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SETTEMBRE OTTOBRE 2013 6 Portofino per terra e per mare LA RIVISTA FREE-PRESS DEL PARCO E DELL’AREA MARINA PROTETTA DI PORTOFINO LA RIVISTA FREE-PRESS DEL PARCO E DELL’AREA MARINA PROTETTA DI PORTOFINO

Portofino per terra e per mare - N°6

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Portofinoper terra e per mare

LA RIVISTA FREE-PRESS DEL PARCO E DELL’AREA MARINA

PROTETTA DI PORTOFINO

LA RIVISTA FREE-PRESS DEL PARCO E DELL’AREA MARINA

PROTETTA DI PORTOFINO

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Sede Legale e AmministrativaViale Rainusso, 116038 S.Margherita LigureTel. +39 0185 289479 Fax +39 0185 285706 e-mail [email protected] web www.parcoportofino.it

Sede Legale Castello Brown - Via alla Penisola - 16034 PortofinoSede AmministrativaViale Rainusso, 1 - 16038 S.Margherita LigureTel. +39 0185 289649 - Fax +39 0185 293002e-mail [email protected] www.portofinoamp.it

3Notizie

5Faro di Portofinol’emozione di una visita

10San Fruttuoso di Capodimontetrent’anni dopo

19Storia e segretidella batterie costiere di Punta Chiappa

25L’oro di Dragutracconto di “Lilla” Mariotti

28 Itinerario guidato

PORTOFINO PER TERRA E PER MAREPeriodico bimestrale free-press di Ente Parco di Portofino e Area Marina ProtettaRegistrazione Tribunale di Chiavari n. 180/2008Direttore responsabile: Giuseppe RosascoStampa: Tipolitografia MeCa - Recco (Ge)Grafica e Pubblicità: Studio Helix Piazzale Europa 30 - 16036 Recco (Ge) Tel. 0185 723961 - [email protected]

Stampato su carta ottenuta da legno proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile

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IN QUESTO NUMERO

In copertina: La baia di San Fruttuoso vista attraverso una trifora dell’abbazia (foto Giorgio Majno, 2006 © FAI - Fondo Ambiente Italiano)

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Salva l’autonomia dei parchi regionali

NOTIZIE

Lo scorso 16 luglio è stata approvata all’unanimità dal Consiglio regionaleligure una proposta di legge che evita la trasformazione degli attuali EntiParco regionali (Montemarcello-Magra, Portofino, Aveto, Antola, Beigua,Alpi Liguri) in altrettante sezioni territoriali di un unico Ente Parchi Liguri cheavrebbe dovuto entrare in vigore dal prossimo 30 settembre, in attuazionedella normativa nazionale in materia di spending review. In accordo con laGiunta, la proposta consiliare apporta, inoltre, alcune modifiche alla leggeregionale 12 del 1995 in tema di Aree naturali protette e ad altre disposizionidella normativa regionale che a vario titolo riguardano gli Enti Parco: scopodelle modifiche è favorire una maggiore snellezza nell’azione di questi Entie ottimizzare le risorse, concorrendo agli obiettivi di contenimento dellaspesa regionale.L’iniziativa legislativa, che ha visto l’adesione di forze politiche di maggioranzaed opposizione, è nata per evitare il prodursi di disservizi in caso di accor-pamento degli Enti e, di conseguenza, di funzioni oggi svolte a livello locale,in assenza di un significativo risparmio di risorse pubbliche. Per raggiungere,comunque, gli obiettivi generali di risparmio viene imposta entro il 30settembre 2013, l’individuazione di forme di razionalizzazione della spesaper conseguire l’obiettivo prefissato per gli Enti Parco: è stato previsto unnuovo sistema in cui vengono ridefiniti alcuni aspetti del controllo regionalesugli atti di bilancio.L’assessore all’ambiente, Renata Briano. ha voluto ringraziare i consiglieri equanti hanno collaborato al varo della legge: «È stato fatto un gruppo dilavoro interdisciplinare – ha detto – Si è arrivati ad un importante risultato,partendo dal fatto che i Parchi non si sottraevano dal portare avanti ancorala razionalizzazione, senza che però si andasse ad intaccare la lorofunzionalità. Auspico la piena condivisione di tutte le forze ».

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In Liguria il primo Festival Cinematografico dedicato alle Aree Marine Protette

L’appuntamento è fissato nelle giornate del 6, 7 ed 8 dicembre 2013 a Camogli, che ospiterà unevento cinematografico dove la natura sarà la protagonista. Si tratta della prima edizione dell’InternationalMarine Reserves Film Festival, promossa dalla Città di Camogli e dall’Area Marina Protetta diPortofino, con il contributo del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e con il

patrocinio di: Regione Liguria, MEDPAN - The Mediterranean Marine ProtectedArea Managers’ Network, Federparchi (Federazione Italiana Parchi e RiserveNaturali), Università degli Studi di Genova. Una sinergia spontanea che mira a a fardiventare la città di Camogli un riferimento per la cinematografia documentaristicamarina, con lo scopo di far conoscere, attraverso la bellezza delle immagini, l’im-menso lavoro svolto quotidianamente in ogni parte del mondo dalle Aree Marine

Protette. A questo proposito è bene ricordare che dall’istituzione della prima area destinata alla tuteladegli habitat marini, avvenuta in Florida nel 1935, il loro numero ha superato le 6.000 unità in tutto ilmondo. Possono essere iscritti al Festival filmati aventi come tema i Parchi Marini, riconosciuti cometali dalle autorità competenti, nei loro aspetti naturalistici, etnografici, storici e gestionali ivi compresiquelli legati alla conservazione, alle attività umane, allo sviluppo sostenibile e al rapporto uomo/ambiente.Sono ammessi anche documentari monografici su singole specie animali o vegetali o su aspetti nonbiologici (socioeconomici) a fronte della dichiarazione da parte dell’Autore che le riprese siano stateeffettuate in un Parco Marino o Area Marina Protetta, pena l’eliminazione. Per questa prima edizionesaranno ammesse al concorso le opere prodotte a partire dal 2011. I filmati saranno suddivisi in duecategorie: mediometraggi e film: durata > 26 min.; cortometraggi: durata max. 26 min.

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NOTIZIE

Grande successo del Miglio Blu del TigullioDomenica 1° settembre si è svolta la prima edizione del Miglio Blu del Golfo del

Tigullio, organizzata dalla Società Sportiva Outdoor Portofino, in collaborazione conl’Area Marina Protetta di Portofino, il Grande Blu Diving Center, insieme al Bar &Churrascheria “Il Grande Blu”. Alle 16.30 appuntamento sulla spiaggia di Niasca, a Paraggi, per sfidarsi in una garaamatoriale che è terminata in un’altra località suggestiva della costa del Tigullio, il Covodi Nord Est. La sfida è stata vinta da Stefano Gentile, che ha percorso il non breve trattodi mare in 32 minuti, 40 secondi, 07, non male. Al traguardo i nuotatori hanno ricevutofremi offerti da Cressi Swim e un aperitivo con ricco buffet sulla terrazza del Covo. La ma-nifestazione è nata per promuovere gli sport legati al mare, accessibili a tutti, esperti edilettanti, in totale armonia con l’ambiente, all’interno di una delle aree protette tra le piùsuggestive del nostro paese, per sviluppare un turismo che sia prima di tutto sostenibile.

Portofino Park&Bike recensito dalla rivista Veicoli Elettrici

Il progetto di bike sharing elettrico che i Comuni diCamogli e Santa Margherita assieme all’ente Parco regionaledi Portofino hanno sviluppato per incentivare il turismo e lamobilità nella riviera di Levante è stato recensito con doviziadi particolari nel sito della rivista Veicoli Elettrici (www.vei-colielettricinews.it), la prima e unica pubblicazione che sioccupa di mobilità sostenibile con veicoli a propulsioneelettrica. Questa prima recensione da parte dell'editoredella rivista è solo l'inizio di una collaborazione volta aseguire lo sviluppo nel tempo del progetto Portofino Park&Bikee di promuoverlo nel proprio sito per turisti e appassionati.All'interno del sito è disponibile gratuitamente la versionedigitale della rivista sfogliabile direttamente da PC, tablet esmartphone.

Escursioni e visite guidate nel cuore del Parco di Portofino

Domenica 22 settembre; domenica 6 ottobre; domenica 27 ottobre: Il Sentiero dei Tubi. Ap-puntamento alle 9.00 davanti Chiesa di San Rocco di Camogli. Fine dell’escursione alle 13.00circa in località “Caselle”. Escursione impegnativa. Consigliate scarpe da trekking e torciaelettrica. Prenotazione obbligatoria entro le 17.00 di venerdì allo 010/2345636 oppure entro le12.00 del sabato precedente al 348/0182556. Escursione è garantita con un minimo 5 persone.Massimo 15 partecipanti. Quota di partecipazione: 10 euro.�

Sabato 28 e domenica 29 settembre: Cammino dal Cristo Pensante al Cristo degli Abissi.Dal Parco di Paneveggio al Parco di Portofino. Ultime tappe del percorso di Nordic Walking che haportato dal Cristo Pensante, sul Monte Castellazzo in Val di Fiemme, al Cristo degli Abissi. Info:www.trekkingdelcristopensante.it e www.nordicwalkingportofino.wordpress.com.

Domenica 13 ottobre: Anello alto del Parco di Portofino. Appuntamento è alle ore 9.30 pressoparcheggio pubblico Portofino Vetta. Fine dell’escursione alle 12.30 circa presso Portofino Vetta.Escursione medio-facile. Consigliato abbigliamento sportivo e scarpe da trekking leggero. Prenotazioneobbligatoria entro le 12.00 del sabato precedente al 348/0182556. Escursione garantita con minimo5 persone. Massimo 25 partecipanti. Quota di partecipazione: 30�euro (la quota comprende pranzopresso agriturismo e servizio guida).

Domenica 20 ottobre: Le Batterie (nuovo percorso). Appuntamento alle 9.00 davanti alla chiesadi San Rocco di Camogli. Fine dell’escursione alle ore 12.30 circa a San Rocco di Camogli. Escursionedi media difficoltà. Consigliate scarpe da trekking. Prenotazione obbligatoria entro le 17.00 del venerdìallo 010/2345636 oppure entro le 12.00 del sabato precedente al 348/0182556. Escursione è garantitacon un minimo di 5 persone. Massimo 25 partecipanti. Quota di partecipazione: 10�euro.

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Faro di Portofinol’emozione di una visita

La visita al faro di Portofino,come la gita dei Ramsay nel romanzo diVirginia Woolf, è un viaggio, per certi versi,“interiore”. Perché è impossibile non “scavarsi”dentro lungo il tragitto che dalla Piazzettaporta all’“occhio” vigile cui spetta il compito

di indicare la via ai naviganti. Imboccandosalita San Giorgio tra i negozietti di souvenire lasciando rumori, suoni e colori del borgo,sempre più ovattati e lontani a ogni passo,ci si arrampica sull’erta che passa sotto alla

ROSSELLA GALEOTTI chiesa di San Giorgio e al camposanto e co-steggia le ville dei vip. Lussuose residenzedove, nei mesi che precedono l’estate e gliarrivi per le vacanze, la servitù prepara giar-dini e terrazzi: regola siepi e arbusti, rasa iprati all’inglese, pota i cespugli più maledu-cati. Muri di pietra ricoperti d’edera, paraventidi pitosforo che proteggono i soggiornidorati da occhi indiscreti, rami di melicarichi di foglie e frutti e fili d’erba smeraldoche la rugiada della notte ha imperlato.

Dieci minuti di cammino nella “creuza”che, come quella della canzone di De André,raccoglie umori e voci del borgo. E, mentrel’erta insinua le caviglie e il respiro diventapiù veloce, dal profondo affiorano pensieri,ricordi, segrete malinconie, sogni mai rea-lizzati. Lo scenario cambia all’improvviso,prelude alla catarsi. Nel silenzio molto pocoterreno del viottolo dove il brusio della cittàarriva solo a tratti lo sguardo precipita,rapido come la roccia chiazzata di scuro, e,di colpo, appare la torretta, profilo biancoin mezzo al turchino.

Il faro è lì, a dieci passi, ormai. Sagomasorniona e benigna. Feudatario elegante eaustero che accoglie gli ospiti. Lux nautissecuritas: il motto dei faristi è impresso su4

A destra, il faro postosullo sperone di puddingaa ponente della baia diPortofino.In basso, il mare apertovisto dalla lanterna (foto Fabio Piumetti).

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una piastrella fissata sul pilastro di si-nistra del cancello, sotto l’ombrello deipini d’Aleppo che sovrastano i blocchi“sale e pepe” di conglomerato. Severecustodi del faro di Portofino, testimonimute di mareggiate epiche e tempestestrapazzone le pietre levigate della pud-dinga, se avessero il dono della parola,

racconterebbero che lì sotto cavalcavanole onde le navi romane dirette in Gallia.O che, durante la seconda guerra mon-diale, i tedeschi avevano fatto oscurarele metà sud della torretta, per non farsiscoprire dal contingente aereo degliinglesi mentre trasportavano materialebellico dalla vicina Toscana.

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In alto, la lanterna delfaro e un primo pianodella lampada.A sinistra e a destra,particolari dell’edificio. (foto Fabio Piumetti).

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Il trionfo della natura, sotto al faro, ècosa tangibile. L’odore intenso dei ginepri simescola a quello, dolciastro, del rincospermo.Il meteo, glorioso, dispensa emozioni.

Dunque, si entra. La prima base del faroè stata costruita nel 1870. L’edificio è untronco piramidale bianco con annesso fab-bricato a due piani adibito a servizio: il se-condo in uso alla Marina Militare, il pian-terreno come base logistica della Guardiacostiera di Portofino. La torretta, dall’ingresso,è alta 12 metri e la luce è 40 metri sul livellodel mare. Contraddistinto dal numero 1675dell’elenco dei fari e dei segnali da nebbiapubblicato dall’Istituto Idrografico della Ma-rina Militare, il faro di Portofino è gestito daMarifari, che si occupa anche della manu-tenzione. L’ultimo guardiano, Roberto Re-calbuto, è stato qui fino al 2004. Ora è tuttoautomatizzato e, comunque, se ne prendecura, come della Lanterna, il farista dellareggenza di Genova, Angelo De Caro.

L’ingresso sa di mare e di sole. Un brevecorridoio poi comincia la salita. Tre gradinidi ferro, angusti e a perpendicolo, e c’è lascala a chiocciola. A ogni nuovo scalino (42quelli di marmo e, nell’ultima parte, l’“im-pennata” con altri 13 di ferro) si fannostrada, prima leggermente appannate poisempre più nitide, reminiscenze scolastichee di letture serali e notturne conservate nelbaule della memoria. Hemingway. E il suoSantiago – icona senza tempo – che lottacon il pesce.

Si sale. Si sale ancora. E la mente galoppa,ruba il ritmo al cuore. Un ultimo sforzo e iltraguardo è a portata di mano. La torretta èconquistata. Il muscolo con l’aorta si contrae,ritmico. Davanti si apre l’infinito. E tornanogli eterni “perché” senza risposta. Vertiginie brividi anche se non fa freddo. Sessantametri più sotto un gozzo scivola adagioverso San Fruttuoso. Una famiglia di ochinde mâ pinneggia negli arzigogoli di schiuma.Istanti senza futuro, perché il futuro èadesso, sospesi così, tra cielo e mare.

La luce del faro portofinese non è rotantee produce un flash bianco: 5 secondi iltempo della luce e dell’eclisse (1 più 4), peruna portata di 16 miglia. Lenti Fresnel conuna lampadina da 1.000 watt e vetrate diplexiglas. La gabbia di Faraday fa il suodovere ma non è onnipotente: due anni faun fulmine ha fatto saltare l’impianto.

Nelle giornate di tramontana l’occhioabbraccia tutto il litorale di Ponente fino aSavona. E, anche se soffia il libeccio, il pa-

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NATO E CRESCIUTO IN UN FAROÈ nato in un faro 58 anni fa, a Pianosa, ma ha abitato a lungo in quello diPortofino. È Roberto Paradiso, chef della trattoria “La Concordia”, in viaal Fondaco 5, uno dei locali storici del borgo, di proprietà di GiorginaViacava che, dopo la morte del marito, Piero, porta avanti il locale difamiglia con i figli Emanuela, Stefano e Laura e il fratello, Giambattista.Il padre di Roberto, Francesco, era uno dei faristi storici di Portofino.Aveva cominciato nel 1954: l’Isola d’Elba, Pianosa, Castiglione dellaPescaia, poi l’isola del Giglio, Livorno e, dal 1971 al 1986, Portofino, ap-punto. Roberto elenca le tappe della carriera lavorativa del padre mentreprepara i “mandilli de saea” al pesto, uno dei piatti forti della trattoria.«Sono cresciuto nel faro – racconta –. Una notte c’era una mareggiataterribile. Con il papà, la mamma e mio fratello maggiore, Maurizio, siamosaliti sulla torretta. Eravamo spaventati. Poi, però, abbiamo capito chenon dovevamo preoccuparci. Senza dire una parola, solo guardandocinegli occhi, siamo tornati a letto. Chi abita in un faro è abituato a convi-vere con le bizze della natura. E la paura dura solo pochi istanti».

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norama non ha prezzo. Forse neppure An-namaria “Lilla” Mariotti, la scrittrice camo-gliese che ha dedicato ai fari la metà abbon-dante del suo corpus letterario (e che, di re-cente, messo in bacheca un nuovo ricono-scimento, classificandosi al secondo postoal Premio Carlo Marincovich per due articolia tema pubblicati su riviste specializzate) saspiegare quale sottile meccanismo s’inneschinell’animo umano per renderlo così arren-devole al fascino dei fari. La loro luce, inogni caso, non è solo un cono color latteche squarcia il buio e guida chi va per mare.È molto di più: un viatico per rifletteresulla condizione umana. Sulle eterne do-mande che assillano ogni uomo: cos’è la re-altà? A che serve la vita?

Il ritorno è meno gioioso. Si va quasi inpunta di piedi, per non rompere l’incanto.La frenesia quotidiana incombe. La gita alfaro è finita. Ci si sente più ricchi, però. Diuna ricchezza che non ha prezzo.

Sulla terrazza panoramica, acquattatosotto al faro, un mini bar in posizione invi-diabile. Un angolino speciale dove sedersiper un gelato o un caffè o per un brindisiromantico. Stregati dallo scenario da carto-lina, dalla fragranza degli alberi di eucalipto,dalla magia dell’ambiente, si scoprono nuovepossibilità di accostare mente e cuore allanatura.

Immagini in dissolvenza apparente per-ché, ora, bisogna rientrare. Ma ripensarci,sì, vale la pena.

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In questa pagina, ilpanorama che si gode dal faro e la terrazza conil piccolo bar (foto FabioPiumetti).

A fronte, l’imponenza delpromontorio alle spalledel faro di Portofino euna cartolina degli anni’30 del Novecento.

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Nel 1983 la famiglia Doria-Pamphilj dona al FAI il complesso monastico

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* Trent’anni sono passatida quando Frank e Orietta Pogson DoriaPamphilj donarono San Fruttuoso al FAI –Fondo Ambiente Italiano, fondazione che, daoltre trentacinque anni, con passione e vivoentusiasmo, continua a operare per mantenere,salvaguardare e valorizzare il patrimonio ar-tistico e paesaggistico italiano e a sensibilizzarele istituzioni e la collettività alla sua tutela.

Come ci ha ricordato Marco Magnifico,Vicepresidente Esecutivo, nel penultimo nu-mero del Notiziario FAI, tutto nacque dallatelefonata che la principessa Orietta Doria

ALESSANDRO CAPRETTI Doria, le case dei pescatori e trentatré ettaridi terreno a uliveto e macchia mediterranea.

Così il FAI si trovò ad affrontare unagrande sfida: recuperare il monumento,mantenere vivo il borgo di pescatori e con-servare un paesaggio giunto intatto fino aigiorni nostri. Oggi possiamo dire che, grazieal sostegno di tanti “amici”, questa impresaè stata portata a termine con grande successo,testimonianza ne sono gli oltre trentacin-quemila visitatori che ogni anno possononuovamente scoprire questo gioiello dell’ar-chitettura romanico-gotica ligure.

San Fruttuoso di Capodimonte

trent’anni dopo

Anche se non è mia intenzione raccontaredalle pagine di questa rivista la storia e il re-stauro di San Fruttuoso, mi pare doverosoun brevissimo excursus sull’evoluzione diquesto bene, dove sono conservate le santereliquie di Fruttuoso, Vescovo di Tarragona,martirizzato nel gennaio del 259 d.C. nel-l’anfiteatro della città spagnola insieme aisuoi diaconi Augurio ed Eulogio. 4

A fronte: San Fruttuosoincastonata tra il verde eil mare (foto Santi Caleca,2012 © FAI - FondoAmbiente Italiano. A destra, particolare dellecolonnine marmoreedelle tombe Doria (fotoGiorgio Majno, 2006 ©FAI - Fondo AmbienteItaliano).

* Property Manager Abbazia di San Fruttuoso

Pamphilj fece all’allora Segretario Generale,l’architetto Renato Bazzoni, manifestandol’intenzione di donare al FAI le “tombe di fa-miglia”. La cauta risposta dell’architetto lasciòpresto spazio a un soffocato “grido” di gioiaquando scoprì che la principessa stava do-nando alla Fondazione l’intera Abbazia diSan Fruttuoso con il sepolcreto di famiglia,la Chiesa, la Torre cinquecentesca di Andrea

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Quando approdai a lavorare inquesto luogo unico, oltre dieci annifa, i restauri, diretti dall’architettoGuglielmo Mozzoni, con gli impo-nenti lavori archeologici e strutturali,erano già stati completati e gli stu-diosi avevano già delineato le prin-cipali vicende storiche-architettoni-che.

Nell’arco di oltre mille anni distoria questo monumento ha cam-biato per ben tre volte la sua desti-nazione d’uso. Già a partire dal X se-colo monastero benedettino, subiscela prima trasformazione nel momen-to in cui l’ammiraglio Andrea Doria,Principe di Melfi, riceve nel 1551 daparte del Papa Giulio III il giuspa-tronato su San Fruttuoso. Vengonoeseguite imponenti opere di ristrut-turazione che coinvolgono la chiesae i chiostri e fanno da preludio al-l’arrivo dei coloni, cioè quella piccolacomunità di pescatori che vivrannoall’interno dell’Abbazia fino ai giorninostri in umili abitazioni ricavate al-l’interno del corpo abbaziale due-centesco e della sala del capitolo.Nel 1983 la svolta: la donazione alFAI, i restauri e una nuova vita conla sua destinazione museale.

Oggi si lavora su diversi frontiper valorizzare e conservare il bene.Da un lato si tiene viva la vita culturalee sociale del monumento, per “…evitare il pericolo di un’esistenzasonnacchiosa…” come scriveva GiuliaMaria Mozzoni Crespi, oggi Presi-dente Onorario FAI, nella presenta-zione del catalogo della mostra “IlMonte di Portofino la flora”, allestitapresso la Torre Doria nella primave-ra-estate del 1992; dall’altro si ap-prontano le strategie per la conser-vazione programmata e preventiva,sia del monumento sia del territoriocircostante. Oltre a questo si è intra-preso un percorso di recupero e va-lorizzazione delle testimonianze dellacultura materiale del borgo, incentrateprincipalmente sulle attività legatealla pesca, con una serie di piccoliinterventi di restauro.

Ogni anno l’Abbazia presenta unricco calendario di eventi e manife-stazioni proprio per mantenere altol’interesse sul bene durante tutto

CAMERE CON VISTA Di giorno i riflessi del sole si rincorrono sulle onde e il profumo dellasalsedine si propaga grazie ai venti che giungono da lontano. Di notte,il suono rilassante del riflusso del mare culla il riposo e gli aromi dellamacchia mediterranea fanno capolino dalle finestre.Vivere il borgo di San Fruttuoso è come immergersi in un luogomagico in cui è possibile ritrovare le luci e i colori dell’aspro paesaggioligure immortalato nei quadri dei grandi pittori a cavallo tra ‘800 e ‘900.Ma l’emozione di trascorrere una o più notti nel borgo di San Fruttuosoe immediati dintorni non è un sogno proibito. La Foresteria dell’abbazia del FAI affitta un appartamento su due livellicomposto da soggiorno con divano letto, cucina abitabile, due camereda letto, terrazza (tutti i dettagli su: www.visitfai.it/dimore/sanfruttuoso;tel. 0185.772703; e- mail: [email protected]).Sempre nel borgo, il ristorante “Da Giovanni” offre quattro cameredoppie e tre singole (per info e prenotazioni: tel. 0185.770047; [email protected]).A soli 20 minuti a piedi dal borgo, sul sentiero che conduce a PietreStrette, l’“Agririfugio Molini” gestito dalla cooperativa “Il giardino delborgo“ mette a disposizione 11 posti letto. Informazioni: tel. 0185.772291;335.5610222; [email protected]).

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l’arco della stagione, lavorando astretto contatto con l’AssociazioneCulturale Echi di Liguria, nostro par-tner storico per gli eventi culturali.Recentemente collaborano con noigli Enti pubblici di tutela e valorizza-zione del territorio quali il Parco diPortofino e l’Area Marina Protetta diPortofino. Questo solido rapporto ciconsente di proporre ogni anno aivisitatori approfondimenti legati alleemergenze storiche – culturali e na-turalistiche del territorio e frammentidi storia della cultura materiale ligure,realizzando mostre tematiche di am-pio respiro.

A quasi trent’anni dai primi re-stauri, prima di ritrovarci nella si-tuazione del restauro-evento quandoil monumento viene sottoposto a“traumi” e gli interventi diventano

CRONOLOGIA DEI RESTAURIIl 25 settembre 1915 una violenta alluvione si abbatte sul cenobio, distruggendo la facciata e la prima campata della chiesa eriempiendo di detriti gli spazi sottostanti. I restauri (consolidamenti e ripristino – in parte – della facies medievale) sono attuati in tre fasi (1933-1934, 1959, 1968) einteressano chiesa, monastero e torre nolare. Nel 1983 la famiglia Doria Pamphilj dona alFAI il complesso monastico, la Torre Doria,alcune abitazioni e 33 ettari di macchiamediterranea. Nel 1985 prendono l'avvio i restauri diretti daGuglielmo Mozzoni, con l'intento di riportareil monastero a un nuovo splendore. Iniziano (1985-1989) anche gli scaviarcheologici (chiesa, chiostro e altri ambiti)diretti da Alexandre Gardini. Infine, nuovi interventi e indagini alla chiesasi sono avuti a partire dal 2004Tratto da: L. Borromeo Dina, a cura di, “Abbazia di San Fruttuoso”, Milano 2013

Nella pagina a fronte: Foresteria, particolare (foto Santi Caleca, 2012 © FAI - Fondo Ambiente Italiano).

In questa pagina: in alto, il chiostro superiore risalente al XII secolo (Foto Flavio Pagani, 2011 © FAI - Fondo Ambiente Italiano); a destra, il chiostro superiore prima deirestauri del FAI (Foto Renzo Roversi, 1985).

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La torre nolare della chiesa abbazialedi San Fruttuoso, la torre ottagonapiù antica in Liguria ancora integra,edificata nell’XI secolo sulla verticaledella sorgente perenne di Capodi-monte, presenta oggi localizzati fe-nomeni di degrado, sia interni cheesterni. Fenomeni sia di tipo fisico,dovuti all’azione degli agenti atmo-sferici, che di tipo biologico, qualipatina, muffe e licheni. In previsione dell’intervento di con-servazione e restauro che la Fonda-zione si accinge a compiere que-st’autunno grazie alla generosa do-nazione di un privato, il Dipartimento

di Scienze per l’Ar-chitettura dell’Uni-versità degli Studidi Genova e il FAIhanno stipulato unaccordo per attivareun cantiere pilota, con l’obiettivo diottenere una consulenza tecnico-scientifica mediante lo sviluppo diricerche e approfondimenti per tro-vare le migliori soluzioni per la con-servazione delle superfici lapidee.L’indagine, che ha preso avvio questaestate sotto la Responsabilità Scien-tifica del Professor Architetto StefanoF. Musso e che si svilupperà nell’arco

di due anni, èvolta all’indivi-duazione di me-todi, tecniche eprodotti di con-solidamento e

protezione, efficaci e controllabili,sulle superfici lapidee del complessomonumentale. A questo scopo èstata individuata l’area d’interventonella seconda arcata a ponente delcorpo abbaziale duecentesco, doveverranno effettuati i test che per-metteranno di verificare l’efficaciadel trattamento cui sarà successiva-mente sottoposta la torre nolare.

UNIVERSITÀ DI GENOVA E FAIINSIEME PER L’ABBAZIA

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complessi e onerosi, stiamo avviandoun ricco programma di conservazioneprogrammata e preventiva allo scopodi eseguire un’accurata manutenzioneper ridurre i fenomeni di degrado,agendo in primo luogo sulle cause.Quattro le macro-aree su cui inter-venire: la torre nolare della chiesaabbaziale, la facciata duecentesca delmonastero, la casa canonica e laTorre Doria. I primi due interventisi prenderanno cura delle superficilapidee, il terzo riguarderà il restaurodelle facciate e della copertura in ar-desia, mentre l’ultimo verterà sul re-stauro degli intonaci e degli stemmidella famiglia Doria, l’aquila imperialerostrata, esposti all’azione dei ventidominanti meridionali.

Oltre che sul monumento però ènecessario intervenire anche sul ter-ritorio. Due i filoni su cui lavorare: ilrecupero di un uliveto storico e ilmonitoraggio e la pulizia degli alveidei torrenti, per evitare fenomeni di

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A fronte, foto grande, la torre nolare (fotoFlavio Pagani, 2011 © FAI - FondoAmbiente Italiano);nel riquadro, vista delcomplesso dal mare(foto Giorgio Majno,2006 © FAI - FondoAmbiente Italiano).

In questa pagina:sopra, le tombe dellafamiglia Doria (fotoSanti Caleca, 2012 © Fondo AmbienteItaliano);a destra, la Torre Doriavista dell’interno delchiostro (foto SantiCaleca, 2012 © FondoAmbiente Italiano).

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Singolare è il manufatto che si incontra percorrendo il sentiero indirezione della caletta dei pescatori, formato da una struttura murariache sorregge un calderone in rame. Si tratta della vasca per la tinturadelle reti che veniva utilizzata due volte all’anno per trattare questipreziosi strumenti in uso ai pescatori. In passato le reti venivanorealizzate in cotone, una volta utilizzate dovevano essere sciacquatecon acqua dolce e stese ad asciugare come testimonia la riccaiconografia novecentesca del borgo. All’interno del calderone venivaportata a ebollizione l’acqua a cui si aggiungeva la corteccia macinatadel Pino domestico (Pinus pinea), successivamente venivano immersele reti per rinforzarne le maglie e conferirgli quel caratteristico coloreambrato che avrebbe ingannato i pesci. Si racconta che in queste occasioni veniva offerta una donazione allachiesa di San Fruttuoso, atto simbolico per propiziare una riccastagione di pesca. Siamo risaliti alla datazione di questo manufatto grazie alreperimento di un documento conservato e messo gentilmente adisposizione dalla Signora Emanuela Avegno, nostra inquilina chevive ancora oggi con il marito e la nipote nella Torre Doria. Neldocumento, datato 25 gennaio 1921, i Doria concedono a EmanueleAvegno, nonno di Emanuela di professione pescatore, di murare unacaldaia per la tintura delle reti su un terreno sottostante la Torre checonduceva in affitto. L’intervento di recupero, affidato a Eros Zanotti restauratore che dadiversi anni opera a San Fruttuoso e realizzato a cavallo tra il 2011 e il 2012, è stato dedicato allo smontaggio, alla catalogazione e alconsolidamento dei materiali lapidei che costituivano il manufatto.Una volta consolidate le parti smontate sono state nuovamenteassemblate utilizzando gli stessi criteri e gli stessi materiali che siusavano in passato.

PICCOLI INTERVENTI CHE RACCONTANOLA VITA DEL BORGO

Per saperne di più…A più di vent’anni dall’uscita della prima guida FAI di San Fruttuoso, è oradisponibile la nuova edizione. Curata da Lucia Borromeo Dina, responsabiledell’Ufficio cultura e ricerca FAI, la guida, che fa parte della collana dedicataai Beni FAI, si presenta in un formato rinnovato, con saggi inediti, frutto dicostanti ricerche e indagini sul complesso monastico, “…pur senza pregiu-dicare il valore storico della prima…”, come scrive Colette Dufour Bozzo inapertura.Presentata da Andrea Carandini, Presidente del FAI, con un contributo diGiulia Maria Mozzoni Crespi sui primi interventi della Fondazione, lalettura scorre veloce grazie all’organizzazione del lavoro per aree tematiche,intervallate da alcuni interessanti box di approfondimento.Si parte con la scoperta dell’ambiente in cui è incastonata l’abbazia e siprosegue con l’evoluzione storica del bene e l’invito alla visita in cui sonoinseriti alcuni approfondimenti sui temi di maggior rilevanza, paesaggioagricolo e tradizioni legate alla pesca completano il quadro di conoscenzadel borgo marinaro. L’ultima parte è dedicata ai restauri del FAI con le in-terviste all’architetto Guglielmo Mozzoni e all’ingegner Giorgio Rigone.

Nelle foto, sopra, il manufatto ante restauro (foto Alessandro Capretti, 2011 ©); sotto, dopo il restauro (foto Alessandro Capretti, 2012 ©).

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dissesto idrogeologico come la disastrosa alluvione del settembre 1915. In entrambi icasi è il gioco di squadra la carta vincente. Un team di giardinieri, provenienti da variBeni FAI, ogni anno si dà appuntamento a San Fruttuoso per lavorare insieme, scam-biandosi esperienze e arricchendo le loro rispettive conoscenze.

A supporto di quest’azione ci rivolgiamo al volontariato, settore su cui laFondazione sta investendo molto in questi ultimi anni. Sono soprattutto i gruppiscout, che ospitiamo in occasione dei loro campi, a regalarci quella manodopera pre-ziosissima per la manutenzione ordinaria delle zone a maggior rischio di dissesto,localizzate in prossimità del monumento.

Da alcuni anni, per riprendere il filo narrativo della storia del borgo marinaro,stiamo lavorando al recupero di diversi manufatti, tracce di un passato che è ancoravivo nei ricordi dei pescatori “sanfertusini”. Questi interventi sono stati resi possibiligrazie alla sensibilità di Andrea Fustinoni, Presidente Regionale FAI Liguria, che inquesti ultimi anni ha pazientemente coordinato la raccolta fondi delle Delegazioniliguri, destinando una cospicua parte di queste risorse a San Fruttuoso.

Un altarino votivo, realizzato da mani ignote con elementi marmorei di riuso,viene restituito alle sue antiche funzioni, un lavatoio degli anni trenta, alimentato untempo dalle sorgenti Caselle, riacquista le sue forme perdute. La fabbrica delle corde,utilizzata un tempo per la lavorazione della “lisca” (Ampelodesmos mauritanicus),pianta manifatturiera con la quale si tessevano i cordami per le reti da pesca, può ac-cogliere sotto una rinnovata copertura i “cordai” di San Fruttuoso, mentre la vascaper la tintura delle reti, anche se non più utilizzata, è stata salvata da una fine annun-ciata.

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La Torre Doria (foto FlavioPagani, 2011 © FAI - FondoAmbiente Italiano).

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I l 22 febbraio 1941 furono occupati dal-l’Amministrazione Militare, in località PuntaChiappa, alcuni appezzamenti di terreno

di proprietà del comune di Camogli. Stantel’assoluta urgenza con la quale venne intra-presa la costruzione della Batteria, l’Ammi-nistrazione Militare non fu in grado di pro-cedere alla compilazione dei verbali di occu-pazione e dello stato dei terreni; la pratica

espropriativa non venne mai ini-ziata, né risulta che, a suo temposia stato emesso il relativo decretodi occupazione di urgenza. Dettaoccupazione si protrasse di fattofino all’8 settembre 1943, epocain cui la postazione venne ab-bandonata dalla guarnigione delRegio Esercito Italiano, passandosotto il controllo del 619° batta-

glione di artiglieria di Marina costiera Tedesco(MAA 619), che ne mantenne il controllofino al 1945. Il terreno occupato, presso lalocalità Erbaio, zona del parco oggi meglioconosciuta con il nome “Batterie”, al tempodella realizzazione dell’apprestamento militare,veniva così definito dai Tecnici del Genio:“Terreno gerbido del tipo ‘macchia mediter-

L’Ente Parco di Portofino ha in corso di ultimazione unprogetto volto al recupero e alla valorizzazione dei manufatti bellicipresenti in un’area un tempo conosciuta con il nome “Erbaio”, oggi notacon il toponimo “Batterie”, sul tratto di costa che a 250 m sul livello delmare sovrasta Punta Chiappa. Un lungo lavoro di ricerca svolto attraversogli archivi militari italiani e tedeschi, ha permesso di ricostruire la storiae il funzionamento di questo complesso fortificato, che custodisce levestigia della ex 202a batteria di Artiglieria costiera del Regio EsercitoItaliano. Tale installazione, realizzata durante il secondo conflitto mondiale,faceva parte di un sistema difensivo posto a protezione dello specchioacqueo antistante la città di Genovaed il suo porto. La batteria di PuntaChiappa rappresentava l’estremapropaggine di Levante, mentre adArenzano era presente la batteria diPonente. Tra di esse si trovavano lebatterie di Monte Moro sulle pendicidi Genova Quinto al Mare e la bat-teria Mameli a Pegli. Va menzionatainoltre la presenza di treni armati epontoni galleggianti, anch’essi dotatidi artiglierie di medio e grosso calibro in grado di offrire ulteriorecopertura di fuoco. Diversamente dalla zona di La Spezia, che con il suoarsenale, rappresentava un obiettivo strategico di notevole importanza,in carico alla Regia Marina, Genova non era considerata piazzaforte ma-rittima, e le sue difese erano assicurate dalle truppe di terra del RegioEsercito. Dopo il bombardamento navale inglese perpetrato il 9 febbraio1941 ai danni della città, lo Stato Maggiore della Difesa si rese contodella necessità di realizzare nuove batterie di artiglieria da costa, dotatedi cannoni navali, per contrastare gli attacchi dal mare. Il 22 febbraio1941, iniziarono i lavori di costruzione della nuova batteria da 152/45 inPunta Chiappa.Riportiamo qui un estratto dal libro di Gian Franco Coari: I bunker dellaguerra sul monte di Portofino, di prossima pubblicazione.

GIAN FRANCO COARI

Storia e segreti delle batterie costieredi Punta Chiappa

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In alto, l’ampia veduta del mare dalle batterie (fotoAlberto Girani). In piccolo, un “1944” inciso daqualche soldato di guardia alla postazione (fotoBenedetto Mortola).

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ranea’, composto da cespugliato di bassofusto con rade piante di pino marittimo didiametro poco sviluppato data la consistenzaarida e rocciosa del terreno”.

La 202a batteria di artiglieria costieraChiappa era costituita da: una garitta persentinella, una piazzola in calcestruzzo percannone mitragliera con annessa riservettaper le munizioni, tre baracche di legno, unfabbricato corpo di guardia, una stazioneprotetta direzione di tiro, tre postazioni percannoni in calcestruzzo, quattro piazzole permitragliatrice, un deposito munizioni sot-terraneo (costituito da due tunnel impiegaticome deposito cariche ed armeria), un fab-bricato infermeria, un altarino di S. Barbara,una casermetta comando, una casermettadormitori, una tettoia lavatoio, un fabbricatocucina, un fabbricato latrine, un piccolo ma-gazzino con due corpi di fabbricato, un os-servatorio in calcestruzzo sito in localitàpunta del Bricco. I lavori necessari per larealizzazione di tale impianto, cominciati indata 22 febbraio 1941, nei giorni immediata-mente successivi al bombardamento navaledi Genova dai gruppi della Forza H dellaFlotta Navale Britannica, si protrassero pertutta la permanenza delle truppe Italianedel Regio Esercito, e poterono realmenteconcludersi soltanto in seguito all’occupazionetedesca, che ne ultimò la realizzazione ap-portando le modifiche protettive previstedagli standard costruttivi germanici. La partedei lavori che risultò maggiormente com-plessa, fu quella relativa agli scavi nella pud-dinga, il particolare conglomerato rocciosodi cui il Monte di Portofino è prevalentementecostituito. Fu infatti necessario, per poterportare materiale e attrezzature a quota 250metri dove si trovava il cantiere di costruzione,realizzare un sentiero spianato che potessepermettere di impiantare una sorta di rotaia,una guidovia che, per mezzo di un verricelloposizionato in quota, consentisse ad un car-rello collegato ad un cavo d’acciaio di risalireda Punta Chiappa a livello del mare, finoalla batteria posizionata 250 metri più inalto. Per consentire il passaggio di un carrellosufficientemente grande da poter caricaretutto il materiale da costruzione impiegatoe successivamente i pesanti pezzi di artiglieria,venne creato un percorso dove furono im-piantati i binari di acciaio, sui quali dovevanoscorrere le ruote del carrello montacarichi.Questo sistema di trasporto rimase attivoalla batteria di Punta Chiappa fino al terminedel conflitto bellico. Naturalmente, per ren-

IL LIBRO E L’AUTOREIl volume I bunker della guerra sul montedi Portofino. Die II° Marine-Küsten-BatterieChiappa, edizioni Il Geko 2013 (diprossima uscita), realizzato da GianfrancoCoari, è il prodotto di un lungo studio ini-ziato nel 2011, volto a ricostruire la storia,

la funzione e le caratteristiche tecni-che dei bunker difensivi presenti sul Monte di Portofino. Tali opere, realizzate all’inizio della secondaguerra mondiale dall’Esercito Italiano,vennero successivamente occupatedagli ex alleati della Germania nazio-nalsocialista, che ne adeguarono lestrutture secondo i rigidi standardprevisti dai tedeschi per le opere di difesa costiera. È stato necessarioaffrontare un lungo iter burocratico,

necessario per ottenere l’accesso agliarchivi militari italiani e tedeschi. Questoimpegno ha dato i suoi frutti e ha consen-tito di consultare dei documenticonsiderati “segreti”, le planimetrie delleopere in caverna e i progetti dei bunker aprova di bomba. Gianfranco Coari è nato a Santa Marghe-rita Ligure il 10 maggio 1968. È esperto inBeni Culturali, perito d’antiquariato, dot-tore magistrale in Storia dell’Arte, studiosoin ambito universitario di fortificazioni allamoderna e architettura militare.

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Una fotoelettrica a SanRocco di Camogli.

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dere possibile tale progetto, fu necessariamoltissima manodopera e l’impiego di unnotevole numero di maestranze, reclutatein appoggio al personale dell’Arma del Geniodel Regio Esercito, provenienti dalle vallibergamasche, ma anche dalle zone di S.Maria del Taro (PR), Bedonia (PR), Scurtabò(SP). Particolarmente utile, risultò l’impiego

dei fuochini, ovveroil personale specia-lizzato nell’uso degliesplosivi, che al gridodi “arde la mina”, av-visavano i colleghidell’imminente esplo-sione di una carica.Il loro operato age-volò il difficile e lun-go lavoro di perfora-zione del conglome-rato roccioso delmonte, operazionenecessaria per la rea-lizzazione delle gal-lerie sotterranee, co-stituenti i depositidelle cariche esplosi-ve per le artiglierie elo sviluppo dei rico-veri in caverna. Lo

Stato Maggiore della Difesa, stabiliva infattila realizzazione di tunnel sotterranei per ilfunzionamento dei sistemi difensivi costieri.Tutti i materiali da costruzione, compresi igruppi elettrogeni e i compressori per le at-trezzature da scavo, arrivavano via mare per

mezzo di chiatte o pontoni galleggianti che,nei pressi dello sperone di Punta Chiappapotevano attraccare e sbarcare il carico conl’ausilio di tavolati e passerelle. A quel punto,si procedeva ad assicurare sul carrello i ma-teriali che, con l’azione del verricello, venivanoissati sul pendio fino al cantiere di costru-zione, su un dislivello di 250 metri. Sicura-mente, durante la costruzione della batteriacostiera, gli sforzi maggiori, furono necessariper la realizzazione delle gallerie sotterranee,con la conseguente demolizione di ingentiquantitativi di puddinga. Per ottenere unamaggior protezione dall’umidità, e contem-poraneamente ottenere una miglior coiben-tazione degli ambienti sotterranei, gli Inge-gneri delle costruzioni fecero ricoprire imuri e le volte “a botte” dei tunnel da unparticolare materiale, propriamente chiamato“Populit” costituito da erba pressata e truciolidi legno impastati con una malta cementiziamolto diluita, lasciata ad asciugare in specialiforme opportunamente preparate. Al terminedi questo procedimento, si ottenevano deigrossi fogli di circa 2 centimetri di spessoreche venivano “posati”, nel caso dei muri,sopra un primo strato di mattoni forati, esuccessivamente coperti con un strato di in-tonaco. Tali gallerie scavate nella puddingavenivano realizzate mantenendo un’altezzainterna costante di circa 2 metri, necessariper consentire al personale militare di muo-versi agevolmente all’interno di esse. Fupossibile ottenere queste dimensioni deitunnel, sfruttando le caratteristiche del con-glomerato roccioso, e realizzando delle volte4

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Due foto ricordo disoldati italiani della 202a

batteria di artiglieriacostiera “Chiappa”.

Sotto, un cannoneSchneider spunta da unacasamatta.

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a “botte”; i fogli di Populit adeguatamentecurvati venivano applicati alle volte delle al-trimenti umide gallerie nella roccia e suc-cessivamente intonacati. La pavimentazionedi tutti i camminamenti sotterranei venivarealizzata interamente da un battuto in ce-mento, dotato di sistemi drenanti, sul qualeveniva mosso un carrello adibito al trasportodei proietti dei cannoni da 152/45, dalle ri-servette alla postazione dell’artiglieria. Losviluppo planimetrico dei tunnel prevedevala realizzazione di una serie di locali adibitia magazzini delle cariche esplosive, a basedi polvere nera e Balistite o Cordite, e deiproietti. Ogni proietto infatti, pesava circa50 kg e per il loro spostamento veniva uti-lizzato all’interno delle gallerie un carrelloadibito al trasporto. Gli artiglieri trasportavanolungo i tunnel i proietti e le cariche, che ve-nivano portati nei pressi della postazione ditiro, sollevate e consegnate, attraverso unaferitoia, ai serventi al pezzo presenti al-l’esterno sulla piazzola. Il rifornimento idricodel complesso proveniva da una cisterna al-lacciata all’acquedotto comunale, mentre lacorrente elettrica era assicurata da una lineaquadripolare aerea a sezione degradante, for-nita dal presidio della Marina Militare al Se-

maforo Nuovo e dalla linea dell’O.E.G. (Offi-cine Elettriche Genovesi).

Con l’Armistizio dell’8 settembre 1943,proclamato dall’allora Capo del Governo, ilmaresciallo d’Italia Pietro Badoglio, venne acrearsi una particolare confusione tra leforze armate Italiane su tutti i fronti suiquali ancora combattevano. Più del 50 percento dei soldati abbandonarono le armi, edin abiti civili tornarono alle proprie case.Oltre 600.000 soldati Italiani vennero catturatidall’esercito germanico e destinati a diversilager con la qualifica di I.M.I. (internatimilitari italiani), nelle settimane immedia-tamente successive. Anche i soldati di stanzaalla Batteria di Punta Chiappa abbandonaronoil presidio e le artiglierie vennero sabotate erese inefficaci, prima di essere definitivamenteevacuate. Gli otturatori ed i sistemi di pun-tamento vennero volontariamente danneg-giati o dispersi, con la precisa intenzione direndere inutilizzabile il complesso di arti-glieria costiera. Nei giorni che seguironol’Armistizio Badoglio, l’Italia venne occupatadall’ex alleato tedesco. La 202a batteria diPunta Chiappa, passò in carico alle truppetedesche del 619° Battaglione (MAA 619)della “Marine Artillerie”, l’artiglieria costiera

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A sinistra, le “Batterie”sono una delle localitàmaggiormente visitatedagli escursionisti (fotoBenedetto Mortola).

Sopra, una bomba amano SRCM 35 Balilla(foto Benedetto Mortola)e una coperturaantischegge del depositodi cariche esplosive(foto Mario Malatesta).

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della Marina Tedesca (Kriegsmarine), cheprese il controllo di 13 batterie dislocatelungo la costa ligure fino ad Arenzano.

Gli interventi di riassetto della BatteriaChiappa, necessari per adeguare il complessoai rigidi standard stabiliti dagli Ingegneridelle Fortificazioni Germaniche (Festungs-Pioniere), furono eseguiti dalla celeberrima

di risorse materiali e umane, costringendoal lavoro coatto prigionieri di guerra e po-polazione civile. Le opere più significativerealizzate presso la Batteria Chiappa, durantel’occupazione tedesca, riguardavano la pro-tezione in “casamatta” dei cannoni e dei ser-venti ai pezzi di artiglieria antinave. Duedelle tre postazione per cannone da 152/45furono protette, dopo l’8 settembre 1943, dauna calotta in cemento armato con muri dispessore superiore ai 2 metri, dette comu-nemente “a guscio di tartaruga”, costituiti daun’ampia feritoia concepita in funzione dimantenere il maggior brandeggio del pezzodi artiglieria custodito all’interno della casa-matta e dotati del tipico profilo a gradoni,sovrastanti l’ampia feritoia, realizzati alloscopo di deviare i proietti, sparati con tiri di-retti dall’offensiva navale nemica.

La batteria di Punta Chiappa disponevadi tre cannoni navali da 152/45, capaci diuna gittata di circa 19.000 m, oltre natural-mente all’armamento per la difesa antiaerea(costituito da un cannone mitragliera Breda37/54 e da una mitragliatrice binata da 20mm). Durante il periodo bellico, l’interaarea venne organizzata a caposaldo e cosparsadi mine antiuomo; nessun civile poteva av-vicinarsi ai reticolati che ne definivano il pe-rimetro. Un presidio composto da 100 soldatitedeschi (tra i quali vi erano polacchi ed au-striaci) e due squadre di bersaglieri dellaR.S.I. garantivano il funzionamento di questosistema difensivo, uno dei più importantidel Vallo Ligure.

Organizzazione Todt (sigla O.T.), una strutturaparamilitare che riuniva gli operai di più dimille imprese private di costruzioni. La O.T.fu considerato il più grande cantiere ediledella seconda guerra mondiale e insiemeuna grande macchina per lo sfruttamento

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A sinistra, l’apertura chepermetteva il brandegiodel cannone (foto MarioMalatesta). A destra, lapostazione per lasentinella (foto BenedettoMortola).

Sotto, a sinistra il corpo di guardia da pocoristrutturato. Al centro si vede il tratto iniziale del sentiero che scende a Punta Chiappa (fotoBenedetto Mortola).

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Il racconto che pubblichiamo è trattodalla raccolta antologica “Ambiente e Civiltà”, edita nel 2006.Annamaria “Lilla” Mariotti è nata a Camogli, dove vive e lavora. Scrive storiee leggende legate al mare.

Questa storia inizia molti secoli fa,quando i pirati barbareschi, o sa-raceni, come venivano chiamati,

partendo dalla coste del Nord Africa e dallaTurchia imperversavano lungo tutte le costedel Mediterraneo, depredando e saccheg-giando tutto quello che potevano e portandoin schiavitù uomini, donne e bambini. Que-ste razzie ebbero il loro culmine nel 1500quando fece la sua apparizione il più ferocee crudele fra tutti i pirati, Dragut (o Torghud)Raiss Bassà, luogotenente dell’altrettantotristemente noto Khair-ed-Sin, conosciutoin occidente come Barbarossa.

Tutto successe un giorno della primaveradel 1557. Dragut, già carico di tesori, avevamesso a sacco Recco, un piccolo borgosulla costa ligure non distante da Genova,caricandosi di altro oro e di uomini, donne

e bambini da vendere come schiavi a Tunisi,poi si era presentato con tutte le sue navidavanti a Camogli, un villaggio di pescatoripoco distante. Gli abitanti terrorizzati sierano riversati dentro il castello della Dra-gonara, l’unico loro rifugio, il ponte checollegava il forte al resto del borgo fu solle-vato, le armi furono caricate e tutti si pre-pararono ad una strenua, quanto inutile di-fesa. Ma avvenne qualcosa di strano, ilpirata, ebbro di bottino e di sangue, si al-lontanò senza sparare nemmeno un colpo,lasciando intatto il villaggio ed i suoi abitanti.Tutti, increduli ma sollevati, tirarono unsospiro di sollievo e tornarono alle lorocase. Infatti non esistono tracce che Dragutabbia mai espugnato Camogli, l’unica citta-dina ligure ad essere stata risparmiata. Sidice che gli scogli che si trovano davanti alporto, che hanno nomi suggestivi come “idue fratelli” o “inferno” fossero un deterrentesufficiente a tenere lontane le navi deipirati, che non amavano rischiare un nau-fragio.

Intanto si era fatta notte e Dragut diedeordine ai suoi sciabecchi di rientrare a

La leggenda del tesoro nascosto nella Cala

L’ORO DI DRAGUTdi Annamaria “Lilla” Mariotti

Esistono documentistorici che dimostranocome davvero i piratisaraceni approdasseroalla Cala dell’Oro (qui inuna vista dall’alto) perrifornirsi di un benemolto prezioso: l’acqua.Oggi è riserva integralesia del Parco, presso lacosta, che in maredell’Area Marina Protettae l’accesso – anche viaterra – è vietato.

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Tunisi con una parte dell’oro e con i prigionieri, mentrelui, con la nave ammiraglia carica di sacchi d’oro e dioggetti preziosi, veleggiava verso Est lungo la costa delmonte di Portofino con pochi uomini in cerca di unnascondiglio sicuro per la sua preda, che avrebbe poirecuperato in un secondo tempo senza doverla dividerecon nessuno. Conosceva quella zona, perché nel 1549,dopo aver assalito Rapallo, si era fermato a San Frut-tuoso per rifornirsi d’acqua. Passata Punta Chiappa,Dragut, in piedi sul ponte di comando, avvistò unapiccola cala, profonda e stretta, che pensò potesse fareal caso suo. Così ordinò agli uomini di dare fondo edi mettere in mare una scialuppa sulla quale fece cari-care sacchi e sacchi di bottino e, con la sola compagniadi Salim, il suo fedele servitore sordomuto, si diresseverso terra. La riva era scoscesa e piena di rocce, mariuscirono ad avvicinarsi e ad ancorare la barca. Dragutscese a terra da solo e si mise a cercare un luogoadatto in cui celare il suo tesoro. In fondo alla cala,quasi nascosta dietro ad una roccia trovò una piccolagrotta, un ingresso stretto che permetteva l’entrataad un solo uomo, ma abbastanza grande e profondaall’interno da contenere tutti i suoi sacchi. Fece unsegnale con la lanterna a Salim che cominciò a scari-care e dopo qualche ora tutto era sistemato. Ora bi-sognava nascondere la grotta, Dragut si guardò ingiro e vide che sopra l’ingresso sporgeva un piccolopino in equilibrio precario sulla poca terra in cui af-fondavano le radici. Il pirata, con l’aiuto di una corda,riuscì ad afferrarlo e a tirarlo giù. Il tronco e la terracaduta con lui furono sufficienti a nascondere iltutto. Tornato sulla lancia Dragut fece cenno a Salimdi remare verso la nave, ma quando arrivarono el’uomo si sporse per raggiungere la cima che pendevadal bordo dello sciabecco per attraccare, il ferocepirata estrasse velocemente un coltello e lo lanciòcolpendolo alle spalle. Il povero Salim cadde in maresenza un gemito, così Dragut salì a bordo dicendoche il suo servo era morto cadendo su una roccianella piccola cala. Poi, date le istruzioni ai suoi uominidi veleggiare verso Tunisi, se ne andò a dormire tran-quillo nella sua cabina.

Anche Dragut, così feroce e crudele, doveva passarei guai suoi. Era nato in un villaggio turco e giovanissimoera stato portato al Cairo, poi ad Alessandria da doveaveva iniziato a percorrere i mari. Era un abilissimomarinaio e già proprietario di una sua nave quandoBarbarossa lo prese come suo luogotenente, insiemecompirono molte malvagie imprese e sempre con lui,nel 1538, combatté anche contro Andrea Doria. L’im-peratore Carlo V decise di porre fine a quelle scorreriee diede ordine di catturarlo. L’impresa riuscì nel 1540 aGiannettino Doria che lo catturò in Corsica e lo tenneincatenato alla panca di una galea genovese per quattroanni, ed è qui che lo riconobbe Jean Ponsot de LaVallette, un condottiero, Maestro dei Cavalieri dell’Ordinedi Malta, che avrebbe poi fondato la capitale dell’isola

di Malta dandogli il suo nome. Questo signore gliaveva infatti rivolto qualche parola che voleva essere diincoraggiamento, data la sua penosa situazione, maper le quali il pirata si era sentito offeso. In seguitoDragut venne venduto come schiavo ad un mercantedi Genova, membro della famiglia dei Lomellini, doverimase per poco tempo. Ci si chiede come mai non siastato giustiziato, ma forse è stato per paura di rappre-saglie nei confronti dei prigionieri cristiani in mano aibarbareschi.

Nel 1544 il pirata Barbarossa riuscì a riscattarlocon il pagamento di 3000 fiorini e la cessione dell’Isoladi Tabarka, ma in cambio fece però promettere aDragut di non attaccare più le navi cristiane, in baseagli accordi allora vigenti con la Serenissima Repubblicadi Venezia, che si era ad-dirittura rivolta al Sulta-no Solimano II, detto IlMagnifico, per far rispet-tare i patti. Dragut nonera tipo da mantenere lepromesse, e si era invecealleato con un altro cor-saro, Euldj Ali, per costi-tuire una gigantesca flot-ta e combattere ancoracontro i Doria e le navicristiane. Nel frattempoaveva assunto l’appella-tivo di “spada vendicatricedell’Islam”. Alla morte diBarbarossa nel 1546 Dra-gut fu messo al comandodella flotta turca, ma que-sto non gli bastava, con-quistò la Tunisia e con-tinuò a mettere a ferro efuoco tutte le coste Italiane, da Nord a Sud, fino inAdriatico. Inoltre aveva creato anche un piccolo imperoa terra, nel 1556 era stato nominato Governatore ePascià di Tripoli, e aveva posto la sua base a Djerba.Anche questo gli diede la possibilità di depredare erazziare, a terra invece che in mare, dove comunquecontinuò le sua imprese, dando preferibilmente lacaccia alle navi dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, forsein ricordo del suo incontro con Monsieur de La Vallette.Queste navi di solito non venivano attaccate dai piratisaraceni.

Ma anche i feroci pirati non sono immortali eDragut incontrò il suo destino a Malta, dove nel 1565,durante l’assedio al forte di Sant’Elmo che si trova al-l’ingresso del porto, fu trafitto a morte da una grossascheggia di roccia che era stata colpita da una cannonataed era rimbalzata verso di lui come un proiettile, col-pendolo alla fronte. Ironia della sorte, il pirata non eramorto combattendo, con la spada in pugno, sulla toldadella sua nave, ma era stato ucciso da una pietra rim-

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balzata in seguito ad una cannonata sparata da unodei suoi uomini. C’è una giustizia, dopotutto.

E questa fu la fine del feroce pirata Dragut, terroredel Mediterraneo che non tornò mai a cercare il tesoroche aveva nascosto vicino a Punta Chiappa, forse se neera dimenticato, tesori ne aveva raccolti tanti, o forsepensava di avere tutto il tempo del mondo per recupe-rarlo. Intanto, chissà perché, quella piccola insenaturaai piedi del Monte di Portofino, circondata dal mare edai pini, venne chiama dalla gente del posto “Cala del-l’Oro”.

Passarono molti secoli e in una radiosa mattinad’estate poco dopo la fine della seconda guerra mondiale,quando la gente ricominciava a sorridere dopo tantianni di sofferenze e privazioni, due baldi giovani di

Camogli partirono insandolino per fare il ba-gno a Punta Chiappa, maquando arrivarono eranoancora così pieni di ener-gie, che decisero di arri-vare fino alla Cala del-l’Oro. Qui arrivati, feceroun bel bagno nelle acquecristalline, poi salironosu uno scoglio al soleper asciugarsi. Mentre sibeavano di quella splen-dida giornata uno deidue disse: “E se cercassi-mo il tesoro?” È una di-ceria locale, che vieneraccontata a tutti i bam-bini di Camogli, che quel-la caletta prende il suonome dal fatto che nel-l’antichità i pirati aves-

sero l’abitudine di nascondervi i loro tesori, ma diquali pirati e di quali tesori si trattasse nessuno losapeva. I due ragazzi saltarono su immediatamentecome due molle e cominciarono a setacciare il terrenofra le rocce per cercare anche la minima a traccia cheli guidasse a quel fantomatico tesoro, assai pococonvinti di trovare qualcosa, più che altro per gioco.Ad un certo punto, quando stavano quasi per rinunciare,uno dei due notò il vecchio tronco rinsecchito di unodei pini di mare che crescono sul Monte di Portofinoche si era inserito tra due rocce, proprio in fondo allacala, e sopra di esso si intravedeva un’apertura. I dueragazzi si misero all’opera e riuscirono a spostare iltronco, che trascinò con sé la poca terra rimasta, rive-lando l’ingresso di una grotta. Naturalmente gli intrepidiesploratori entrarono e alla fioca luce che penetravaall’interno videro che qualcosa stava appoggiata allepareti, sembravano sacchi. Si avvicinarono, ne toccaronouno che si aprì, rovesciando ai loro piedi una cascatadi monete d’oro. Abituatisi alla fioca luce che penetrava

dall’esterno si fecero coraggio e tastarono anche glialtri sacchi, ormai vetusti, che lasciavano intravedereal loro interno tesori di inestimabile valore.

Gli amici corsero fuori, riuscirono a ricoprire l’in-gresso della grotta usando il vecchio tronco, e deciserodi tornare durante la notte con una barca più grossa econ altri due amici. E così fecero. Calata la calda notteestiva, un po’ nuvolosa, ma illuminata da una falce diluna che ogni tanto faceva capolino, un gozzo a remicon quattro ragazzi a bordo, muniti di torce, di lanternee di una certa quantità di sacchi nuovi, lasciò ilporticciolo di Camogli e di buona lena, remando aturno, i baldi giovani raggiunsero in breve tempo laCala dell’Oro. Improvvisamente, appena prima diarrivare nella piccola baia, l’incerta luce della luna illu-minò un veliero ormeggiato all’ingresso della cala,non era molto grande, i ragazzi intravidero le velelatine e pensarono che somigliava ad uno sciabeccoarabo. I quattro posarono i remi, calarono silenziosa-mente una piccola ancora, poi scesero in acqua senzafar rumore, costeggiando a nuoto la riva, e si nascoserodietro ad uno scoglio per vedere cosa stava succedendo.Aguzzando la vista in quella notte lattiginosa, conquella poca luna, riuscirono a vedere una sagomabianca, una barca, che da terra si dirigeva verso ilveliero. Sulla prua troneggiava una figura d’uomo alto,probabilmente dalla pelle scura perché non si riuscivaa vedere il viso, sembrava che indossasse un riccomantello ed un turbante e dal suo fianco pendevaun’arma ricurva, una scimitarra forse? Sul sedilecentrale una indistinta figura curva era intenta aremare, e sembrava che anche lui indossasse unturbante. Tutto era avvolto da una luce incerta che tra-pelava tra le nuvole, ma ebbero la sensazione che lascialuppa fosse carica, perché l’acqua arrivava quasi albordo e quando raggiunse lo sciabecco alcuni uominisi sporsero dal bordo e sembrò che caricassero qualcosa,poi anche la sagoma bianca della scialuppa sparì abordo. Videro degli uomini intenti ad alzare le vele, el’imbarcazione partì dirigendosi verso il largo, ma fattepoche decine di metri, sembrò dissolversi nell’aria.

I quattro amici erano rimasti in silenzio per tutta ladurata dell’apparizione, ma a quel punto nuotaronoverso il gozzo, salirono a bordo, remarono verso laCala, scesero a terra e corsero verso il punto in cui sitrovava la grotta. Il tronco era stato rimosso, la grottaera aperta e quando i ragazzi entrarono con le lorotorce e le loro lanterne la trovarono vuota. Storditi perquello che credevano di avere visto i quattro risalironosul gozzo in silenzio e tornarono alle loro case, remandosenza dire una parola, ma prima giurarono di non rac-contare mai a nessuno la loro avventura di quellanotte misteriosa.

Ma dentro di loro non potevano non chiedersi senon avevano assistito qualcosa di straordinario, alritorno del feroce e sanguinario pirata Dragut tornatoa recuperare il suo tesoro dimenticato.

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Il percorso, in gran parte adanello, può prendere avvio pedonalmentedalla località Ruta, dove giungono i mezzipubblici o, più avanti, dal posteggio di Por-tofino Vetta, vera e propria porta del Parco.La durata della visita oscilla tra le due e letre ore a seconda del punto di partenza edel passo mantenuto.

Da Ruta a Portofino Vetta il percorso,gradevole e poco impegnativo, si sviluppatra campagna e bosco, termina in una sug-gestiva lecceta, al paletto indicatore 5 (dovearriva il tracciato di collegamento dal po-steggio di Portofino Vetta), offrendo unasuggestiva immagine di questo bosco dileccio, una quercia sempreverde, secoli orsono ampiamente diffusa nel nostro terri-torio.

In breve, alle spalle dell’albergo PortofinoKulm, si raggiunge Gaixella, con la serie dipaletti indicatori dal 9 al 13, da dove si puòintraprendere il sentiero ad anello in sensoorario, in maniera tale da avere una miglioreilluminazione, e percorrere l’acciottolato,

ALBERTO GIRANI

CAMMINATA NEL CUOREDEL PARCO

ITINERARI

breve ed agevole, che attraversa nel boscomesofilo parte del versante settentrionaledel Promontorio in una dolce salita fino aPietre Strette, il cuore pedonale del Parco.

La roccia che ci accompagna è cambiatadal calcare marnoso, al conglomerato, unasorta di calcestruzzo naturale, la cui storiapossiamo leggere nei cartelli che accompa-gnano il percorso, e la cui forza di modellatoredei paesaggi e dei luoghi possiamo apprezzarea Pietre Strette, dove giacciono avvicinatiblocchi di conglomerato in una suggestivaconfigurazione scenica.

Salendo sulla destra (paletti 67 e 65) perlocalità Toca il percorso, panoramico e sug-gestivo, attraversa la parte occidentale del-l’insenatura di San Fruttuoso e l’intera Caladell’Oro, mantenendo la quota media dei450 m, abbandonando presto il bosco cadu-cifoglio, dalle suggestive fioriture primaverili,per inoltrarsi nel mondo mediterraneo, do-minato dalla macchia.

Il paesaggio si apre offrendo panoramichesull’insenatura di San Fruttuoso prima e ol-

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Una lecceta sul Monte.

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u

trepassato il crinale (che scendendo dallaVetta porta alla Torretta di Vigilanza) sullaCala dell’Oro, uno dei patrimoni naturalidel Parco. Nel conglomerato, fratturato ederoso, sono visibili spettacolari selle e torrioni,nel cielo dominano i gabbiani reali e il falcopellegrino, predatore dal volo fulmineo eterrore dei piccoli uccelli della macchia, chesi zittiscono come per incanto al suo pas-saggio.

Più avanti si può apprezzare una splendidapanoramica sul mare, con lo sguardo chespazia dall’Isola del Tino a Capo Mele, einfine si giunge alla località Toca (paletto57) situata sul displuvio che scendendo dallavetta del Promontorio, attraverso il MonteTocco (543 m), delimita ad occidente la Caladell’Oro.

L’ultimo tratto del percorso che ricon-giunge a Gaixella, già narrato nel numeroprecedente della rivista, è agevole, attraversale pendici occidentali del Monte di Portofinoe consente di svalicare in località Paradiso,al paletto 55, agli inizi del secolo scorsonota dependance del Portofino Kulm, doveveniva servito il te in un balcone panoramico,la cui vista è oggi parzialmente impedita dalbosco, ma fruibile, da un punto leggermentepiù basso e appositamente attrezzato, la

Sopra, escursionisti sul belvedere che sovrasta San Fruttuoso.Sotto, in bianco, l’itinerario illustrato in queste pagine.

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AER

OPO

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parti da vicino... per andare lontano

Gli orari sono soggette a variazioni. Consigliamo di verificare gli orari sui siti delle compagnie aeree.PARTENZE ORARIO VOLI DI LINEA

IN VIGORE FINO AL 26 OTTOBRE

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Rocca del Falco nei pressi della ripida spallierache termina a Camogli con l’altura del Ca-stellaro, lo sguardo intento a percorrere lecreste del confine alpino.

Dallo stupendo belvedere, recentementerimesso in sicurezza dal Parco, si può com-prendere quanto sia movimentata la morfo-logia del Promontorio di Portofino nel quale,a versanti dolcemente degradanti, si alternanoripidi balzi rocciosi.

Nel bosco mesofilo si scende, lo sguardopuntato all’albergo di Portofino Vetta, attra-versando la parte alta del bacino del rioGentile, l’unico corso d’acqua discretamentesviluppato del Promontorio.

In breve si raggiunge il crocevia di SellaGaixella (nota anche come Sella Donzinadal piccolo abitato sottostante), qui si chiudel’anello e si può ritornare percorrendo insenso inverso la strada fatta, verso il puntodi partenza.

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Esemplare di Polystichumsetiferum.

Sopra, a sinistra, areaattrezzata sull’itinerario;a destra, il bivio in localitàPietre Strette.

uIL PERCORSOSegnavia: quadrato rosso fino a Pietre Strette, triangolo rosso pienop fino a Toca, due triangoli rossi vuoti rrsino a Sequoie(470 m s.l.m.), da lì linea e punto rossi –• sino a Gaixella.Ruta (256 m s.l.m.); Portofino Vetta (420 m s.l.m.); Gaixella (420 m s.l.m.)Lunghezza: 1,8 KmDislivello: + 174 – 10Tempo di percorrenza: 40’

Gaixella (412 m s.l.m.); Pietre Strette (464 m s.l.m.); Toca (453 m s.l.m.); Paradiso (522 m s.l.m.); Gaixella.Lunghezza: 4,5 KmDislivello: + 180 – 180 Tempo di percorrenza: 100’’

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