent the genocide in Rwanda, the Secretary-General, in a statement on 16 December, said that he fully accepted the conclusions of the report. He welcomed the emphasis which the inquiry had put on the lessons to be learned, and its recommendations to ensure that the United Nations and the international community could and would act to prevent or halt any other such catastrophe in the future.”

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Immagini di un genocidio La forza delle immagini è nella nostra società uno degli elementi fondanti la costruzione dell’opinione pubblica. La globalizzazione ha permesso di documentare in tempo reale gli orrori che s’inseguono in ogni angolo del pianeta; tuttavia questo cambiamento storico (si pensi a quante ecatombi sono state dimenticate dal tempo nel secolo scorso proprio perché non vi era nessuno che le fotografava) non ha coinciso con una capacità concreta di prevenirli. Rimane però ferma la convinzione che la testimonianza fotografica sia fondamentale per la costruzione delle coscienze. Ed è per questo che si riporta la presentazione della mostra fotografica dello statunitense James Nachtwey, ritenuto dalla stampa come il più autorevole fotografo di guerra, con alcune sue immagini unite ad altre catturate da Internet.

L’orrore non merita commenti semmai sono donne come Mukasonga che riescono a scrivere su di esso aiutandoci a non restare solamente indignati e sconvolti di fronte alla distruzione sistematica di intere popolazioni ma proattivi nella prevenzione all’odio razziale, in tutte le sue variegate manifestazioni

«Gli esseri umani fanno la guerra e fanno la pace. Noi facciamo l’amore e facciamo l’odio. L’odio e la paura sono gli assassini. Per orchestrare l’odio e la paura gli esseri umani fanno un genocidio. I colonialisti europei hanno utilizzato la paura e l’odio per creare una profonda frattura in Ruanda per dividere e conquistare. Non fu possibile guarire certe ferite e divenne una sorta di sottofondo per la società, anche molto tempo dopo che i bianchi lasciarono il paese. Nel 1994, l’inimicizia tribale tra Hutus e Tutsis era politicamente manipolata fino a raggiungere una fase critica. Tra 500.000 e 1 milione di persone furono abbattute nel giro di tre mesi con attrezzi agricoli come armi. Gli omicidi da parte Hutus furono commessi faccia a faccia, vicino-contro-vicino, e talvolta anche fratello-contro-fratello.

Il numero riportato più spesso è 800.000. E’ un grande numero. Cercando di immaginare 800.000 persone con la testa sfondata da attrezzi di pietra, impalati su lance, violati a morte con zappe e macheti – in soli tre mesi – stordisce la mente, e lottiamo per estorcere un significato dalle parole come “biblico” o “apocalittico”.

Come avevano fatto in Bosnia, invece di inviare più truppe per evitare gli spargimenti di sangue, le forze di pace delle Nazioni Unite si fecero da parte. A causa della disastrosa operazione militare in Somalia, i nostri leader politici presero la decisione consapevole di non usare quella parola che avrebbe dato un motivo – “genocidio” – d’obbligo per intervenire, implicito nel linguaggio stesso. Mentre il mondo voltò le spalle, il genocidio gli avvenne davanti gli occhi. Successivamente, furono fatte scuse pubbliche, cosa rara per i politici, ma il gesto non riportò la vita a neppure un singolo ruandese.

Più tardi, quando l’esercito e le milizie di Hutus si spostarono in Zaire (l’attuale Repubblica Democratica del Congo) per sfuggire alle forze Tutsis che avanzavano, più di 1 milione di persone attraversarono la frontiera in un solo giorno. Trovarono rifugi di fortuna sulle rocce, nella terra vulcanica, dove era impossibile trovare acqua pulita, scavare latrine o seppellire i morti. In pochi giorni un’epidemia di colera li colpì. Furono decine di migliaia i morti in poche settimane. Sepolture di massa furono effettuate utilizzando delle ruspe. Un numero imprecisato di bambini rimasero orfani ed abbandonati. Le agenzie internazionali di soccorso arrivarono a Goma per cercare di arginare la marea dell’epidemia.

I responsabili del genocidio si nascosero fra i civili all’interno dei campi. Organizzare i soccorsi era impossibile. Non potevano distinguere chi fosse un assassino da chi era solo uno scudo umano, furono costretti a curare tutti. Ironia della sorte, la comunità internazionale che si era allontanata dalle sue responsabilità durante il genocidio era costretta a venire in soccorso di coloro che avevano commesso tali atrocità.

Tutto questo accadde nel periodo in cui Nelson Mandela divenne presidente del Sud Africa, come se da qualche inferno metafisico il meglio che l’umanità poteva offrire fosse stato compensato da ciò che di peggiore si poteva immaginare. Questo fu il nostro mondo allora, questo è il nostro mondo oggi.

Abbiamo esempi da entrambe le parti dello spettro delle aspirazioni umane. Riusciremo a ottenere qualcosa dalle lezioni insegnate dalla nostra storia? Se non lo facciamo noi, chi lo farà?»

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Piccolo dizionario

Questo dizionario è stato realizzato utilizzando le seguenti fonti

Jennie E. Burnet Genocide Lives in Us: Women, Memory, and Silence in Rwanda The University of Wisconsin Press 2012

Pierre Claver Rwangabo La médecine traditionnelle au Rwanda Editions Karthala 1993

Jean-Pierre Chrétien Burundi, l'histoire retrouvée: 25 ans de métier d'historien en Afrique Editions Karthala 1993

Ian Linden with Jane Linden Church and Revolution in Rwanda Manchester University Press 1977

Julius Adekunle Culture and Customs of Rwanda Greenwood Press 2007

Vansina Jan Le Rwanda ancien. Le royaume nyiginya (nouvelle édition) Editions Karthala 2012

https://glosbe.com/rw/en/kazi

http://users.skynet.be/aloube/lexique.htm

Terry ER, Doku EV, Arene OB, Mahungu NM (eds) Tropical root crops: production and uses in Africa : Proceedings of the second Triennial Symposium of the International Society for Tropical Root, International Development Research Center 1984

Termine Traduzione

Ababfumu Profeta

Abapadri Sacerdote, prete

abarozi Custodi di bestiame

Abavubyi Regolatori di pioggia

Abazimu Spirito dei morti

Abiru Musicisti e ritualisti di corte

Amamesa Olio di palma

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Termine Traduzione

Amarachi - amarashi Profumi

Ba Molti

Bahutu gente Hutu (pronuncia Bah-who-too)

Bami Re

Bamikazi - mwamikazi Sposa del re

Banyarwanda gente del Ruanda

Barundi gente del Burundi

Batutsi Tutsi people (pronuncia Bah-too-tsee)

Batwa gente Twa (pronuncia Bah-tua) nota anche pigmei

Bazungu europei (singolare musungu)

Dàwa Medicamento, medicina del guaritore

Gahungezi patate dolci

Gucupira Tutsi divenuto Hutu

Ibanga Segreto

Ibisheke canne da zucchero

Ikijakazi Né l’uno né l’altro

Ikinyga salsa, crema d’arachidi

Ikivuguto Latte fermentato – Yogurt

Imiganda -Umuganda Servizio civile – lavori comunitari

Inkundwakazi in un regime di poligamia la moglie preferita, la favorita

Inyenzi scarafaggi, blatta

Irengarenga Amaranto blito minore

Isogi Cleome

Kigabiro Gruppo di alberi simboleggianti un antico luogo del potere, il recinto del re o del capo il luogo dove vive e distribuisce doni

Kwihutura Hutu divenuto Tutsi

Mu Uno

Muhutu persona Hutu

Munyarwanda persona del Ruanda

Murundi persona del Burundi

Mututsi persona Tutsi

Mutwa persona Twa

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Termine Traduzione

Mwami Re del Ruanda(pl. Abami), più in generale Capo

Ndagala piccolo pesce che vive nel Lago tanganika

Pikipiki Moto

Uburiza Primo nato – primogenito

Umuhinza Prete re negli Hutu (Umwani usato nel SO del Ruanda)

Umuhinzi Agricoltore

umurembe Withania somnifera

Umurinzi Guardiano – protettore

Umusemboru Lievito

Umuzimu Spirito ancestrale – fantasma

Umwamikazi Regina

Umwiru Ritualista tradizionale di corte

Urwarwa artiglio unghia

Indice di sviluppo umano L’indice dello sviluppo umano (Human Development Index - HDI) è una misura sintetica dello sviluppo

umano della società. HDI misura i risultati medi in una nazione rispetto a tre dimensioni dello sviluppo: una

lunga e sana esistenza, l’accesso alla conoscenza e un decente standard di vita. Dal profilo statistico

matematico l’HDI è la media geometrica di indici normalizzati che misurano i risultati raggiunti in ciascuna

dimensione. L’impiego della media geometrica implica un’imperfetta sostituibilità degli indici delle tre

dimensioni in presenza di una formula lineare d’aggregazione che invece permette la perfetta sostituibilità tra

le dimensioni. Quindi l’effetto dell’aumento di un indice in una dimensione non risulta essere equivalente

all’aumento in una altra dimensione. Questo limite tuttora non è stato superato da soluzioni considerate

soddisfacenti dalla Banca Mondiale.

Il grafico realizzato sui dati ufficiali della Banca Mondiale mostra l’andamento di HDI per il Ruanda

evidenziando che l’incremento è rimarchevole: si va da 0,238 del 1990 a 0,502 del 2013, ossia un incremento

globale del 111%, pari ad un incremento medio annuo del 4,82%. Il dato altrettanto interessante è osservare

come l’indice presenti la sua caduta progressiva nel decennio 80-90, ossia un decremento del 18,2% in 10

anni. Empiricamente la crisi del 1993 degenerata nel genocidio del 1994 era prevedibile, perché si era un

evidente peggioramento delle condizioni di vita della popolazione e quindi tutte le tensioni presistenti

sarebbero potute degenerare (come purtroppo avvenne). In questo caso l’HDI dimostra di essere un

indicatore efficace per orientare i decisori politici. Tuttavia si deve constatare per l’ennesima volta che

nessuno diede la giusta ed opportuna importanza a ciò che i dati evidenziavano essere in atto: un degrado

costante della società ruandese. Se ci fosse stato qualcuno nelle stanze del potere che se ne fosse accorto oggi

probabilmente potremmo scrivere un pagina completamente diversa di storia. E credo che anche

Scholastique Mukasonga possa convenire su questa conclusione, anche se ciò avrebbe significato un esito

diverso (e non necessariamente di successo) della sua attuale professione di scrittrice.

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