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La critica di Max Stirner, al pari di quella giuspositivistica, mirando alla dissoluzione di ogni valore assoluto, riconduce la costruzione dell'esperienza umana a un atto di volontà dell'individuo, il quale, irriducibile a ogni metafisica tradizionale e a ogni tipo di autorità ereditaria, crea e ricrea la propria esistenza e il mondo in maniera autonoma e incondizionata. In questo senso, la matrice non-cognitivistica comune sia al pensiero stirneriano che a quello giuspositivistico - oltre a denunciare il fondamento tipicamente universalistico e oggettivistico del giusnaturalismo, sempre volto ad annullare il punto di vista del soggetto e a determinare aprioristicamente quali valori e quali regole di vita egli è tenuto a seguire - fornisce l'occasione per una sorprendente quanto affascinante svolta vitalistica e materialistica, "all'insegna di una ontologia costruttivista, la quale, propugnando una concezione affermativa dell'essere, mira alla distruzione dei valori esistenti e alla continua creazione autonoma di nuovi valori".
Citation preview
CARLO DI MASCIO
STIRNER GIUSPOSITIVISTA
Rileggendo l’Unico e la sua proprietà
Edizioni Del Faro
Carlo Di Mascio, Stirner Giuspositivista
Copyright© 2015 Edizioni del Faro
Gruppo Editoriale Tangram Srl
Via Verdi, 9/A – 38122 Trento
www.edizionidelfaro.it – info@edizionidelfaro.it
Prima edizione: gennaio 2011 - UNI Service
Seconda edizione: febbraio 2015 - Printed in EU
ISBN 978-88-6537-378-1
A Giorgia
SOMMARIO
NOTA BIOGRAFICA 11
NOTA DELL’AUTORE 13
INTRODUZIONE 15
Parte prima
Ateismo stirneriano versus ateismo feuerbachiano 31
Parte seconda
Per un ateismo assoluto 59
Parte terza
Diritto e Stato 85
Parte quarta
Società e Associazione 125
Parte quinta
Stirner creatore e creatura 153
Parte sesta
Stirner giuspositivista 181
Appendice
Per Stirner, con Stirner, in Stirner 237
NOTA BIOGRAFICA
Max Stirner (da Stirn che in tedesco significa fronte e
Maxima, per cui “fronte smisurata” caratteristica del
viso di Stirner) è lo pseudonimo di Johann Kaspar
Schmidt. Nasce il 25 ottobre del 1806 a Bayreuth, in
Germania. Orfano del padre a sei anni, vive con la
madre, che mostra da sempre segni di grave squilibrio
mentale. Studia filologia e filosofia a Berlino, ove as-
siste alle lezioni di Hegel e Schleiermacher. Dopo
aver trascorso un anno a Kulm, e un altro a Konig-
sberg, torna a Berlino nel 1833 per seguire i corsi di
Boeckh, di Lochmann e di Michelet. Nel 1834 chiede
la cattedra per lingue antiche, filosofia e religione, ma
gli viene negata perché mostra “uno spirito logico
che, forzando i dati storici, filosofici e filologici, cerca
di sottomettere tutto al proprio giudizio”. Non verrà
mai accettato neppure in seguito come insegnante e
ripiegherà su vari lavori (tra i quali quello di lattaio).
Dopo due matrimoni infelici, nel novembre del 1844
pubblica “L’Unico e la sua proprietà”: il libro viene
dapprima sequestrato, poi nuovamente legalizzato, in
quanto “le tesi erano troppo assurde per essere prese
sul serio e risultare pericolose”. Collaborerà negli an-
ni successivi con alcuni giornali, spesso per risponde-
re alle accuse rivolte alla sua opera. Il 26 giugno
1856, dopo alcuni anni di galera per debiti, muore a
Berlino in completa solitudine, forse per una puntura
di un insetto velenoso.
Supponiamo [...] che una persona qualsiasi (non impor-
ta chi) abbia dato esecuzione al suo giudizio (perché si
tratta di un giudizio e del suo giudizio). Bisognerà dire al-
lora che si è alla presenza di un autentico fenomeno giuri-
dico. Bisognerà dire che la sua volontà fa legge, che essa è
la sola ed unica fonte del diritto in questione e che questo
diritto è davvero diritto e non violenza. Si può negare que-
sta affermazione solo contrapponendo [...] un giudizio
fondato sull’idea di una giustizia valida per sempre e uni-
versalmente, fondata cioè sul «diritto naturale». Ma questo
«diritto» ancora non esiste.
A.Kojève, Linee di una fenomenologia del diritto
NOTA DELL’AUTORE
Questo libro è stato già pubblicato nel 2011 con
l’Editrice Uni Service di Trento. Viene ora ripubblica-
to mantenendo intatto il precedente impianto, salvo
alcune piccole ulteriori modifiche ed aggiunte appor-
tate, anche bibliografiche. Vi compare pure una breve
appendice che solo apparentemente sembra fuoriusci-
re dal tema su cui si è inteso incardinare questo lavo-
ro, e nella quale si tenta di fissare, in maniera alquan-
to sommaria ed approssimativa, una sorta di relazione
tra Stirner e Marx nell’ambito di quel materialismo
che vede il primo non semplicemente ridurre la realtà
ad un nulla, al solo fine di affermare il proprio io
creatore, ma, al pari del secondo, ritenere che ciò che
continua a caratterizzare gli individui è la continua
sperimentazione e produzione di se stessi e del mon-
do, attraverso una «attività positiva, creativa». Nella
comune visione distruttiva di ogni astrazione concet-
tuale, «la rottura con il sacro o, piuttosto, la dissolu-
zione di ciò che è sacro – come dice Stirner – può di-
ventare generale». Trattasi in ogni caso di un tentati-
vo per taluni versi decisamente estemporaneo, ma che
conferma la sostanziale ambiguità dell’opera stirne-
riana, strutturalmente preposta a tragitti intellettuali
altrettanto ambigui e, comunque, non agevolmente as-
similabili in letture univoche. Ma, a ben vedere, ove
così non fosse significherebbe fare un torto proprio a
Stirner quando implacabilmente afferma «io sono
l’inesprimibile».
INTRODUZIONE
Questo studio ha la pretesa di affrontare un problema
per molti versi paradossale se riferito agli esiti che mi-
ra a conseguire: stabilire se nel pensiero di Max Stir-
ner possano rinvenirsi componenti giuspositivistiche.
Il tema in questione richiede un tentativo di di-
scussione attorno alle «strutture fondamentali» di
questo pensiero in relazione alle «strutture fondamen-
tali» non solo della dottrina giuspositivista, ma anche
di quella estremamente variegata della tradizione giu-
snaturalista, senza il cui approfondimento non sarebbe
possibile concepire alcun tipo di confronto.
Naturalmente per chi ha un po’ di confidenza con
l’opera di Stirner, affermare che il suo pensiero possa
in una qualche maniera rientrare nel paradigma
giuspositivistico, ovvero in qualsiasi paradigma con-
notato da strutture di pensiero più o meno consolidate
concettualmente - potrebbe risultare a dir poco imba-
razzante, laddove si tenga conto della radicale ano-
malia di questo pensiero, il quale per definizione ten-
de a sottrarsi ad ogni “ismo”, vale a dire ad ogni ten-
tativo di classificazione all’interno di schemi e para-
digmi ideologici precostituiti, perfino dell’anarchismo
di cui viene comunemente considerato il teorico per
eccellenza.
D’altronde il pensiero stirneriano segue il curioso de-
stino di ogni pensiero inattuale, quello cioè di non po-
ter essere agevolmente inquadrato in relazione ai tem-
pi e di poter, al contrario, essere pacificamente equi-
vocato fino a venir assimilato a correnti teoriche o a
movimenti pratici con cui esso non ha nulla da condi-
videre, sicché indicare Stirner come precursore del
più assoluto individualismo che la storia del pensiero
umano ricordi, come acerrimo nemico di ogni sociali-
tà, come negatore di ogni diritto, potrebbe rivelarsi
non del tutto aderente con le intime ragioni che muo-
vono in concreto le sue argomentazioni.
Ma che connessione può mai ravvisarsi tra un pensie-
ro apparentemente demolitore di ogni aspetto
dell’esistenza individuale e collettiva ed il giuspositi-
vismo? Ma soprattutto, che cosa effettivamente de-
termina la ferocia distruttiva del suo pensiero e verso
quali prospettive essa realmente si dirige?
L’obiettivo di Stirner è essenzialmente quello di deli-
neare attraverso la filosofia che - come egli osserverà
nei cosiddetti Scritti Minori, in risposta ai critici de
“L’Unico e la sua proprietà” – “distrugge ogni oggetto
e ogni oggettività, e respira la libertà” – un concetto
assoluto e radicale di autonomia dell’uomo.
In questa precisa dimensione Stirner è completamente
ossessionato dalla necessità di aggredire ogni preordi-
nato progetto di dominio, dal desiderio irrefrenabile di
liberare, fino alle estreme conseguenze, l’esperienza
umana dal controllo della cultura quale prodotta da
una millenaria organizzazione sociale metafisico-
teologico-religiosa che ha stabilito cosa ogni indivi-
duo è, deve essere e deve fare, dalla nascita sino alla
sua morte.1
L’analisi testuale dell’opera stirneriana consente difat-
ti di scoprire in ogni suo punto una incalzante critica
volta senza tregua ad una concezione dell’individuo al
di fuori del quale non esiste nulla che possa essergli
imposto, se non ciò che costituisce il risultato della
propria consapevole ed autonoma decisione.
Ora per Stirner questa radicale autonomia può darsi
solo sviluppando una imponente operazione di totale
dissolvimento della metafisica classica, il che avviene
muovendosi proprio nell’ambito della demolizione di
quella gigantesca linea filosofica che da Platone giun-
ge ad Hegel,2 attraverso l’elaborazione di un ateismo
dirompente che, a sua volta, - superando quello di
Feuerbach e rigettando la dimensione dogmatica o
1 Che cosa un individuo è, deve essere e deve fare dalla nascita
alla sua morte – è alla base di ogni filosofia idealista. Louis Al-
thusser ha posto un semplice esempio per descrivere chi è real-
mente un filosofo idealista, il quale, conoscendo solo concetti
determinati, logici, conformi all’idea, pretende di precostituire
l’esistenza di ogni individuo. Egli scrive “Il filosofo idealista è
un uomo che, quando prende il treno, conosce fin dall’inizio la
stazione di partenza e quella di arrivo, l’origine e la fine del tra-
gitto, così come conosce l’origine e il destino dell’uomo, della
storia e del mondo”, in L. Althusser, Sur la philosophie, Paris
1994, p. 64. 2 Molto significativamente ha affermato Gilles Deleuze che “la
storia della filosofia è sempre stata l’agente del potere nella fi-
losofia, e anche nel pensiero. Essa ha giocato un ruolo repressi-
vo”, in G. Deleuze - C. Parnet, Conversazioni, Milano 1980, p.
18.
santa che viene a possedere l’idea, estranea all’uomo
in quanto non prodotto della sua azione volontaria, ma
prodotto di qualcosa (di arbitrariamente precostituito,
di santo, di dogmatico) su cui egli non ha alcun potere
– gli consente di individuare nell’Umanesimo la me-
tamorfosi realizzata e compiuta della religione in ogni
sua forma.
Stirner in buona sostanza si accorge che la metafisica
classica, con la sua pretesa di descrivere il mondo, ha
completamente imprigionato l’individuo, mediante
una raffinata operazione di totale svalutazione della
realtà sensibile, materiale, per realizzare un aldilà
quale nuova realtà, decisamente impalpabile e co-
munque priva di ogni concretezza, a cui tuttavia con-
segnare sia la realizzazione della propria vita (che pe-
rò, fino a prova contraria, dovrebbe realizzarsi in un
aldiqua, cioè in terra) che la conclusione delle proprie
disgrazie terrene.3
Stirner si accorge pure che l’individuo è millenaria-
mente intrappolato in una società completamente
ideologizzata, nella quale ogni aspetto dell’esistenza è
dominato da “idee fisse” dotate del concetto di sacro,
3 E difatti, ancora con Deleuze: “l’Uno-Bene di Platone, il Dio
non ingannatore del cogito cartesiano, il principio del migliore
in Leibniz, l’imperativo categorico di Kant, l’Io di Fichte, la
“Scienza” di Hegel (…) la filosofia ha definito il movimento del
pensiero come un certo passaggio dall’ipotetico all’apodittico
(…) ipotetismo e moralismo congiunti, ipotetismo scientista e
moralismo razionalista, rendono irriconoscibile ciò a cui si ap-
prossimano”, in G. Deleuze, Differenza e ripetizione, Milano
1997, pp. 254-255.
quali il Diritto, lo Stato, la Morale, la Patria, la Na-
zione, la Famiglia, ecc., che altro non sono che astra-
zioni imposte all’individuo.
In particolare Stirner individua la peculiare funzione
dell’ideologia giuridica, che è quella di rendere il di-
ritto naturale. E difatti, laddove il diritto afferma che
tutti gli uomini sono uguali, liberi e indipendenti,
l’ideologia interviene assicurando che essi lo sono
“per natura”, ma poi, abilmente, non provvedendo ad
obbligare “per natura”, in quanto tale funzione viene
assolta dall’ideologia morale della coscienza del giu-
sto e del dovere. Più precisamente, Stirner avverte lo
sciagurato passaggio del diritto soggettivo dal piano
dell’immanenza a quello della trascendenza, nel senso
che contro un individuo - la cui razionalità si va fa-
cendo sempre più immanente, che scopre di potersi
appropriare finalmente del mondo senza alcun tipo di
mediazione, di possedere quindi una nuova coscienza
e, soprattutto, nuove ed inimmaginabili potenzialità –
il potere si organizza ricorrendo alla trascendenza as-
soluta del principio di autorità che, grazie alla dialetti-
ca intesa “come nucleo logico del dominio,
dell’esclusione e del comando”4, trasforma gli indivi-
dui in una totalità depotenziata ed assuefatta ad un or-
dine teologico-religioso completamente rigido ed im-
penetrabile.
Ora in questa colossale trappola sembra cadere anche
Feuerbach, il quale con il suo “pio ateismo”, come lo
definisce Stirner - pensando, erroneamente, di aver
4 A. Negri-M. Hardt, Impero, Milano, 2001, p. 139.
“superato” Hegel, ha semplicemente sostituito Dio
come soggetto (Dio è Dio) con un uomo (l’uomo è
Dio), a tal punto da far assumere all’uomo una nuova,
pericolosa, dimensione divina, che lo ha fatto passare
dal dominio della legge di Dio al dominio della legge
della morale, così contribuendo significativamente,
senza forse rendersene pienamente conto, a quella
operazione di nuovo e più raffinato imprigionamento
che continua a contrapporre l’idea (di Dio o del divi-
no) alla vita concreta.
E difatti Stirner constata che questa nuova condizione
(Uomo=Dio=Umanità che sono tutto tranne che
l’uomo in carne ed ossa) è alla base di
quell’Umanesimo che altro non è che una nuova reli-
gione, molto più sofisticata, che affermando di voler
liberare gli individui da ogni tipo di oppressione isti-
tuita, in realtà ha prodotto un loro maggiore assogget-
tamento, impedendo in maniera strutturale qualsiasi
forma di concreto e consapevole antagonismo.5
Nel quadro dell’Umanesimo egli scorge che
l’individuo possiede solamente una pseudo-sovranità:
esso mira a realizzare una coscienza sovrana, ma ciò
sempre e solo nell’ambito di una verità predefinita
(ideologia); mira a favorire l’individualità, rendendolo
5 Con ciò anticipando, con sorprendente lungimiranza, la que-
stione post-strutturalista della messa in discussione della stessa
nozione di un soggetto umano e razionale, che ben si compen-
dia nell’affermazione di Michel Foucault, secondo cui “l’uomo
di cui ci parlano e che siamo invitati a liberare è già in se stesso
l’effetto di un assoggettamento ben più profondo di lui”, in M.
Foucault, Sorvegliare e punire, Torino, ed. del 2010, p. 33.
titolare di diritti personali, ma sempre nell’ambito del-
le leggi (ideologiche) della natura e della società; mira
a far conseguire le libertà di base, ma sempre nei limi-
ti di quanto intende concedere il potente di turno (non
prima, tuttavia, di aver individuato l’ideologia più
conveniente a permettergli di conservare il potere il
più a lungo possibile).6
Del resto questa pseudo-sovranità di cui gode ogni in-
dividuo costituisce il punto nevralgico di quella misti-
ficazione borghese che ha privilegiato l’essenza
6 Si veda sul punto l’interessante analisi sviluppata da Saul
Newman, Stirner e Foucault: verso una libertà post-kantiana, in
Libertaria, Milano, n.4/2004. Non pare fuori luogo sostenere
che l’antiumanesimo di Stirner anticipi per molti versi
quell’antiumanesimo che costituirà il cardine del pensiero non
solo di Foucault, ma anche di Althusser, e, se si vuole, di De-
leuze. Seppure da un’altra prospettiva di ricerca, vale la pena ri-
portare questo passo decisamente paradigmatico di Antonio
Negri e Michael Hardt, che ben individua quella che è la strate-
gia permanente di normalizzazione operata dalla metafisica
classica, e che per primo Stirner denuncerà in maniera perento-
ria: “C’è una stretta continuità tra il pensiero religioso che con-
cede a Dio il potere sulla natura e il moderno pensiero “secola-
re” che concede il medesimo potere all’uomo. La trascendenza
di Dio viene semplicemente trasferita all’uomo. Come Dio pri-
ma di lui, anche quest’uomo che se ne sta separato, al di sopra
della natura, non trova posto in una filosofia dell’immanenza.
Come Dio, anche questa rappresentazione trascendente
dell’uomo implica direttamente l’imposizione delle gerarchie
sociali e il dominio. Così concepito, l’antiumanesimo, che è il
rifiuto di qualsiasi trascendenza, in nessun modo deve essere
confuso con una negazione della vis viva, la vivente forza crea-
tiva che anima la corrente rivoluzionaria della modernità”, in A.
Negri-M. Hardt, Impero, op. cit., p. 98.
all’esistenza, raggiungendo il suo massimo perfezio-
namento giuridico con la triade Hobbes-Rousseau-
Hegel, il cui fondamento è in ciascuno eminentemente
teologico-religioso. E difatti, se con Hobbes
l’individuo viene brutalmente consegnato all’autorità
del sovrano (derivato da Dio), mentre con Rousseau
l’autorità si camuffa nella sovranità rielaborata “de-
mocraticamente” attraverso l’abile paradosso della
volontà generale, per definizione astratta e, dunque,
sempre manipolabile - è Hegel che, riformulando dia-
letticamente l’alienazione individuale, riconsegna
all’individuo, in una nuova veste, l’illusione (teologi-
ca) della sua libertà, nonché di una sua autonomia
sempre relativa in quanto ricompresa in uno schema
preconcetto (lo Stato che è la realtà dell’idea etica).
Ed allora, il rimedio che Stirner, il “figlio degenere di
Hegel”7, sembra indicare contro tutto questo perverso
teatrino messo in scena da millenni, che porta assur-
damente gli individui a costruirsi la gabbia dentro alla
quale loro stessi si imprigionano e che, soprattutto,
rende automaticamente disumano tutto ciò che non in-
tende rispettare questo preordinato organigramma esi-
stenziale - è che unica cosa da fare - in nome della
materia, unica certezza dell’uomo - è quella di sbaraz-
zarsi sia di Dio8 che del divino, far sì che la mente
7 Secondo Jacques Derrida Stirner è per Marx “il fratello catti-
vo” perché è il “figlio degenere di Hegel”, in J. Derrida, Spettri
di Marx, Milano, 1994, p. 155. 8 L’ateismo stirneriano, inteso come prepotente rivendicazione
dell’agire umano sulla materia, riecheggia profondamente anche
nella lettura leninista di Hegel: “Kant abbassa il sapere, per far
umana consideri inconcepibile ogni nozione che possa
rinviare ad un essere superiore, e ciò può aversi solo
appartenendo a se stessi, rifiutando ostinatamente
ogni prospettiva che possa allontanare l’uomo da se
stesso, perché soltanto così sarà possibile avere un in-
dividuo davvero libero e autonomo, finalmente co-
struttore della propria esistenza, non più subordinato
ai cosiddetti ideali di volta in volta ravvisati in Dio,
nel Diritto, nello Stato, nella Morale, nella Società.
In Stirner, dunque, la liberazione dell’individuo può
darsi solo facendo precedere l’esistenza all’essenza,
vale a dire affidando la propria esistenza, non più,
come si è detto, ad un orizzonte metafisico per il qua-
le esistono un senso e un significato che precedono il
mondo e lo fondano, come se “dietro il mondo” vi
fosse un senso originario - bensì al suo essere concre-
to,9 che non segue leggi razionali, vale a dire quelle,
per intenderci, che sono state impartite dalla metafisi-
ca classica che ha stabilito cosa è razionale e cosa non
lo è; che ha come sola caratteristica quella di esistere
oggettivamente e in tutta la sua immanenza, ma che
posto alla fede: Hegel innalza il sapere, assicurando che la co-
noscenza è conoscenza di Dio. Il materialista innalza la cono-
scenza della materia, della natura, e getta Dio insieme a tutta la
canaglia filosofica che lo difende nel letamaio”, in V. I. Lenin,
Quaderni filosofici, trad. it. a cura di Lucio Colletti, Milano,
1970, p. 162. 9 Come afferma Giuseppe Rensi: “la causa dell’ateismo ha la
sua base invincibile nel concetto più elementare: quello di Es-
sere”, in G. Rensi, Apologia dell’ateismo, Ragusa, 1967, p. 23.
va tuttavia recuperato in quanto completamente smar-
rito nelle pastoie della stessa metafisica classica.
E questo recupero per Stirner può aversi solo fondan-
do l’essere su nulla di trascendente, vale a dire
sull’assenza di ogni principio, di ogni centro,10
che si
risolve in una libertà senza limiti,11
e in cui
l’individuo, come ente irripetibile, Unico, appunto,
dal nulla dal quale è nato determina le sue creazioni
senza essere vincolato a norme o valori preesistenti.12
Giorgio Penzo, uno dei massimi studiosi italiani ed
europei di Stirner, scomparso nel 2006, è stato forse
uno dei pochi ad averlo disinquinato dalle solite e
spesso aberranti interpretazioni, in gran parte di carat-
tere politico, ponendo invece l’accento proprio sulla
matrice squisitamente esistenziale del suo pensiero,
sezionando e differenziando il piano cosiddetto
dell’autenticità appartenente al Singolo dal concetto
vago e generico di Uomo, che, come si è detto, resta
per Stirner solo un fantasma, ovvero un quid del tutto
impalpabile, privo di quella necessaria consistenza a
determinare il reale.
10
Rileva Louis Althusser con riferimento ad Hegel: “la coscien-
za ha un solo centro, che, solo, la determina”, in L. Althusser,
Per Marx, a cura di M. Turchetto, Milano-Udine, 2008, p. 93. 11
E difatti, “imporre un limite” al dissimile, allo smisurato: “ta-
le è lo scopo del platonismo”, in G. Deleuze, Logica del senso,
Milano, 2006, p. 227. 12
Nella prospettazione di un materialismo, per dirla ancora con
Althusser, che “rifiuta il Tutto e l’ordine a vantaggio della di-
spersione e del disordine”, in L. Althusser, Ecrits philosophi-
ques et politiques (éd. par F. Matheron), Paris, 1997, p. 561.
Penzo distingue l’autentico in quanto proprio,
dall’inautentico in quanto altro dal singolo, sicché il
diritto, lo Stato, in quanto posti non dal singolo ma da
altro dal singolo, rappresentano una dimensione inau-
tentica, per cui, come dice Stirner, tutto ciò che è “so-
pra di me”, non mi appartiene; tutto ciò che è invece
“sotto di me” è mia proprietà, in quanto mia autono-
ma creazione.
In questa ottica dunque, come osserva il Penzo, è nel
nulla che si ha l’autonomia, e parlare di autonomia si-
gnifica parlare dello stesso momento creativo, cioè,
come ancora afferma Stirner, di quel “ricrearsi ogni
giorno da capo come persona libera”.13
Si può senz’altro dire che l’antiplatohegelismo onto-
logico di Stirner faccia il paio con il suo anticristiane-
simo teologico, derivandone una concezione materia-
listica dell’uomo, come attività, come ri-
appropriazione14
di ciò che è stato indebitamente sot-
13
Secondo il Penzo, in un commento alla lettura di Stirner ad
opera di Martin Buber, “Stirner non si chiude in un vuoto oriz-
zonte dell’io creativo, mettendo tra parentesi ogni rapporto con
il mondo, ma intende superare solo ciò che è estraneo allo svi-
luppo intimo dell’io (…) In fondo, il momento positivo di un fi-
losofare apparentemente distruttivo come quello di Stirner con-
siste nel superare tutto ciò che è convenzionale e quindi falso”,
in G. Penzo, Invito al pensiero di Max Stirner, Milano, 1996, p.
129. 14
Per Karl Lowith è in ciò che va correttamente inteso il con-
cetto di “egoista” in Stirner, il quale “non è un «individuo» con
un contenuto determinato, e neppure un principio assoluto”, ma
piuttosto esso “indica formalmente la possibilità
dell’appropriazione, la più particolare possibile, di sé stesso e
tratto all’individuo, padrone di niente, neppure del suo
pensiero, ma semplice destinatario di creazioni altrui,
date, concesse, come il diritto e lo Stato, forme seco-
larizzate della metamorfosi religiosa.
Ed allora trasponendo tutto questo alla tematica
giuridica, se, come dice Stirner, “io non riconosco al-
tra fonte del diritto che me stesso”, se, dunque, chi
pone il diritto non sono io ma è qualcuno o qualcosa
“sopra di me”, deve conseguirne che egli non intende
affatto negarlo, così come non intende affatto negare
nuove forme di relazione sociale che egli individua
nell’associazione, ma solo crearle autonomamente, ri-
condurle alla “superficie”,15
alla loro determinazione
particolare dopo un estenuante quanto “disumano”16
processo di loro dissacrazione, quindi ad un “sotto di
me”, ad una propria consapevole attività.
del mondo”, K. Lowith, Da Hegel a Nietzsche, Torino, 1949, p.
561. 15
E difatti “Ciò che si sottraeva all’Idea è risalito alla superfi-
cie”, G. Deleuze, Logica del senso, cit., p. 15. Si veda sul punto
la parte quinta del presente lavoro. 16
“Disumano” perché - come sembra essere costretto a dover
suggerire Stirner, parafrasando una riflessione di Alexander
Nehamas - se tutto ciò che è ritenuto umano è solo un inebriante
prodotto ideologico, espressione di un ordine e di un dominio
imperforabili, “la sola via per adottare un modo di accostarsi al
mondo che sia diverso da quello umano è smettere di essere
umani”, in A. Nehamas, Immanent and Trascendent Perspecti-
vism in Nietzsche, in “Nietzsche Studien”, XII, 1983, p. 477.
Stirner in realtà, come ha sostenuto il Penzo, “non
intende affatto abolire né la legge, né la società”,17
bensì porre il soggetto umano come creatore e fonte di
ogni diritto. Di qui l'elaborazione di un vero e proprio
manifesto di irriducibile autonomia, per cui è solo
l'uomo che deve darsi le sue regole, la sua società e il
suo diritto, e che non osserva nessuna regola che non
sia da esso consapevolmente riconosciuta e prodotta.
Per Stirner dunque non vi sono altri valori che quelli
che l'individuo stesso si dà. Egli è strutturalmente
noncognitivista. Tutto ciò risulta essere in netta con-
traddizione con la dottrina giusnaturalista, la quale è
costantemente protesa, seppure attraverso molteplici
forme, verso la ricerca di un “fondamento universale”
da assegnare alla concreta esperienza umana. Il giu-
snaturalismo in effetti si espone alla stessa difficoltà
cui va incontro ogni tentativo di fondazione teologica
dell’ordine sociale, così come ogni ricorso a idee tra-
scendentali, sottratte al condizionamento dell’attività
dell’uomo, asserendo l’oggettività dei valori, e dun-
que la loro conoscibilità, che la morale è già data e
non creata, scoperta e non inventata. Il giusnaturali-
smo, dunque, richiamandosi ad un ordine intangibile
ed eterno di precetti, sia esso da ricollegarsi alla Divi-
17
“Stirner non è un anarchico, nel senso comune del termine,
poiché non intende affatto abolire né la legge, né la società”, in
G. Penzo, Max Stirner. La rivolta esistenziale, Torino 1971, p.
31. Anche per Pietro Ciaravolo, Stirner “non nega la società, né
lo Stato”, in P. Ciaravolo, Max Stirner. Per una teoresi dell'uni-
co, Roma 1982, p.125.
nità o alla ragione o alla natura umana, è in questa
prospettiva intimamente cognitivista, nel senso che
tende a negare per definizione l'autonomia dell'uomo,
il suo punto di vista, il fatto che egli è padrone di sé e
della sua vita relazionale. Stirner viceversa, come teo-
rico per eccellenza dell'autonomia morale e giuridica
del soggetto umano, può invece considerarsi giusposi-
tivista.
E difatti il giuspositivismo non prospetta esclusiva-
mente una dottrina secondo la quale unica fonte del
diritto è lo Stato, ma tende ancor prima a concepire il
diritto come essenzialmente riconducibile all’attività
degli uomini, esaltando, attraverso la sua matrice for-
temente relativistica e soggettivistica, la centralità e la
dignità dell’individuo, disintegrando una volta per tut-
te la relazione tra diritto, finalmente liberato da ogni
tradizione e ribelle ad ogni autorità ereditaria, e verità,
nel senso che la volontà dell’uomo non costituisce più
l’espressione e lo strumento di una verità superiore o,
comunque, trascendente la dimensione positiva, intesa
come prodotta dall’uomo.18
A conoscere l’astatualità, ma soprattutto l’umanità del
diritto è difatti proprio la tradizione giuspositivistica,
sicché il pensiero stirneriano può ben inscriversi in ta-
le contesto, ove, tra l’altro, è implicita quella metaeti-
ca non cognitivistica, secondo la quale i valori non si
18
In questo senso, come ha rilevato molto lucidamente Natalino
Irti, la critica giuspositivistica dissolve “l’incondizionata assolu-
tezza dei valori” e demolisce ogni criterio di controllo autorita-
rio del diritto positivo, in N. Irti, Nichilismo giuridico, Roma–
Bari 2004, p. 20.
conoscono aprioristicamente, ma si producono, si
creano autonomamente.19
Ennesima rilettura e lavoro di oltre vent’anni fa que-
sto su Max Stirner, con alcune delle sue parti rivisitate
e corrette di recente, soprattutto con insistenti spunti
bibliografici. Non è stato ritoccato quasi nulla, anche
perché nella loro relativa ingenuità, dovuta in gran
parte alla presunzione di avvicinarsi ad un pensiero
assolutamente indicibile - esse appaiono, nonostante
tutto, costruttive, creative ed estremamente gioiose.
Forse come il sorriso di Stirner che, consapevole del
fatto che sarebbe stato per sempre relegato ai margini
della storia del pensiero, ci invita con disarmante at-
tualità a non temere di farsi detonare dalla vitalità del-
la vita, e a smascherare di continuo chi intende pro-
grammare l’individuo, il quale, sempre accuratamente
addestrato, autoproduce bellamente quella repressione
così urgente quanto progressivamente reclamata a fini
di normalizzazione sociale.
Eppure, chi vuole inoltrarsi in tutto il pensiero succes-
sivo ad Hegel sino al postmoderno, deve continuare a
fare i conti con lui, ed è certo che “L’Unico e la sua
19
Sul rapporto giuspositivismo (non cognitivismo) – giusnatu-
ralismo (cognitivismo), in relazione al concetto di autonomia
morale e giuridica nel pensiero anarchico, si veda l’ottima rico-
struzione avanzata da Massimo La Torre nel saggio Anarchismo
e Giusnaturalismo, in AA.VV., Il diritto e il rovescio, in Volon-
tà, Milano n. 4/1990; Id., Stirner tra anarchismo e non cogniti-
vismo, in AA.VV. Max Stirner e l’individualismo moderno: atti
del Convegno (10-12.11.1994)“Max Stirner e l’individualismo
moderno”, a cura di E. Ferri, Napoli 1996.
proprietà”, lungi dall’essere una lettura solo per “gli
autodidatti e i farneticanti”20
, è rivolto indistintamente
a tutti perché chiunque può leggerlo,21
sicché esso,
come ha rilevato qualcuno, rientrerà sempre tra quei
pochissimi libri che “letti a vent’anni possono cam-
biare un destino, o restare dentro di noi come un tarlo
invisibile e corrosivo”.
20
I lettori più fedeli di Stirner sarebbero, secondo Roberto Ca-
lasso, “gli autodidatti e i farneticanti”, in R. Calasso, I quaran-
tanove gradini, Milano 1991, p. 371. 21
Riprendendo un giudizio di Deleuze su Spinoza che ben po-
trebbe riguardare Stirner: «Il filosofo più puro è al tempo stesso
quello che s’indirizza rigorosamente a tutti: chiunque può leg-
gere l’Etica, se si lascia trasportare a sufficienza da quel vento,
quel fuoco», in G. Deleuze, Pourparler, op. cit., p. 191.
Appendice
PER STIRNER, CON STIRNER, IN STIRNER
Il difetto principale di ogni materialismo fino ad oggi (compre-
so quello di Feuerbach) è che l'oggetto [Gegenstand], la realtà,
la sensibilità, vengono concepiti solo sotto la forma dell'obietto
[Objekt] o dell'intuizione; ma non come attività sensibile uma-
na, prassi; non soggettivamente […] [Feuerbach] non compren-
de, perciò, il significato dell'attività «rivoluzionaria», «pratico-
critica». […] Nella prassi l'uomo deve provare la verità, cioè la
realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero.
K. Marx, I e II Tesi su Feuerbach
Stirner ha mostrato che quando si parla di diritto, di
Stato, di diritti in generale, bisogna sempre avere a
che fare con la religione. E’ noto che nell’analisi stir-
neriana la religione tende ad affermarsi quando un
oggetto, un idea, come appunto possono essere il di-
ritto o lo Stato, tende a sottrarsi al dominio di chi lo
ha creato, al punto tale che, elevandosi, o meglio,
sfuggendo al suo creatore, acquista una potente sacra-
lità sino a sottomettere colui che quell’oggetto ha
provveduto a creare.22
Questo risultato ha per effetto
22
E’ questo in sintesi il meccanismo fondamentale posto a so-
stegno del discorso religioso: “L’oggetto, cioè la dimensione
ideale, sfugge al soggetto che è in fondo la sua unica fonte: la
creatura sfugge al creatore”, in G. Penzo, Max Stirner: la rivolta
di far sì che - sia nella religione cristiana che in quella
umana (o laica) elaborata in particolare da Feuerbach,
e dunque in qualsiasi tipo di religione - il singolo in-
dividuo, nella sua concretezza più autentica e genuina,
non riesca mai ad appropriarsi delle sue creazioni, e,
conseguentemente, neppure di se stesso: “perché non
posso dire: dio non è altro che un inganno? Perché mi
si bolla a fuoco se nego dio? Perché si pone la creatu-
ra al di sopra del creatore (…) e si ha bisogno di un
oggetto dominante, affinché il soggetto sia un servo
sottomesso. Io devo piegare me stesso sotto
l’assoluto” (U-p. 326). Si spiega così il radicalissimo
fondamento posto a sostegno di ogni religione, consi-
stente nel promuovere un permanente principio di sta-
bilità, mai da scardinare o mettere in discussione, il
cui unico obiettivo è quello di sovrapporsi
all’individuo e di comandarlo, fornendogli l’illusione
di essere in armonia con l’ordine umano e con
l’ordine dell’universo, costruendo a sua volta in forme
sempre più raffinate «santità intangibili», «verità eter-
ne», in una parola qualcosa di «santo», [e tutto que-
sto] sottraendo a te ciò che è tuo» (U- p. 325). Ecco
perché Stirner, tra le molteplici osservazioni che svi-
luppa sull’argomento, è costretto a puntualizzare:
«Chi può, se non si pone anche da un punto di vista
religioso, porsi delle questioni sul «diritto»? Il «dirit-
to» non è forse un concetto religioso, cioè qualcosa di
santo?» (U-p. 198). E’ risaputo che tale dimensione è
esistenziale, in AA.VV., Individuo e insurrezione, op. cit., p.
16.
per taluni versi presente pure in Hegel e Marx. Hegel
nei Lineamenti di Filosofia del diritto afferma che è
con lo Stato che Dio fa il suo ingresso solenne nel
mondo,23
mentre Marx, dal canto suo, nella Critica
della filosofia del diritto di Hegel, sottolinea che il
governo rappresenta una sorta di concreto Gesù Cristo
che si interpone tra il sovrano e la società civile,24
e
che in particolare lo Stato, dopo la Comune di Parigi,
gli diviene un «aborto sovrannaturale della socie-
tà»,25
ovvero quel Dio destinato alla sua più totale
dissoluzione. Ora questa rudimentale premessa può
forse illustrare un punto nodale per Stirner, e cioè che
alla base di ogni discorso c’è sempre mediazione di
un potere, per cui la dimensione della libertà non può
mai fare a meno di un antagonismo, di una contrappo-
23 «L’ingresso di Dio nel mondo è lo Stato; il suo fondamento è
la potenza della ragione che si realizza come volontà. Nell’idea
dello Stato non debbono tenersi presente Stati particolari, istitu-
zioni particolari; anzi si deve considerare per sé l’idea, questo
Dio nel mondo», in G. Hegel, Lineamenti di Filosofia del dirit-
to, trad. it. di F. Messineo, Roma-Bari, 1974, p. 430, aggiunta di
Gans al § 258. 24
K. Marx, Critica della filosofia del diritto di Hegel, in K.
Marx-F. Engels, Opere complete, vol. III, Roma, 1976, p. 97. 25
«Non si trattò quindi per la Comune di una rivoluzione contro
questa o quell’altra forma di potere dello Stato, legittimista, co-
stituzionale, repubblicana o imperiale. Fu una rivoluzione con-
tro l’essenza stessa dello Stato, questo aborto sovrannaturale
della società; fu la riappropriazione da parte del popolo della
propria vita sociale», in K. Marx, 1871. La Comune di Parigi.
La guerra civile in Francia, Savona-Napoli, 1971, p. 215.
sizione di cui il potere si presenta sempre come rime-
dio, e che, ad ogni buon conto, qualsiasi apparato di
pensiero, laico o religioso, è per definizione sovrain-
dividuale, apparendo in particolare preposto a conse-
gnarci degli oggetti - quelli che regolamentano in ge-
nerale la convivenza sociale e quelli segnatamente re-
ligiosi-divini che, tuttavia, sono perfettamente identici
dal momento che tendono tutti a presupporre un reli-
gioso rapportarsi ad essi26
- e che piuttosto che costi-
tuire delle nostre semplici creazioni, da utilizzare e ri-
discutere incessantemente a nostro piacimento, giun-
gono invece a dominarci sino a legarci a loro indisso-
lubilmente, e ciò peraltro senza poterne in alcun modo
contestare il fondamento. La questione che inevita-
bilmente affiora sulla scia di questa rappresentazione,
è quella dunque del legame che intercorre tra
l’individuo e questi oggetti, in special modo, e per
quanto qui ci ha occupato, tra l’individuo e quanto
connota l’impalcatura giuridica volta a governarlo. In
questa prospettiva, un primo elemento che balza evi-
dente è di certo quello che vede sia la legge che la re-
ligione porsi tra loro in un rapporto di complementa-
rietà, e ciò al di là delle loro radici semantiche che
rinviano entrambe al significato comune di legare, te-
nere assieme, obbligare, e non tacendo che l’atto del
26
Tutte le manifestazioni volte a regolare l’esistenza individua-
le, fa notare Marx, necessitano di illusioni religiose e dunque di
relazioni alienate, per cui “La critica del cielo si trasforma così
nella critica della terra, la critica della religione nella critica del
diritto, la critica della teologia nella critica della politica”, K.
Marx, Critica della filosofia del diritto di Hegel, op. cit., p. 191.
legiferare, nel quale è intrinseca la nozione di ubbi-
dienza ad un precetto, ad una norma, oltre a culminare
nella disciplina e nel controllo, è specifica caratteristi-
ca di ogni religione27
. Stirner, non a caso, sottolinea
proprio questo rilievo con riferimento al cristianesi-
mo, e cioè la tendenza di ogni individuo a rapportarsi
con la Bibbia, ovvero con quel complesso di precetti
idonei a regolamentare l’esistenza di ogni cristiano,
con un atto di sacrale ubbidienza, di totale sottomis-
sione a fronte delle verità assolute da essa promulgate,
non prima tuttavia di evidenziare la strutturale relati-
vità di tale relazionarsi: “Ognuno ha con gli oggetti un
rapporto che varia da oggetto ad oggetto. Prendiamo
ad esempio quel libro con il quale ebbero un rapporto
milioni di uomini per due millenni, la Bibbia. Cos’è,
cos’era per ciascuno? Semplicemente solo ciò che
ognuno di essa fece! Per chi non ne fa nulla non è nul-
la; per chi ne fa un amuleto ha solo il valore, il signi-
ficato di un elemento magico; per chi gioca con essa,
ad esempio per il bambino, è solo un giocattolo, ecc.”
Ora, però, “assieme alla libertà di poter fare della
Bibbia ciò che voglio, viene ridimensionata la libertà
del fare in genere, e al suo posto viene imposto un
certo modo di vedere o di giudicare”. Difatti, “chi
espresse il giudizio che la Bibbia era un errore mille-
nario dell’umanità, giudicò – in modo delittuoso”. Ed
allora, se “il bambino che riduce in brandelli o ne fa
27
“Ancor oggi adoperiamo la parola latina «religione» che indi-
ca il concetto di legame (…) Esser legati o religio è dunque la
religione rapportata a me: io sono legato” (U-p. 82).
un giocattolo si comporta correttamente rispetto alla
Bibbia”, deve ritenersi che “il nostro modo di trattare
le cose dipende dal nostro piacere, dal nostro arbitrio:
noi le usiamo a nostro piacimento o, meglio, le usia-
mo come possiamo” (U-pp. 323-324). Questo com-
mento ci pare interessante se si prova a sostituire
l’oggetto Bibbia, come complesso di norme e precetti,
con l’oggetto diritto, che nella ricostruzione più volte
sollecitata in questo studio, viene sì preso di mira da
Stirner come momento inautentico dell’io in quanto
posto da una autorità superiore (Dio, Stato), ma non
per negarlo, bensì come creazione, come attività da
ricondurre alla volontà del singolo individuo, e ciò so-
lo dopo aver provveduto a distruggerne la sua dimen-
sione dogmatica o santa: “Io cerco il diritto del sul-
tano, non il mio diritto, io cerco un diritto - estraneo.
Finché questo diritto estraneo non concorderà con il
mio, non troverò mai, in queste corti, il mio diritto
(…) Io solo decido se il diritto è in me; fuori di me
non esiste alcun diritto (…) Proprietario e creatore del
mio diritto, io non riconosco altra fonte del diritto che
me stesso, né dio, né lo stato, né la natura, né l'uomo
stesso con i suoi «eterni diritti umani», cioè né diritto
divino né diritto umano” (U-pp. 196-199-212). E di-
fatti, questa modalità che Stirner registra di relazio-
narsi rispetto agli oggetti - cioè rispetto alle proprie
creazioni di cui l’individuo viene immediatamente
espropriato - in modo libero, secondo il proprio punto
di vista, denuncia che ciascuno è in grado di poter de-
cidere la realtà e la direzione di questi oggetti, deri-
vandone che essi non vanno valutati in forza di un si-
stema contenente verità assolute, come tale già confe-
zionato ed imposto all’individuo, bensì sulla base di
quanto gli è utile o conveniente: “Le cose sono per
l’uomo ciò che egli è; «come tu vedi il mondo, il
mondo vede te». Ed ecco che subito si fa sentire il
saggio consiglio: devi vederlo in modo «giusto, natu-
rale», ecc. Come se il bambino non vedesse la Bibbia
in modo «giusto e naturale» quando ne fa un suo gio-
cattolo. Quel saggio consiglio ci viene dato, ad esem-
pio, da Feuerbach. Le cose si guardano nel modo giu-
sto quando di loro si fa ciò che si vuole (con il termi-
ne cose qui s’intendono oggetti in genere, dio, il pros-
simo, una persona amata, un libro, un animale, ecc.).
E perciò non sono gli oggetti e il modo di vederli la
cosa prima, ma io stesso, la mia volontà” (U – p. 324-
325). Se dunque non esiste alcuna limitazione al pro-
prio modo di concepire ed interpretare la realtà di
questi oggetti, i quali di per sé non possiedono alcun
valore intrinseco ed alcuna razionalità, essendo sol-
tanto un prodotto della volontà dell’individuo, di una
attività pratica che li costituisce, modifica o annulla,
si può anche dire, seguendo questo andamento, che gli
oggetti non verrebbero consegnati agli individui in
maniera intuitiva, ma essi, in quanto oggetti umani,
costituirebbero il risultato di un processo di appro-
priazione umana pratico-sensibile.28
Ne discende che
28
Vale a dire che gli oggetti non si trovano davanti a noi come
qualcosa di meramente passivo, ma sarebbero il risultato di una
concreta attività di appropriazione. Tale aspetto viene efficace-
mente individuato da Marx, per il quale «Tutti i rapporti umani
che l’uomo ha col mondo, vedere, udire, odorare, gustare, toc-
l’oggetto deve connettersi ad un soggetto che senza di
esso non sarebbe affatto tale, sicché ciascun individuo
non giungerebbe semplicemente a percepire oggetti,
in quanto per poterli percepire deve prima di tutto im-
padronirsene: “non quest'albero, ma è la mia forza o la
mia disposizione sopra di lui che costituisce ciò che è
veramente mio” (U-p. 272), per cui “ogni giudizio che
io esprimo su un oggetto è sempre creatura della mia
volontà (…) io non disperdo me stesso in quella crea-
tura, in quel giudizio, ma rimango il suo creatore, co-
lui che giudica, che crea sempre di nuovo” (U-p.
325)29
. In questa autonomia, dunque, la libertà
dell’individuo si manifesta come attività creatrice,
non limitandosi a conferire un nuovo statuto ordinati-
vo, ma ponendosi come costitutiva dell’oggetto30
. Ciò
che, forse, in tale contesto può dirsi preponderante per
Stirner è proprio il profilo intimo di questa libertà, a
care, pensare, intuire, sentire, volere, agire, amare, in breve tutti
gli organi che costituiscono la sua individualità (...) sono (...)
nel loro comportamento di fronte all’oggetto, l’appropriazione
di questo stesso oggetto. L’appropriazione della realtà umana, il
comportamento di questa di fronte all’oggetto è l’attuazione
della realtà umana», in K. Marx, Manoscritti economico-
filosofici del 1844, Torino, 2004, p. 111. 29
E’ indiscutibile che sia Stirner che Marx, sulla scia di Hegel,
abbiano condiviso il fatto che gli oggetti, le idee, costituendo un
prodotto dell’azione umana, possono essere anche valutati. 30
Come nota Sartre, «Si fa l’oggetto per intrattenere un certo
rapporto con lui (…) Se creo (…) lo faccio per essere
all’origine di una esistenza concreta (…) il legame di creazione
che stabilisco (…) mi dà (…) un diritto di proprietà particola-
re», in J.P. Sartre, L’essere e il nulla, op. cit., p. 640.
prescindere dal grado effettivo di sua realizzabilità,
che non può non scontrarsi e/o confrontarsi con il sen-
so del limite dato dall’oggetto: “la limitazione della
libertà è inevitabile (…) non è possibile che l’uomo
sia libero da ogni cosa” (U-p. 299)31
. Ritornando al
diritto, come cosa, oggetto32
, e seguendo il nucleo di
fondo del discorso stirneriano, essenzialmente mirato
a valorizzare il rapporto tra soggetto e oggetto, si
scorge che esso deve pur sempre essere posto da un
atto di volontà dell’individuo33
, per cui in un’ottica
prettamente giusfilosofica, tecnicamente estranea a
Stirner, il diritto «deve essere prodotto, formato»34
. Si
31
Si può rinvenire in questa riflessione, sostanzialmente legata
alla impossibilità di una libertà assoluta, un parallelismo con
quella di Foucault, sempre preoccupato nella sua ricerca di far
risaltare le forze eteronome capaci di perimetrare l’autonomia
dell’individuo. Osserva, difatti, il filosofo francese: «Non esiste
una sola cultura al mondo in cui sia permesso di fare tutto. E da
molto tempo si sa bene che l’uomo non comincia con la libertà
ma con il limite e con la linea dell’invalicabile», in M. Foucault,
La follia, l’assenza di opera, appendice di Storia della follia
nell’età classica, Milano, 2010, p. 478. 32
Sul concetto di diritto in rapporto alle sue implicazioni feno-
meniche, si veda il breve saggio di M. La Torre, Diritto e male.
Un’approssimazione, in AA.VV., Identità del male. La costru-
zione della violenza perfetta, Milano, 2013, pp. 83-96. 33
Perché il diritto è innanzitutto questione che afferisce gli uo-
mini, cioè «posto da uomini per altri uomini», così N. Irti,
L’uso giuridico della natura, Roma-Bari, 2013, p. VII. 34
In una impostazione di Arthur Kaufmann, secondo il quale,
ad esempio, «non è giusto definire il diritto come una totalità di
norme, piuttosto esso è in primo luogo un avvento reale (…),
ma qualcosa che deve essere prodotto, formato», in A. Kauf-
è visto che per Stirner non vi è alcun diritto naturale,
sia perché la realtà è pervasa da un indistruttibile in-
quinamento ideologico (ed anche etico-politico), e
dunque da un uso abusivo e surrettizio del termine na-
turale, che deve essere ogni volta smascherato e de-
nunciato35
, sia perché il diritto acquista, se vogliamo,
riflessività, esclusivamente mediante interpretazioni e
valutazioni individuali. Come avanza Schmitt, esso
non potrebbe mai «applicarsi, attuarsi o eseguirsi»36
da solo, poiché la sua esistenza richiede pur sempre
l’atto volontario e “decisivo” di un soggetto, il quale,
ri-costituendolo ogni volta di nuovo, ne concretizza il
momento di regolazione. D’altronde, se così non fos-
se, “la mia creatura, cioè una determinata espressione
della mia volontà, sarebbe diventata il mio padrone”
(U-p. 205). In altri termini, si può dire, mantenendo
sempre ferme le distinzioni e le premesse di Stirner
sul punto, che la scelta tra il soddisfare o meno
l’esigenza sottostante la norma è in ultima istanza ri-
messa sempre all’arbitrio del singolo: “Scelgo ciò che
è conforme ai miei desideri e scegliendo mi dimostro
- arbitrario” (U-p. 325). Il jus nel divenire directum
implica l’attività ermeneutica, non potendo consegui-
re il suo obiettivo senza l’intervento conoscitivo di
mann, Die ontologie Begründung des rechts, Darmstadt, 1965,
p. 717. 35
Così Stirner avrà modo di sottolineare negli Scritti minori:
«Io disprezzo la natura […] e tronco ogni rapporto obbligatorio
con essa», op. cit., p. 166. 36
v. C. Schmitt, Le categorie del politico, Bologna, 1972, p.
255.
“colui che giudica, che crea sempre di nuovo”. Si è
detto che Stirner esamina la questione della legge, del
diritto e dello Stato che incorpora un determinato di-
ritto non nella sua dimensione oggettiva, cioè nel suo
momento contenutistico, ma soltanto nel suo momento
formale. E’ noto che nella realtà giuridica esiste una
contrapposizione di fondo tra la norma in senso stati-
co (o jus) e la norma in senso dinamico (il di-
rectum)37
. La prima individua il momento giuridico
squisitamente formale, che, cioè, funge da modello di
azione e al quale è riconducibile la sua originaria con-
notazione precettiva. La seconda, invece, è riconduci-
bile al concreto disposto che emerge da una attività
positiva, creativa, nel corso della quale tra il soggetto
(che valuta, giudica) e l’oggetto (jus) si instaura un
meccanismo tale per cui ciascuno partecipa dell’altro
e contribuisce a definirlo e a comporlo, come se in
questa connessione, soggetto e oggetto avessero mate-
rialmente «a che vedere l’uno con l’altro»38
. Questo
37
cfr. A. Kaufmann, Filosofia del diritto ed ermeneutica, Mila-
no, 2003, p. 145, secondo cui: «Legge e diritto (…) non sono la
stessa cosa. L’astratta norma di legge positivo-formale è una
cosa invero necessaria ma mai sufficiente, per il concreto diritto
positivo. O, detto altrimenti: la legge non è la realtà, ma solo la
possibilità del diritto»; Id., Analogia e “natura della cosa”. Un
contributo alla dottrina del tipo, Milano, 2003, 22 ss.. 38
v. E. Husserl, Logica formale e trascendentale, Bari, 1966, p.
272. Da un punto di vista filosofico, ed al di là dell’intrinseca
relazionalità tra legge e diritto per cui il diritto realizza la legge
sostanziandola, si veda, con riferimento alla crisi del diritto do-
vuta al sopravvento della legge formale, “la cui ultima parola si
trova espressa dalla morale kantiana da cui i diritti dell’uomo
percorso tra soggetto e oggetto sembra tracciare un ri-
lievo non del tutto estraneo all’analisi di Stirner, dal
momento che in esso persiste una attività nella quale
il soggetto elabora e produce sé medesimo attraverso
l’elaborazione dell’oggetto e del mondo materiale, co-
sì realizzando nell’oggetto le proprie infinite possibi-
lità: «Possibilità e realtà coincidono sempre. Nulla si
può che non si faccia, così come nulla che non si pos-
sa fare» (U-p. 318). All’insegna di quella condizione
originaria che ci vede preliminarmente soggetti in
quanto costituiti da oggetti, Stirner, si è visto, respin-
ge ogni possibile configurarsi della realtà secondo
asimmetrie e polarità dominanti, criticando ad esem-
pio l’io di Fichte che pone il suo essere solo mediante
un’astrazione, cioè come qualcosa che esiste prima di
se stesso e delle sue relazioni con il mondo, e dunque
come nucleo a se stante, irreale, assoluto. Vale a dire
che soggetto e oggetto possono essere compresi solo a
partire da quell’essere che, diversamente, non è ma
diviene, e che grazie al processo di appropriazione
dell’individuo proprietario, cioè di colui che si ri-
appropria finalmente del suo stesso essere disinfettato
dal sacro e dall’ideologia - quest’ultima idonea a far
credere all’individuo di potersi muovere nel mondo
come soggetto autonomo, senza accorgersi di essere il
mero prodotto di spazi simbolici già ampiamente anti-
cipati e previsti - giunge ad una effettiva liberazione
derivano”, in particolare nel pensiero di Gilles Deleuze, il breve
saggio di Laurent de Sutter, Deleuze e la pratica del diritto, Ve-
rona, 2011.
materiale: «Dal primo istante – scrive Stirner - in cui
l’uomo apre gli occhi alla luce del mondo, nel quale si
trova gettato come un dado, cerca nella confusione
che lo circonda di ritrovare e conquistare se stesso.
Tuttavia ogni cosa con la quale il bambino entra in
contatto non si lascia afferrare affermando in questo
modo la sua indipendenza. E dal fatto che ognuno
pretende di affermare se stesso, scontrandosi con il
resto, ne consegue la necessità della lotta per
l’autoaffermazione. Vincere o soccombere - questi
sono i poli della lotta. Il vincitore diviene il padrone,
il vinto lo schiavo: il primo eserciterà la sovranità e i
«diritti sovrani», il secondo adempirà, con timore e ri-
spetto, al suo «dovere di subalterno» (U-p. 49). In
questa prospettiva può trovare sintonia il discorso
stirneriano con quello marxiano, in particolare quando
in quest’ultimo si sottolinea che «l’essere oggettivo
opera oggettivamente; né opererebbe oggettivamente,
se l’oggettività non si trovasse nella determinazione
del suo essere. Crea, pone solo oggetti, perché è posto
da oggetti»39
. La condizione che vede quell’uomo,
come ci dice Stirner, che «gettato come un dado» nel
mondo, cerca «di ritrovare e conquistare se stesso»;
quelle cose con le quali «il bambino entra in contatto»
e che tuttavia non riesce ad afferrare; quella necessità
di riuscire ad «affermare se stesso», così come quel
«vincere o soccombere» - non è proprio quella di un
oggetto? Tutto ciò non vuole forse significare che
39
K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, op. cit.,
p. 172.
l’uomo inizia la sua esistenza proprio come oggetto,
come una sorta di macchina che risponde a impulsi
producendo reazioni automatiche, dominato dal dolo-
re e dal piacere, e quindi venendo al mondo prima
come «creatura» e solo successivamente, incidendo
sulla realtà che lo circonda, come «creatore»? Avere a
che fare con il mondo, come ha colto acutamente Sar-
tre, significa trattare con esso come se si avesse a che
fare con un insieme di utensili mediante i quali ci
proiettiamo nel mondo - da [pro] avanti [jacere] getta-
re; di qui quell’essere gettato fuori e in avanti: «il pro-
getto unifica il campo d’utensilità intorno a sé, per
farne una totalità che serva da sfondo agli oggetti par-
ticolari»40
. Il mondo è inizialmente iners, senza ars,
inerte, morto, inattivo, incapace di qualsiasi parteci-
pazione attiva, per cui può venire assorbito e domina-
to solo attraverso una successiva attività pratica41
.
Quando Stirner afferma che “Fichte parla di un io «as-
soluto», io parlo di me, dell’io fugace” (U-p. 192), si-
gnifica fare riferimento non ad un individuo che si au-
todetermina direttamente, che dunque esiste a priori,
come dimensione isolata, meramente ripiegata su
40
J. P. Sartre, Critica della ragione dialettica, 2 voll., Milano,
1963, p. 212. 41
E’ sempre Sartre a precisare questo aspetto, osservando che
«l’uomo che produce la sua vita nell’unità del campo materiale
è condotto dalla praxis stessa a determinare settori, sistemi, og-
getti privilegiati in questa totalità inerte; non può costruire i suoi
utensili (…) senza introdurre determinazioni parziali
nell’omogeneità di quel che lo circonda», in J. P. Sartre, Critica
della ragione dialettica, op. cit., p. 214.
stessa, bensì ad un individuo che per potersi autode-
terminare deve prima sperimentare il suo stesso farsi
attraverso una attività di trasformazione, di ricerca, di
creazione di sé e di tutto quanto lo circonda: “l’unico
è l’atto di potere che esercita il suo potere - che si
espande, delineando un mondo”42
, o ancora, un inces-
sante “fare, un crearsi, un prodursi”43
. Come ha notato
Roberto Escobar, l’io stirneriano vive nella continua
dinamicità, non in forma statica o meramente ripetiti-
va, perché in ogni momento consuma se stesso e le
proprie creazioni; non è un io assoluto, bensì caduco e
mortale: “Contro il progetto e l’illusione di sopravvi-
venza, l’io dell’istante recupera pienamente il senso
della caducità e della morte, argomenti che dissolvono
non solo i fantasmi sovrapersonali, ma anche il bio-
grafico fantasma personale. Immerso nello scorrere
della caducità naturale, nel quale tutto conosce la fine,
l’io dell’istante è un endliches Ich: un io finito o un io
che ha fine”44
. Il soggetto stirneriano, dunque, porta
necessariamente impressa la determinazione del pro-
prio oggetto, vale a dire di ciò che l’ha fatto inizial-
mente essere ciò che è, un semplice «dado» gettato
nel mondo, sicché come l’interazione tra soggetto ed
oggetto modifica l’oggetto, che non resta mai uguale a
se stesso, così l’interazione tra oggetto e soggetto mo-
difica il soggetto che, come ricorda Stirner, «cerca
42
C. Sini, Stirner, Nietzsche e l’ambiguità, in AA.VV., Nie-
tzsche-Stirner, op. cit., p. 198. 43
A. Signorini, Decostruzione e differenza in Stirner, op. cit., p.
526. 44
R. Escobar, Nel cerchio magico, op. cit., p. 60.
nella confusione che lo circonda di ritrovare e conqui-
stare se stesso», quel «se stesso» che tuttavia non riu-
scirà mai a ritrovare immediatamente, né, tantomeno,
nelle medesime forme e maniere45
. Tutta la critica che
Stirner muove ad Hegel, d’altronde, precisandosi
«come lotta per recuperare l’esistenzialità dell’io che
era andata smarrita nel corso della metafisica occiden-
tale»46
, mira proprio ad una ri-valutazione del mondo
oggettivo, per cui ri-appropriarsi di esso, ri-
appropriarsi degli oggetti che ci dominano e con i
quali abbiamo quotidianamente a che fare, la ri-
conduzione dei concetti alla loro fonte, vale a dire
l’Io, e dunque il possesso e la possibilità d’uso degli
stessi47
, non può che implicare nel discorso stirneria-
no il far sì che il soggetto possa costituirsi come do-
minatore di un determinato oggetto solo a condizione
di sviluppare un rapporto attivo con esso: «Pensare
egoisticamente non significa attribuire a cose qualsia-
si un valore proprio o «assoluto», ma significa invece
cercare il loro valore in me» (U-p. 182)48
. Se dunque
45
Si veda il Ciaravolo, secondo cui per Stirner “L’essere come
permanenza è una vuota finzione”, in P. Ciaravolo, Nietzsche –
Stirner: il divenire e la permanenza, in AA. VV., Nietzsche–
Stirner, op. cit., p. 218. 46
v. G.Penzo, Introduzione a Max Stirner, L'Unico e la sua pro-
prietà, op. cit., p. 16. 47
“Contro la fissazione e l’estraneazione della verità Stirner so-
stiene la proprietà del mondo [e del pensiero]: la sua realtà si
identifica con la sua utilizzabilità e trasformabilità da parte del
singolo”, in R. Escobar, Nel cerchio magico, op. cit., p. 112. 48
Tale dimensione viene forse resa ancora meglio dalla tradu-
zione de L’Unico e la sua proprietà, Torino, Fratelli Bocca,
l’oggetto è nella prassi umana e la prassi umana crea
questo oggetto; se, come si è detto, il soggetto stirne-
riano non è un concetto astratto, non è un a priori che
universalmente si contrappone al mondo come suo
oggetto, salvo poi perdere questa universalità per
alienazione; se esso non è lo spirito che si autoimpone
comprendendo se stesso; se invece esso è un soggetto
particolare, singolare, finito e mortale, che sa di non
essere ab-solutum, cioè privo di rapporti, di relazioni,
che sa di essere determinato in forza di un peculiare
rapporto reciprocamente collegato alle condizioni del-
la sua esistenza, da intendersi non solo (ed esclusiva-
mente) quale espressione di ineluttabili rapporti socia-
li, ma anche di relazioni con la propria vita diretta-
mente corporea ed emozionale - solo così, forse, è
possibile immaginare un soggetto capace di ricono-
scere nell’oggetto la propria negatività, cioè un sog-
getto capace di porsi al di sopra di questa vicenda di
oggettivazione, perché una soggettività che si pone
senza alcun tipo di implicazione con l’oggetto, non è
«soggetto di nulla», neanche di se stesso. In questo
senso, come reclama Stirner, porsi contestualmente
come creatore e come creatura (U-p. 168), non può
che delineare la loro ineludibile «co-implicazione»,
con ciò rivelandosi essenziale al costituirsi della sog-
1902, curata da Ettore Zoccoli, ed in particolare quella risalente
alla terza edizione datata 1921: «Pensare egoisticamente signi-
fica non già attribuire a cosa alcuna un valore proprio o «assolu-
to», bensì ricercarne il valore nei rapporti della cosa col sogget-
to», p. 125.
gettività, il cui prerequisito sottende «proprio quella
distinzione e alterità tra soggetto e oggetto».49
Come
sottolinea Marx: «Uno può mortificarsi, martirizzarsi
ecc. tutto il giorno, come fanno i monaci ecc., e que-
sta quantità di sacrificio che egli fa non cava un ra-
gno dal buco (…) La pura negatività non crea nulla
(…) Oltre al sacrificio deve esserci qualcos’altro»,
sicché, fino a quando questo altro non interverrà, vale
a dire una «attività positiva, creativa»,50
avremo sem-
pre a che fare con un «oggetto dominante», per cui il
soggetto sarà sempre «un servo sottomesso». Ed «Io
devo piegare me stesso sotto l’assoluto» (U-p. 326).
49
v. R. Perini, Della soggettività finita. Dalla teoria del soggetto
alla filosofia dell’uomo. Perugia, 2005, p. 51. 50
K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia
politica «Grundrisse», Roma, 1983, vol. I, pp. 611-612. Di qui,
come avverte Michel Henry, il sostanziale errore di Feuerbach,
consistente nell’aver pensato la realtà della realtà nell’intuizione
“e quindi l’essere come un oggetto”, laddove l’essenza del reale
sta nella pratica che indica una attività positiva. Ne deriva che il
soggetto, individuato come il luogo del darsi dell’essere, va
pensato in maniera radicale, e cioè come soggettività che rende
“soggettivo” l’oggetto. v. M. Henry, Marx. 1. Una filosofia del-
la realtà, a cura di G. Padovani, Genova, 2010.
La critica di Max Stirner, al pari di quella giuspo-
sitivistica, mirando alla dissoluzione di ogni valore
assoluto, riconduce la costruzione dell’esperienza
umana ad un atto di volontà dell’individuo, il qua-
le, irriducibile ad ogni metafisica tradizionale e ad
ogni tipo di autorità ereditaria, crea e ricrea la
propria esistenza e il mondo in maniera autonoma
ed incondizionata. In questo senso, la matrice non-
cognitivistica comune sia al pensiero stirneriano
che a quello giuspositivistico - oltre a denunciare il
fondamento tipicamente universalistico ed oggetti-
vistico del giusnaturalismo, sempre volto ad annul-
lare il punto di vista del soggetto e a determinare
aprioristicamente quali valori e quali regole di vita
egli è tenuto a seguire - fornisce l’occasione per
una sorprendente quanto affascinante svolta vitali-
stica e materialistica, “all'insegna di una ontologia
costruttivista, la quale, propugnando una conce-
zione affermativa dell’essere, mira alla distruzione
dei valori esistenti e alla continua creazione auto-
noma di nuovi valori”.
Carlo Di Mascio (Salerno, 1967), è autore del testo
Pašukanis e la critica marxista del diritto borghese,
Edizioni Phasar, Firenze, 2013.
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