71
Volume 14 (2019) Quaderni del Centro Studi Asiatico Xaverian Missionaries Ichiba Higashi 1-103-1 598-0005 Izumisano Osaka - Japan Bangladesh – Filippine – Giappone – Indonesia – Taiwan 4

Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

  • Upload
    others

  • View
    1

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Volume 14 (2019)

Quaderni

delCentroStudiAsiatico

Xaverian MissionariesIchiba Higashi 1-103-1

598-0005 IzumisanoOsaka - Japan

Bangladesh – Filippine – Giappone – Indonesia – Taiwan

4

Page 2: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del Centro Studi Asiatico

I Quaderni del CSA ospitano articoli e studi che riflettano su alcuni fenomeni religiosi, socio-economi-ci, politici, culturali e missionari delle Regioni Saveriane presenti in Asia. Essi si propongono anche di far conoscere eventi o esperienze che possano arricchire ed essere di aiuto ad altri missionari coinvolti nelle stesse attività.

Quaderni del Centro Studi AsiaticoXaverian Missionaries

Ichiba Higashi 1-103-1, 598-0005 Izumisano, Osaka – JapanTel. (0724) 64-3966 / Fax (0724) 64-3969

Direttore

Redazione

Tiziano Tosolini • Giappone

† Everaldo Dos Santos • Filippine

Matteo Rebecchi • Filippine

Valentin Shukuru Bihaira • Indonesia

Sergio Targa • Bangladesh

Fabrizio Tosolini • Taiwan

Page 3: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Indice

Volume 14, n. 4 2019

193 «Questo dolcissimo, questo terribile Paolo» Jacques Derrida: decostruzioni, circoncisioni e veli

Tiziano Tosolini

RELIGIONI E MISSIONE

209 Un libro suggestivo e suggerente G. Agamben, Altissima povertà. Regole monastiche e forme di vita

Franco Benigni

220 Le pulizie di CapodannoSilvano Da Roit

CULTURA E SOCIETÀ

225 Tamakushige. La scatola dei pettiniMootori Norinaga

246 Novelle Bengalesi - ix Un nastro per i capelli / Il nonno esce di scena / Amor di Patria

Antonio Germano

253 IswarKazi Nazrul Islam

IN MARGINE

257 Avvertire la presenza dello Spirito SantoNaohiko Watanabe

INDICE 2019

Page 4: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

«Questo dolcissimo, questo terribile Paolo»Jacques Derrida: decostruzioni, circoncisioni e veli

Tiziano Tosolini

Tra i numerosi pensatori, poeti, e teologi che ha posto come oggetto delle sue profon-de e articolate riflessioni filosofiche (si pensi qui a Platone, Agostino, Kant, Hegel,

Cartesio, Rousseau, Nietzsche, Husserl, Heidegger, Freud, Lévi-Strauss, Bataille, Levinas, Celan, Joyce, Artaud… per citarne solo alcuni), Jacques Derrida (nato ad Algeri nel 1930 e morto a Parigi nel 2004) si è anche soffermato sulle Lettere di Paolo e sulle elaborazioni teologiche dell’apostolo. E questo non solo perché Paolo ci ha lasciato in eredità un signi-ficativo patrimonio scritturistico — e la scrittura è ciò che fin dall’inizio ha interessato il pensiero di Derrida —, ma anche e soprattutto perché alcune riflessioni del pensiero pa-olino (si pensi qui a quelle riguardanti la rilettura del rapporto tra universalismo e parti-colarismo, tra ragione e fede, tra soggettività e alterità) paiono sfidare quelle elaborate dal filosofo franco-algerino. Tuttavia, per comprendere appieno la portata di questa querelle, occorrerà soffermarsi brevemente sull’atteggiamento assunto da Derrida nei confronti della tradizione filosofica in generale, oltre che sulla prassi decostruttiva che caratterizza il suo impegno filosofico.

Derrida è convinto che il compito che spetta alla filosofia non sia quello di opporsi o contrastare in maniera diretta quella tradizione occidentale che da Platone in poi ha in-dentificato l’essere con l’oggettività, cioè con la semplice presenza degli enti. Questa meta-fisica della presenza era già stata fatta oggetto di formulazioni radicali, quali ad esempio:

La critica nietzschiana della metafisica, dei concetti di essere e di verità ai quali vengono sostituiti i concetti di gioco, di interpretazione e di segno (di segno senza verità presente); la critica freudiana della presenza a sé, cioè della coscienza, del soggetto, dell’identità a sé, della prossimità o della proprietà a sé; e, più radicalmente, la distruzione heideggeriana della metafisica, dell’onto-teologia, della determinazione dell’essere come presenza1.

I tentativi compiuti da Nietzsche, Freud, e Heidegger (e, per motivazioni diverse, anche quelli di Foucauld) si sono però dimostrati incapaci di fuoriuscire dalle trame della me-tafisica rimanendo invece impigliati in quegli stessi concetti che essi si promettevano di

1. J. Derrida, «La struttura, il segno e il gioco nel discorso delle scienze umane» in La scrittura e la differen-za. Trad. G. Pozzi, Einaudi, Torino 1990, 361.

Quaderni del CSA 14/4: 193–205 2019 Centro Studi Asiatico

Page 5: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)194

oltrepassare, o perfino di distruggere:

Tutti questi discorsi distruttori e tutti i loro analoghi sono presi in una specie di cerchio. Questo cerchio è unico ed esprime la forma del rapporto tra la storia della metafisica e la distruzione della storia della metafisica: non ha alcun senso non servirsi dei concetti della metafisica per far crollare la metafisica; noi non disponiamo di alcun linguaggio — di alcuna sintassi e di alcun lessico — che sia estraneo a questa storia; non possiamo enun-ciare nessuna proposizione distruttrice che non abbia già dovuto insinuarsi nella forma, nella logica e nei postulati impliciti a quello stesso che essa vorrebbe contestare2.

Tutto ciò non significa che Derrida, preso atto del loro fallimento, non accetti alcune istanze elaborate dai pensatori appena menzionati: di Nietzsche accoglie il radicalismo filosofico che si ribella contro ogni tipo di dogmatismo e di tradizionalismo (di cui si trova suo malgrado ad essere erede) mettendo a nudo la propria individualità e focaliz-zando l’attenzione filosofica sulla propria vita vissuta come un’opera d’arte; di Heidegger approva non solo l’idea che la storia della metafisica debba essere smantellata (è proprio da Heidegger, ad esempio, che Derrida mutua il termine «decostruzione»3), ma anche l’i-dea che il soggetto possiede il carattere della finitudine e che quindi esso sia storicamente condizionato e determinato; da Freud attinge invece l’idea che dietro il significato si na-sconda un senso recondito che il filosofo deve pazientemente e continuamente svelare e interpretare, senza per ciò illudersi di poter riuscire a raggiungere finalmente una verità immutabile ed eterna.

Quale sarà allora la strada che Derrida intende percorrere per evitare di cadere nei lacci della metafisica della presenza che neppure i grandi pensatori che lo hanno prece-duto sono riusciti ad eludere? L’unica alternativa che Derrida intravede non è quella di perseguire una violenta distruzione della metafisica e dei suoi presupposti, quanto piut-tosto quella di operare una sua attenta rilettura in modo tale da scuoterne dall’interno le fondamenta e le certezze. Come dirà lo stesso Derrida: «Ciò che voglio sottolineare è solamente che il passaggio al di là della filosofia, non consiste nel voltare la pagina della filosofia (il che equivale il più delle volte a mal filosofare) ma nel continuare a leggere i filosofi in un certo modo»4. Si tratta dunque di porsi di fronte alla tradizione filosofica occidentale con occhi differenti, con una mente che sappia interpretare nuovamente le

2. Ibid., 362. Corsivo nell’originale.3. Heidegger elabora il concetto di Destruktion in Essere e tempo § 6, nell’ambito della riduzione feno-menologica e lo intende come decostruzione dei pregiudizi che «velano» l’indagine ontologica: lo scopo è quello di rendere «nuovamente fluida una tradizione consolidata» per «mettere in chiaro il problema dell’essere quanto alla propria storia autentica». 4. J. Derrida, «La struttura, il segno e il gioco nel discorso delle scienze umane», op. cit., 370.

Page 6: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

195tosolini: «questo dolcissimo, questo terribile paolo»

sedimentazioni di senso e quelle concettualità del pensiero che si sono venute a depositare nel tempo, di inventarsi un modo diverso di porsi di fronte a ciò che pare ormai assodato e scontato dalla riflessione filosofica. E uno di questi presupposti indiscussi che Derrida intende scuotere è quello della presunta supremazia della parola orale su quella scritta, del privilegio concesso al logos e alla phonè sul sémeion e sulla grammè5.

Prendendo spunto dalla parte finale del Fedro, dove Socrate racconta il mito del re egiziano Thamus che respinge l’offerta della scrittura da parte della divinità Theuth perché, a suo dire, essa non sarebbe affatto un farmaco per ricordare ma, al contrario, un veleno6 (un veleno sia per la verità — perché la scrittura, esattamente come l’arte, è per Platone una «copia di copia» che ci allontana ulteriormente dall’esser stesso delle cose —, sia per la conoscenza — perché mediante la scrittura gli uomini diventano uditori di molte cose senza avvalersi però dell’insegnamento, rendendo quindi difficile discorrerci assieme perché ora portatori di opinioni invece che essere loro stessi sapienti), Derrida afferma che la tradizione filosofica occidentale è sempre stata fin dai suoi albori una me-tafisica della presenza, o meglio ancora, un logocentrismo. Il mito narrato da Socrate af-ferma infatti non solo che la parola è presenza — nel senso che nel discorso parlato, vivo e cosciente l’anima (cioè il soggetto) si esprime direttamente nel suo voler-dire e presenta immediatamente la (sua) verità —, ma anche che la scrittura può essere letta in assenza dello scrittore, il quale non sarà così in grado di soccorrere la propria opera qualora su-bisca delle interpretazioni diverse da quelle da lui stesso intese7. Di più, secondo Derrida questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso in cui la metafisica privilegia la voce come strumento di completa e immediata traspa-renza dell’elemento espressivo, mentre la scrittura ha la sola funzione di «rappresentare» la voce e non potrà mai essere totalmente fonetica in quanto si avvale di elementi irri-ducibili e irrappresentabili alla e dalla voce stessa — come ad esempio le spaziature, la punteggiatura, i margini ecc. che accompagnano necessariamente lo scritto. Le varie cop-pie oppositive (verità-inganno, modello-copia, originario-derivato, evidenza-ripetizione,

5. Sul tema del privilegio della phonè e la conseguente umiliazione della scrittura che caratterizzano la sto-ria della filosofia occidentale, si veda J. Derrida, La voce e il fenomeno. Trad. G. Dalmasso. Jaca Book, Milano 1984 e J. Derrida, La farmacia di Platone. Trad. L. Balzarotti. Jaca Book, Milano 1985.6. Sia «farmaco» sia «veleno» traducono la parola greca phàrmakon che Socrate adopera nel dialogo.7. Platone, Fedro, 274c–275e. Ciò che scandalizza Platone, sostiene Derrida, è proprio questa emancipazio-ne della parola scritta dall’autorità del suo autore, da quel «padre del discorso» che lo ha pronunciato e che quindi dovrebbe esserne responsabile. La scrittura commette perciò la colpa originaria di distaccarsi dal padre, di aggirarsi per il mondo in sua assenza e in maniera del tutto solitaria e indipendente. Ovviamente, la differenza tra parola scritta e parola pronunciata è molto sottile, dello «spessore invisibile, quasi nullo di un foglio tra il significante e il significato» (cfr. J. Derrida, La farmacia di Platone, op. cit., 104), ma per Der-rida la parola scritta rimane pur sempre una parola pronunciata differita e, proprio per questo, differente.

Page 7: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)196

razionalità-sensibilità, ecc.) possono quindi essere immediatamente esibite solo da una coscienza presente a se stessa, cioè solo da quell’intendersi-parlare mediante il quale il soggetto si comprende nel suo dir-si e, al contempo, comprende anche ciò che dice, man-tenendosi così sempre in controllo di ciò che vuole esprimere8. Un controllo sulla realtà e su se stessi, che non riguarda solo il sapere, la conoscenza, o le elaborazioni teoriche, ma intacca anche le categorie assiologiche di bene e di male. Come ben afferma M. Ferraris:

Se siamo cattivi o ingiusti, egoisti, razzisti, maschilisti, ecc. è perché tendiamo a rimuove-re troppe cose, animati da un sogno di presenza e compattezza, di identità morale, sociale e sessuale… La voce, la presenza, la coscienza, ossia tutto ciò che viene messo in primo piano dal logocentrismo, sono il bene e il giusto; la scrittura, la differenza, l’inconscio, cioè i rimossi o gli scarti del logocentrismo, sono il male e l’ingiusto. La storia della meta-fisica come la storia del logocentrismo appare dunque come una vicenda di una battaglia tra il Bene e il Male (una battaglia tanto più singolare in quanto il Bene ha la meglio, ma è un falso bene)9.

8. All’interno di questo logocentrismo ricadono, secondo Derrida, sia i tentativi quasi-fenomenologici di E. Levinas sia quelli ermeneutici di H.-G. Gadamer. Secondo il primo, infatti, «Il volto parla. La manife-stazione del volto è già discorso. Chi si manifesta, secondo quanto dice Platone, dà aiuto a se stesso». E inoltre: «La parola è… una manifestazione senza pari: essa non attua il movimento che parte dal segno per andare al significante e al significato. Essa apre ciò che ogni segno chiude, nel momento stesso in cui apre il passaggio che porta al significato, facendo assistere il significante a questa manifestazione del significa-to. Questa assistenza misura la sporgenza del linguaggio parlato nei confronti del linguaggio scritto che è ridiventato segno. Il segno è un linguaggio muto, un linguaggio impacciato» in Totalità e infinito. Trad. A. Dall’Asta. Jaca Book, Milano 2004, 64 e 186). A queste considerazioni, Derrida risponde affermando che se il linguaggio parlato, come Levinas contende, preclude ogni comprensione ontologica dell’altro (in quanto la significazione dell’altro proviene da un’alterità che non è tematizzabile), lo scritto non custodirà forse ancora di più l’alterità dell’altro in quanto in esso l’autore è assente? Ecco perché il filosofo franco-algerino si chiede: «Tutte le proposizioni di Levinas su questo argomento, non possono essere rovesciate? Per esempio, col dimostrare che la scrittura può essere d’aiuto a se stessa, perché ha il tempo e la libertà, in quanto sfugge meglio della parola all’urgenza empirica? Che, in quanto neutralizza le sollecitazioni dell’“economia” em-pirica, è per essenza più “metafisica” (nel senso di Levinas) di quanto non lo sia la parola? Che lo scrittore si allontana meglio, cioè si esprime meglio come altro, e si rivolge meglio all’altro di quanto non faccia l’uomo che parla?» in J. Derrida, «Violenza e metafisica. Saggio sul pensiero di Emmanuel Levinas» in La scrittura e la differenza, op. cit., 129. Corsivi nell’originale. Su questo argomento si veda S. Critchley, The Ethics of De-construction: Derrida and Levinas, Oxford, Blackwell 1992. Derrida e Levinas continuarono il loro dibattito anche in seguito, cfr. E. Levinas, «Wholly Otherwise». Trans. S. Critchley. In R. Bernasconi and S. Critchley, eds, Re-Reading Levinas, London, The Athlone Press 1991, 3–10, e J. Derrida, «At this very Moment in this Work Here I Am». Trans. R. Berezdivin. In Ibid., 11–48. Per Gadamer, invece, la verità non può che darsi in quello spirito del dialogo vivente tra gli interlocutori nel quale «Le parole che in esso si dicono portano in sé una loro verità, fanno “apparire” qualcosa che d’ora in poi sarà» in Verità e metodo. Trad. G. Vattimo. Bompiani, Milano 1983, 441. Per Derrida, invece, in ogni dialogo è in azione una «volontà di capire» che si trasforma immediatamente nella «volontà di potenza» nietzschiana in cui si attua un annullamento della individualità degli interlocutori. Il dibattito tra Gadamer e Derrida può essere consultato in D. Michelfelder and R. Palmer, eds, Dialogue and Deconstruction. The Gadamer-Derrida Encounter, Albany, State Univer-sity of New York Press, 1989. Alcuni degli interventi di Gadamer presenti in quel testo sono reperibili in H.-G. Gadamer, Verità e metodo 2. Integrazioni. Trad. R. Dottori. Bompiani, Milano 1995, 291–370.9. M. Ferraris, Introduzione a Derrida, Editori Laterza, Bari 2003, 60.

Page 8: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

197tosolini: «questo dolcissimo, questo terribile paolo»

Derrida è tuttavia convinto che già agli albori di questo percorso metafisico si possa in-dividuare una certa ambiguità di fondo nel concetto stesso di «presenza». Infatti, ci si potrebbe immediatamente chiedere: la coscienza del soggetto (parlante) si fonda da sé o è di sua natura aperta nei confronti di un qualcosa che la precede? Il tempo sgorga imme-diatamente dal soggetto, oppure quest’ultimo si ritrova già da sempre ad essere immerso nella temporalità del mondo? È possibile pensare una presenzialità che si dia in maniera assoluta, cioè priva di qualsiasi mediazione, rinvio, rimando o indicatività, cioè una pre-senzialità che non abbia alcun contatto con ciò che l’anticipa e la segue? E la verità, è un qualcosa che un individuo semplicemente elabora e trasmette da sé, oppure è un qualcosa che viene scoperto e offerto al soggetto?

Rifacendosi alle analisi linguistiche condotte da Husserl — secondo il quale esiste-rebbero due tipi di segni: uno puramente indicativo (Anzeichen) che non è accompagnato da alcuna intenzione, e l’altro espressivo (Ausdruck) nel quale si assiste ad una coinciden-za immediata tra significato e segno — Derrida fa notare che questa distinzione è minata alla radice dalla stessa analisi della coscienza interna del tempo. È lo stesso Husserl, in-fatti, che giunge ad affermare come il flusso della coscienza (la quale è sempre intenzio-nale, cioè una «coscienza di qualche cosa», e proprio questo suo movimento verso la cosa presuppone sempre una certa temporalità), si compone in ogni istante di un presente che è tale solo in quanto è il risultato dell’unificazione di due «non-presenti», cioè di un presente prodotto dalla ritenzione del passato e di un presente fornito dall’anticipazione del futuro. La stessa idea si può applicare anche all’attività percettiva: ogni atto percettivo (cioè ogni atto di coscienza) presuppone un’operazione e un percorso anteriore alla per-cezione stessa, o meglio ancora, una «sintesi passiva» mediante la quale si coglie l’oggetto nella sua unità solo dopo aver stabilito dei rapporti di continuità e omogeneità dell’ogget-to con sé stesso (oltre che dei rapporti di discontinuità ed eterogeneità di quell’oggetto nei confronti di altri oggetti).

Ora, se questo è vero, se cioè il presente (oltre che la percezione) non si può mai dare in maniera assoluta e a-temporale ma è già da sempre l’esito di due «assenze» o «non pre-senze», ecco che allora si viene a invalidare ogni argomentazione che insista sull’evidenza di un soggetto che rende presente immediatamente la verità che vuol comunicare — ol-tre ad ogni altra ipotesi che intenda questa presenzialità come una situazione originaria, a-temporale e a-spaziale. Il soggetto husserliano, essendo costituito nel e dal tempo, si ritrova perciò suo malgrado a condividere la stessa natura dei segni, cioè ad essere esso stesso un rinvio, una scansione temporale, una differenza tra sé e sé, oltre che tra sé e ciò che vuol dire (e dir-si). All’origine, perciò, non vi sarebbe alcuna auto-trasparenza del

Page 9: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)198

soggetto, alcun linguaggio puro o alcun significato già costituito che debba semplicemen-te essere trasmesso. Al contrario, il soggetto è esso stesso un segno che rimanda altrove, e il significato (così come lo stesso linguaggio) non è un semplice dato che attende di essere prima o poi scoperto dietro la facciata delle cose, ma è intriso di infiniti rimandi che non conducono mai ad alcuna evidenza o certezza apodittica.

Il leggere diversamente, o «in un certo modo» i filosofi e la storia della metafisica della presenza, conduce perciò Derrida a prestare attenzione alla lettura dei testi della tradizione (oltre che alla testualità in generale) nel tentativo di decostruire le varie signi-ficazioni che hanno origine all’interno del logocentrismo interpretando ed esplicitando le rimozioni e i giudizi di valore di cui sono inavvertitamente portatori e, così facendo, liberare e rilanciare sempre e di nuovo il senso (o, meglio ancora, i sensi) del testo. Ciò che quindi Derrida intende salvaguardare con la priorità accordata all’assenza piuttosto che alla presenza, e alla scrittura piuttosto che alla parola, è l’idea di una «alterità» che è sempre stata alienata dalle «corrette», «canoniche», «univoche» interpretazioni dei testi. Queste ultime sono sempre espressioni di quella metafisica della presenza che riconduce e assoggetta a sé «ciò che è altro dal pensiero» riducendolo ad un momento provvisorio e temporaneo della propria discorsività.

La decostruzione a cui Derrida fa riferimento, dunque, non deve essere intesa come una semplice analisi del testo (analisi che presuppone una scomposizione dello scritto per vagliarne gli elementi che lo strutturano), né come un semplice metodo interpretativo che, lasciandosi guidare da alcune regole psicologiche o grammaticali, tenti di svelare il presunto significato oggettivo che il testo intende trasmettere. Al contrario, per Derrida

La decostruzione ha luogo, è un evento che non aspetta la deliberazione, la coscienza o l’organizzazione del soggetto, né della modernità. Si decostruisce. Qui il si non è una cosa impersonale che si opponga a una qualche soggettività egologica. È in decostruzione… E il «si» di «decostruirsi», che non è la riflessività di un io o di una coscienza, si fa carico di tutto l’enigma10.

La decostruzione è quindi un evento e un enigma, nel senso che non può essere definita («Ogni frase del tipo “la decostruzione è x” o “la decostruzione non è x” è a priori priva di pertinenza, è a dir poco falsa»11) in quanto essa avviene o si attua precisamente laddove «vi è» o «c’è» qualcosa (laddove, cioè, è all’opera una certa logica, o «onto-logica», che si

10. J. Derrida, «Pacific deconstruction, 2. Lettera a un amico giapponese» in Rivista di estetica, 1984, xxv/17: 8. Corsivo nell’originale. Per una analisi del concetto di decostruzione si veda anche J. Caputo, ed., Decon-struction in a Nutshell. A Conversation with Jacques Derrida, Fordham University Press, New York 1997.11. Ibid. 9.

Page 10: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

199tosolini: «questo dolcissimo, questo terribile paolo»

articola utilizzando la copula «è»). Essa resiste a qualsiasi traduzione, non è un’entità ben circoscritta o definita, non è un qualcosa di univoco o unitario. E dunque: «Che cosa non è la decostruzione? Tutto! Che cos’è la decostruzione? Nulla!»12. In questo senso, e come ben afferma Vergani,

La decostruzione non è solo una strategia di lettura dei testi, ma in senso generale po-tremmo definirla come la venuta dell’altro, come l’irruzione dell’evento che destruttura e ristruttura il contesto e genera nuovamente il senso. È l’evento, ciò che arriva, altro e improgrammabile, irriducibile all’intenzione teorica del soggetto… L’evento inaugurale è tale nella misura in cui istituisce una possibilità per l’avvenire, nella misura in cui può essere ripetuto. E l’evento ripetuto è alterato e genera una nuova promessa di senso per il futuro. La singolarità si pluralizza. E tutto ciò che resta in questa genesi del senso non che è la promessa e la memoria, senza mai arresto nel presente-presenza13.

All’origine non vi sarebbe quindi alcun fondamento stabile o immutabile; nessun Essere o Nulla, nessun «primo motore» immobile che sia causa e fonte di ogni cosa — oltre che nessuna auto-identità del soggetto completamente trasparente a se stesso. All’origine vi sarebbe bensì solo e soltanto il segno. O, meglio ancora, quella «traccia» che si cancella nel momento stesso della sua iscrizione, che indica senza mai mostrare esibendo così, per usare una felice espressione di Levinas, un passato che non è mai stato presente. In principio troviamo quindi non l’identità, ma la differenza; non l’univocità ma la pluralità; non la necessità ma la possibilità; non la coscienza ma l’inconscio; non il presente ma ciò che è stato — e, soprattutto, ciò che verrà.

Questa opera di decostruzione, questo lavoro interminabile che tenta di mettere in luce le condizioni di possibilità del nostro sapere, che si propone con la sua strategia di esibire i presupposti filosofici che hanno guidato la storia della filosofia occidentale, non mira a individuare le varie coppie oppositive e istitutive al fine di selezionarne e poten-ziarne una (l’elogio della voce sulla scrittura, la predilezione della presenza sull’assenza ecc.), di sublimarle entrambe riassumendole in una sintesi superiore (come si proponeva di fare il sistema hegeliano), o ancora di operare un ingenuo sovvertimento della metafisi-ca (come intendeva fare Heidegger). Essa si propone piuttosto di rivelare e di smascherare tutti quegli aspetti nevrotici che inconsciamente o meno regolano la nostra esperienza del mondo esibendo, al contempo, l’assoluta arbitrarietà gerarchica del loro ordine14. Come

12. Ivi.13. M. Vergani, Jacques Derrida, Bruno Mondadori Editore, Milano 2000, 19–20. 14. Ciò che risulta da questo movimento decostruttivo che si iscrive e si cancella allo stesso tempo lascian-do dietro sé una traccia che non rinvia mai ad alcun presente è ciò che Derrida, mutuando il concetto dalla psicanalisi freudiana, chiama «architraccia». Freud infatti era convinto che nell’inconscio rimanessero delle

Page 11: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)200

afferma lo stesso Derrida,

Quanto oggi cerco di portare avanti… è nello stesso tempo una «economia generale» e una sorta di strategia generale della decostruzione. Questa dovrebbe evitare di neutraliz-zare semplicemente le opposizioni binarie della metafisica e insieme rimanere, sempli-cemente, confermandolo, entro il campo chiuso di quelle opposizioni… Bisogna cioè… attraversare una fase di rovesciamento. Insisto sempre molto sulla necessità di questa fase di rovesciamento… Riconoscere una tale necessità significa riconoscere che, in un’oppo-sizione filosofica classica, non ci imbattiamo mai nella coesistenza pacifica di un vis-à-vis, bensì in una gerarchia violenta. Uno dei due termini comanda l’altro (assiologicamente, logicamente, ecc.) e sta più in alto di lui. Decostruire l’opposizione equivale allora, anzi-tutto, a rovesciare in un determinato momento la gerarchia15.

Il risultato di un simile rovesciamento e sovvertimento della priorità assegnata a un aspetto della coppia binaria non si propone perciò di rimpiazzare un termine con un al-tro, non riuscendo così ad evitare la logica del sistema che le ha prodotte, quanto piuttosto di interpretare quelle coppie oppositive che sembrano fisse, immutabili e senza storia, come esse stesse prodotto di un’alterità e di un rimando inconoscibile che precede la loro lotta dialettica aprendole ad una rete infinita di rinvii, di invii, di destinazioni.

A questo riguardo, Derrida introduce anche il concetto di «disseminazione», un vocabolo questo particolarmente adatto a indicare quella dispersione del senso, quell’ab-bandono del significato univoco che emerge dalla scrittura in quanto essa è caratterizzata dall’assenza del referente, dell’emittente e del destinatario16. Associata ad altre tecniche applicate al lavoro testuale (come l’intaccare, il supplementare, il marcare, lo scartare…), la disseminazione non permette di risalire ad alcun principio ordinatore, non consente di affidarsi ad alcun punto di riferimento o fondamento nel quale rinchiudere il significato del testo17. La disseminazione, così come la decostruzione, contesta quindi in maniera

tracce di vissuti che non sono mai stati veramente presenti: «Il testo non è pensabile nella forma, originaria o modificata, della presenza. Il testo inconscio è già intessuto di tracce pure, di differenze in cui si uniscono il senso e la forza, testo che non è presente in nessun posto, costituito da archivi che sono già da sempre delle trascrizioni. Tutto comincia con la riproduzione. Già da sempre, cioè, depositi di un senso che non è mai stato presente, il cui presente significato è sempre ricostruito a posteriori… Che il presente in generale non sia originario ma ricostruito, che non sia la forma assoluta pienamente viva e costituente dell’esperienza, che non ci sia una purezza del presente vivente, è questo il tema formidabile per la storia della metafisica» in J. Derrida, «Freud e la scena della scrittura» in La scrittura e la differenza, op. cit., 273–74. Corsivo nell’originale.15. J. Derrida, Posizioni. Trad. G. Sertoli. Bertani Editore, Verona 1975, 76.16. J. Derrida, La disseminazione. A cura di S. Petrosino. Jaca Book, Milano 1989.17. Ciò non significa il senso di un testo sia lasciato interamente in balia di qualsiasi interpretazione il lettore gli voglia dare. Al contrario, Derrida insiste sulla necessità una doppia lettura del testo: da una parte è necessario salvaguardare il requisito ermeneutico che intende mettere in luce le intenzioni dell’autore pro-teggendo così lo scritto dal rischio di letture soggettive e parziali; dall’altra si deve rifiutare l’idea che esista un significato precostituito dietro il testo che attenda solo di essere decodificato. Il significato, al contrario, è

Page 12: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

201tosolini: «questo dolcissimo, questo terribile paolo»

decisiva uno degli assunti più cari alla razionalità metafisica, cioè quello dell’identifica-zione, dell’identità, del desiderio di definire ogni cosa rimuovendo ogni alterità che le si opponga. Anche la disseminazione è infatti un «indecidibile»: essa «non vuol dire niente e non si può racchiudere in una definizione… Se non si può riassumere la disseminazione, la dif-ferenza seminale, nel suo tenore concettuale, è perché la forza e la forma del suo di-rompimento crepano l’orizzonte semantico»18.

Ora, se la verità non è «descritta» dal testo ma è «iscritta» tra le sue righe e i suoi spazi, se l’essere non si pavoneggia nel «detto» ma si nasconde nel «non detto» del testo scritto di cui il testo è la traccia, a che cosa conduce questo infinito lavorio della deco-struzione e della disseminazione? Secondo l’attenta analisi di M. Ferraris, ciò che emerge dopo la decostruzione non sono tesi o argomentazioni ben definite, non è una teoria o un teorema privi di contraddizioni o incoerenze, quanto piuttosto tre concetti-limite, tre «indecidibili» che potrebbero essere riassunti nelle nozioni di aporia, di antinomia e di assoluto19. L’aporia, come risulta dalla dialettica socratica, si produce nel momento stesso in cui l’indagine a cui si sottopone un argomento o un concetto (come quello di tempo, di presenza, di identità…) non perviene ad alcuna soluzione certa evidenziando così non solo i limiti, i pregiudizi e i presupposti storici di quanto si è preso in esame, ma anche un certo offuscamento etico, dato che ogni scelta pratico-morale, proprio in quanto cir-coscrive una sfera di responsabilità, stabilisce anche, e al tempo stesso, un margine di irresponsabilità20. Le antinomie, come Kant ha ampiamente evidenziato, hanno invece luogo quando esiste una contraddizione fra due proposizioni filosofiche che però sono

sempre un prodotto di differenze, avviene sempre nel tempo, non si rifà mai ad alcuna origine o fondamen-to. Quando perciò Derrida afferma che «non esiste nulla fuori del testo» («il n’y a pas de hors-texte», «Non c’è fuori-testo» in J. Derrida, Della grammatologia, a cura di G. Dalmasso, Jaka Book, Milano 1998, 219) non sta sostenendo la tesi che esista solo il linguaggio, o che le parole rimandano solo a se stesse (accusa questa che gli era stata mossa da John Searle, secondo il quale per Derrida tutto ciò che esiste, esiste solo nella misura in cui se ne parla o se ne scrive, cfr. J. R. Searle, La costruzione della realtà sociale. Trad. A. Bosco, Edizioni Comunità, Milano 1996, 70–91 e 205–13). Derrida sta invece affermando che non esiste alcuna verità, oltre che nessuna condizione di vita reale, che non sia costituita da una catena di rinvii differenziali, dal rimando delle tracce. Come affermerà successivamente: «Volevo ricordare che il concetto di testo che propongo non si limita né alla grafia, né al libro, e neppure al discorso, ancor meno alla sfera semantica, rappresentativa, simbolica, ideale o ideologica. Ciò che chiamo “testo” implica tutte le strutture cosiddette “reali”, “economi-che”, “storiche”, socio-istituzionali, in breve tutti i referenti possibili. Altro modo di ricordare una volta di più che non c’è fuori testo. Cosa che non vuol dire che tutti i referenti sono sospesi, negati o rinchiusi dentro un libro, come si finge o come si ha spesso l’ingenuità di credere e di accusarmi. Ma piuttosto che ogni refe-rente, ogni realtà ha la struttura di una traccia differenziale, e che ci si può rapportare a questo reale solo in un’esperienza interpretativa. Questa dà o prende senso solo in un movimento di rinvio differenziale. That’s all» in J. Derrida, Limited Inc. Trad. N. Perullo. Raffaello Cortina, Milano 1997, 273.18. J. Derrida, Posizioni, op. cit., 79.19. M. Ferraris, Introduzione a Derrida, op. cit., 83–6.20. J. Derrida, Aporie. Trad. G. Berto. Bompiani, Milano 1999.

Page 13: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)202

ugualmente dimostrabili e valide. Questa contraddizione, per essere risolta, necessita di uno spostamento del problema in un contesto più ampio mediante l’utilizzo di un para-metro di riferimento più comprensivo in cui le contrapposizioni che tentano di escluder-si o eliminarsi a vicenda, diventino in qualche maniera complementari. L’assoluto a cui giunge Derrida attraverso la decostruzione non coincide, ovviamente, con quell’assoluto hegeliano in cui gli opposti si rappacificano in una sintesi superiore, ma è al contrario un assoluto in cui la sintesi rappresenta l’inizio del percorso di differenziazione aprendosi all’imprevedibile e all’incalcolabile, una sintesi, quindi, che sfocia in apertura che è sem-pre attenta all’altro, a quel «tu» che può solo essere lasciato venire senza in alcun modo identificarlo in anticipo, e affermare chi egli sia o chi debba essere21.

Il risultato più compiuto a cui giunge questo infinito processo di decostruzione, questo interminabile movimento che scuote alle fondamenta la determinazione dell’esse-re come presenza non è altro che la différance, la «differenza». Termine che si pronuncia allo stesso modo di différence, ma che è scritto volutamente con la «a» invece che con la corretta «e», esso allude ad un doppio significato. Da un punto di vista sincronico, indica non soltanto il fatto che due cose siano dissimili o diverse tra loro, ma anche il gioco delle differenze linguistiche, cioè l’arbitrarietà e il carattere differenziale dei segni mediante i quali si genera l’identità di un significato22. Dal punto di vista diacronico, invece, la dif-férance segnala il differire, cioè il temporeggiamento, l’atto di rinviare o di ritardare il compimento del senso in un tempo altro o assente, e quindi di sorprendere, sfasandolo, il movimento della significazione in cui ogni elemento è presente (o «appare sulla scena della presenza») a se stesso. La différance non è quindi né una parola né un concetto, non si concede mai a qualcuno, non è un’essenza al di sopra di altre essenze, e non riporta ad

21. Tutte queste nozioni si articoleranno nelle tematiche più recenti elaborate da Derrida, tra cui l’apertura messianica (cfr. ad esempio J. Derrida, «Di un tono apocalittico adottato di recente in filosofia» in Di-segno. La giustizia nel discorso, a cura di G. Dalmasso, Jaca Book, Milano 1984, 107–43); la politica dell’ospitalità (J. Derrida, A. Dufourmantelle, Sull’ospitalità. Trad. I. Landolfi, Milano, Baldini & Castoldi, 2000); le idee sull’amicizia (J. Derrida, Politiche dell’amicizia. Trad. G. Chiurazzi. Cortina Raffaello, Milano 1995); la te-oria sulla «democrazia a-venire» (J. Derrida, Stati canaglia, a cura di L. Odello, Cortina Raffaello, Milano 2003); la concezione riguardante il dono (J. Derrida, Donare il tempo. La moneta falsa. Trad. G. Berto. Cor-tina Raffaello, Milano 1996).22. Derrida stesso afferma di aver mutuato questa idea da De Sausurre, secondo il quale «nella lingua non vi sono se non differenze. Di più: una differenza suppone in generale dei termini positivi tra i quali essa si stabi-lisce; ma nella lingua non vi sono che differenze senza termini positivi» citato in J. Derrida, «La “différance”» in Margini della filosofia, a cura di M. Iofrida, Giulio Einaudi Editore, Torino 1997, 38. Corsivo nell’originale. È noto, a questo riguardo, l’esempio offerto da De Sausurre circa la lettera «t» che può essere scritta da una persona in svariati modi, tutti diversi, anche se l’importante è che questo segno non si confonda (e quindi si differenzi) dalle altre lettere (come la «l», la «d» ecc.), cfr. F. De Sausurre, Corso di linguistica generale. Trad. T. De Mauro. Laterza, Bari 2005, 145.

Page 14: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

203tosolini: «questo dolcissimo, questo terribile paolo»

una unità originaria quanto ha differito. In altre parole,

La différance non è. Essa non è un essente-presente per quanto eccellente, unico, dotato del rango di principio o trascendente lo si possa desiderare. Essa non comanda nulla, non regna su nulla e non esercita da nessuna parte alcuna autorità. Essa non si annuncia con nessuna lettera maiuscola. Non solo non c’è un regno della différance, ma essa fomenta la sovversione di ogni regno23.

Proprio per questo, continua Derrida,

Non ci sarà nome unico, foss’anche il nome dell’essere. E bisogna pensare ciò senza no-stalgia, cioè fuori dal mito della lingua puramente materna o puramente paterna, della patria perduta del pensiero. Bisogna al contrario affermare ciò, nel senso in cui Nietzsche mette in gioco l’affermazione, con un certo riso e con un certo passo di danza24.

La différance è quindi anteriore non solo alla verità dell’essere ma anche a quella onto-te-ologia il cui desiderio è quello di ricondurre ogni cosa a unità, a quella sicurezza dell’o-rigine che rappacifica e rassicura — compiendo ed eliminando — ogni differenza25. Tra decostruzione e différance si instaura perciò una certa circolarità, un movimento in cui «La decostruzione porta in luce la differenza che sta al cuore dell’essere ma, a sua volta, la differenza fluidifica tutto ciò che è stabile»26.

La différance, in quanto non-presenza non rimanda perciò solo al passato ma, come la traccia, è anche condizione per un a-venire da chiamare (Viens!), per un futuro da saper accogliere, per un «messianico senza messianismo» (e senza Messia) che non si con-cretizza mai in una figura particolare ma che rimanda sempre e di nuovo ad un altro, all’apertura radicale e assoluta nei confronti dell’alterità, e quindi al posto che si deve lasciare all’altro affinché egli possa venire — se viene27. Questo spazio filosofico, oltre che

23. J. Derrida, «La “différance”», op. cit., 50.24. Ibid., 57.25. Per questa ragione la différance non può in nessun modo essere confusa o identificata con Dio: «Questo innominabile non è un essere ineffabile a cui nessun nome potrebbe accostarsi: Dio, per esempio. Questo innominabile è il gioco che fa sì che vi siano degli effetti nominali, delle strutture relativamente unitarie o atomiche che si chiamano nomi» in J. Derrida, «La “différance”», op. cit., 56. Per Derrida, inoltre, la dif-férance non rimanda ad alcuna teologia negativa perché secondo quest’ultima la purezza dell’Uno o del Bene di platonica memoria possono essere accostate solo attraverso un’ascesa che si sbarazzi del tempo, delle parole, di ogni cambiamento e differenza culminando così in una unione mistica con il divino, in un incon-tro immediato con Dio. In questo senso la teologia negativa non inaugurerebbe alcuna fine della metafisica, ma ne rappresenterebbe invece l’apoteosi in quanto consacrerebbe la supremazia dell’Uno, o dell’Essere, su ogni cosa, e quindi anche su ogni differenza.26. M. Ferraris, Introduzione a Derrida, op. cit., 87.27. Sul concetto di messianico senza Messia, cioè sul continuo differimento della parrusia che mette co-stantemente in questione la possibilità della riduzione dell’essere a presenza, si veda anche l’illuminante

Page 15: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)204

religioso, inaugurato dall’irriducibilità di una promessa, da uno sfondo indeterminato e incondizionato, diventa persino incompatibile con il concetto di pre-comprensione e di orizzonte, cioè di ciò che in qualche maniera già delimiterebbe e anticiperebbe (e quindi annullerebbe) l’evento28. A questo riguardo, Derrida si chiede se tra il messianismo di provenienza storico-religiosa e quello che si iscrive invece nella struttura stessa dell’espe-rienza umana (cioè di quella esperienza determinata dalla temporalità, dall’attesa, dalla speranza, ecc.) non sussista la stessa differenza evidenziata da Heidegger tra il concetto di «rivelabilità» (Offenbarkeit) — inteso come condizione di possibilità di ogni rivelazione determinata — e quello di «rivelazione» (Offenbarung) — che esprime e incarna un’istan-za particolare della rivelabilità29. Qui in gioco, secondo Derrida, non ci sarebbe soltanto la possibilità di una rilettura della struttura del divino che caratterizza l’esperienza cristiana o ebraica per evidenziarne le basi pre-religiose o addirittura a-religiose (in questo senso, il discorso sull’essenza e sulla divinità del divino precederebbe ogni teologia, cioè ogni discorso su Dio o sulla fede), quanto piuttosto il fatto che la rivelabilità preceda l’effettiva concretizzazione della rivelazione e che quindi sia la «possibilità» (cioè la messianicità come struttura che permette i vari messianismi) che preceda l’«evento» (questo o quel messianismo singolo e determinato), e non il contrario.

Certo, Derrida è consapevole del fatto che molti teologi ebrei e cristiani si oppor-rebbero a questa sua idea introducendo la semplice constatazione che è proprio perché c’è stato (o verrà) un Messia (e quindi un evento o un messianismo unico e irriducibile),

aforisma di M. Blanchot: «Se il Messia è alle porte di Roma tra i mendicanti e i lebbrosi, si potrebbe supporre che il suo incognito lo protegga o ne impedisca la venuta, ma viene invece riconosciuto: qualcuno sospinto dall’ossessione dell’interrogazione, gli chiede: “Quando verrai?”. Il fatto di esserci non è quindi la venuta. Vicino al Messia che è lì, deve dunque risuonare sempre l’appello: “Vieni, vieni”. La sua presenza non è una garanzia. Futura o passata (almeno una volta, infatti, si afferma che il Messia è già venuto), la sua venuta non corrisponde a una presenza» in M. Blanchot, La scrittura del disastro. Trad. F. Sossi. se, Milano 1990, 161. Corsivo nell’orginale. Sulla tematica riguardante il messianico in Derrida, si veda C. Di Martino, «Jacques Derrida. Il messianico e l’altra politica» in P. D’Alessandro e A. Potestio, eds, Jacques Derrida. Scrittura filosofica e pratica di decostruzione, led Edizioni Universitarie, Milano 2008, 209–30.28. Sul fatto che sia la ragione sia la fede condividano una provenienza simile, si veda J. Derrida, «Fede e sapere. Le due fonti della “religione” ai limiti della semplice ragione». Trad. A. Arbo. In aavv, La Religione. Annuario Filosofico Europeo, a cura di J. Derrida e G. Vattimo, Laterza, Roma-Bari 1995. A questa prove-nienza Derrida da un duplice nome: quello di chora (termine che Derrida muta dal Timeo di Platone e che, in quanto si sottrae a qualunque determinazione, indica un luogo, una matrice o un ricettacolo ignoto che ci interroga sulla possibilità stessa di nominare qualche cosa — a questo proposito, si veda J. Derrida, Il se-greto del nome. Trad. F. Garritano. Jaka Book, Milano 1997, 50–4) e quello di messianico. Un terzo concetto sviluppato da Derrida in questo articolo è quello di autoimmunità, un concetto mutuato dalla biologia che sta ad indicare il fatto che, al contrario dell’immunità che previene e blocca tutto ciò che non è assimilabile dal proprio organismo al fine di non vedersi alterare o minacciare da ciò che proviene dall’esterno, l’au-toimmunità indica invece l’esposizione all’altro, a colui che viene, all’evento, e che perciò resta incalcolabile, imprevedibile e inaspettato.29. M. Heidegger, Che cos’è la metafisica?, a cura di F. Volpi, Milano Adelphi 2001.

Page 16: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

205tosolini: «questo dolcissimo, questo terribile paolo»

che è possibile inaugurare un discorso sulla messianicità in generale. Tuttavia Derrida, malgrado dichiari di essere indeciso circa la scelta se «prima» vi sia la possibilità e solo «in seguito» abbia luogo l’evento, e tentativamente auspichi una riconciliazione tra queste due logiche, sembra però propendere a favore dell’ordine della rivelabilità a scapito di quello della rivelazione. Infatti, per il filosofo franco-algerino, è solo la rivelabilità, questa strut-tura universale dell’esperienza umana e a-confessionale che può sfuggire ad ogni dogma-tismo metafisico-religioso — e quindi anche ad ogni linguisticità, appartenenza storica, tradizione e figura messianica determinata — per approdare ad una universalizzazione di una messianicità astratta, pura e incondizionata30. E questo proprio perché, come os-serva Derrida, «appartiene alla struttura della nostra esistenza, della nostra esperienza, l’esser esposti all’arrivo imprevedibile — cioè: “forse” — dell’arrivante, dell’evento, senza anticipazione, senza programma, senza calcolabilità»31. Di più, per Derrida è solo questa messianicità o questa universalizzazione dell’esperienza, che rende possibile un incontro inaspettato e non-tematizzabile con l’altro, garantendo così un’ospitalità, una tolleranza e una giustizia assolute. E cioè un’ospitalità come infinita apertura «all’altro assoluto, sco-nosciuto, anonimo e che gli dia luogo, lo lasci venire, che lo lasci avvenire e aver luogo nel luogo che gli offro, senza chiedergli né reciprocità (assumere doveri per avere dei diritti), né il nome»32; una tolleranza che superi qualsiasi confine, credo e ideologia rispettan-do così «la distanza dell’alterità infinita come singolarità»33; una giustizia che permetta quell’apertura all’altro (e al suo avvenire) priva di limiti e condizioni e che, a differenza del diritto, instauri una relazione con l’altro lasciandolo essere in quanto «altro»34.

La seconda parte dell’articolo verrà pubblicata sul prossimo numero dei Quaderni del CSA

30. Questa tipo messianicità pura e astratta, quasi desertica, può accadere solo mediante un abbando-no o una liberazione dalle figure religiose e messianiche tradizionali: «Questa dimensione messianica non dipende da alcun messianismo, non segue alcuna rivelazione determinata, non è la prerogativa di alcuna religione abramica (anche se qui devo continuare… a darle i nomi segnati dalle religioni abramiche)», in J. Derrida, «Fede e sapere. Le due fonti della “religione” ai limiti della semplice ragione», op. cit., 19–20.31. J. Derrida, «Dialogo con J. Derrida» in Annuario 1999–2000, a cura di M. Bonazzi e R. Terzi, cuem, Milano 2002, 162–63.32. J. Derrida, Sull’ospitalità, op. cit., 53. Corsivo nell’originale.33. J. Derrida, «Fede e sapere. Le due fonti della “religione” ai limiti della semplice ragione», op. cit., 25.34. «La giustizia resta a venire, essa deve venire, è a-venire, essa dispiega la dimensione stessa di eventi irri-ducibilmente a venire. Essa avrà sempre questo a-venire e l’avrà sempre avuto. Forse è per questo che la giu-stizia, in quanto non è semplicemente un concetto giuridico o politico, apre all’avvenire la trasformazione, il rimaneggiamento o la rifondazione del diritto e della politica» in J. Derrida, Forza di legge. Il «fondamento mistico dell’autorità». Trad. A. Di Natale. Bollati Boringhieri, Torino 2003, 82–3.

Page 17: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Religioni e missione

Un libro suggestivo e suggerenteG. Agamben, Altissima povertà.

Regole monastiche e forme di vita Franco Benigni

Le pulizie di CapodannoSilvano Da Roit

Page 18: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Un libro suggestivo e suggerenteG. Agamben, Altissima Povertà. Regole monastiche e forme di vita

Franco Benigni

È difficile sintetizzare in poche pagine il libro del Professor Agamben Altissima Pover-tà. Regole monastiche e forme di vita, (primo libro della quarta parte della tetralogia

Homo Sacer), senza fare ingiustizia a tutta la ricchezza di un testo così elegante, profon-do, sottile e chiaro, che con le sue filigrane letterarie ci permette di percepire l’atmosfera silenziosa dei «claustri solitari», il lento trascorrere delle ore, scandite dalla preghiera del Divinum Officium, l’Opus Dei, che scandisce il tempo e trasforma la vita in liturgia.

È difficile riassumerlo senza fare ingiustizia alle pagine che ci presentano i bizan-tinismi delle querelles tra la curia pontificia e i Francescani, i quali ottengono l’approva-zione del santo papa-monaco Pietro da Morrone, ma che attaccano il fiero Bonifacio viii e condannano come eretico Giovanni, xxii di questo nome, e che quindi devono fuggire nottetempo calandosi dalle mura della città di Lyon, in una rocambolesca fuga, degna dei migliori romanzi d’avventura… Come riassumere un testo che studia la letteratura, la teologia, la storia monastica, ma che in se stesso è letteratura e storia e filosofia? Sarebbe come «riassumere» un quadro o un’opera architettonica…

Infatti l’opera letteraria di Agamben, che studia la letteratura monastica, è piuttosto una mise en abîme, è come mettersi tra due specchi che riflettono l’immagine all’infinito. Mi si perdoni dunque ciò che ometterò, anche se cercherò di fare in modo che, ciò che qui presento, inviti alla lettura di un’opera assai interessante da vari punti di vista. Il libro è di profonda erudizione e studia i testi di storia della vita religiosa antica e medioevale, dal secolo iv al xiii, sotto l’aspetto letterario e storico, prescindendo dalla fede cristiana come criterio ermeneutico, per trovare in essi uno o più paradigmi di vita, utili, od anche utopicamente necessari, per la sopravvivenza della nostra società.

Giorgio Agamben, nato a Roma nel 1942, docente, relativamente ai tempi, in va-rie università italiane e straniere, ha trovato nell’esperienza storica del Francescanesimo, stando a ciò che egli scrive, ciò che gli interessa studiare, e cioè: nella prima parte del libro l’esempio di un tipo di vita che si stabilisce come legge; nella seconda parte quello di una vita et regula che si fa liturgia; nella terza parte l’esempio di una vita che usa i beni mate-riali senza possedere i beni che usa. Ma soprattutto senza distruggerli, e perciò anticonsu-

Quaderni del CSA 14/4: 209–219 2019 Centro Studi Asiatico

Page 19: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)210

mista. Procederò, appunto, esponendo il libro secondo questa suddivisione.

I Parte: Un tipo di vita che si stabilisce come legge

Oggetto del libro nella prima parte, ci dice l’Autore nella Prefazione, è la ricerca di una vita che si identifichi con la sua forma, cioè una vita che si costituisca come regola, al pun-to che vita e regola risultino identificate. Infatti, la Regula Patrum, fa notare l’Autore, por-ta al suo inizio la dicitura Vita vel regla, e la Regula non bullata di Francesco d’Assisi dice «…regula et vita…», dunque «vita e regola», ma anche «la vita, cioè la regola»1. L’Autore inizia cercando la «formalità» della vita monastica, diremmo la causa formalis della vita religiosa e la individua nella regola monastica. Ciò gli permette di dire che, in tal modo, si dà una «riformulazione radicale della stessa concettualità che articolava fino a quel momento la relazione tra l’azione umana e la norma, la “vita” e la “regola” senza la quale la razionalità politica ed etico-giuridica della modernità non sarebbe pensabile» (i,1.1)2.

La Regola implica una abitazione comune, un vestito uguale per tutti e abitudini comuni a tutti. A questo proposito, vale la pena ricordare qui uno dei molti «gioielli» storico-letterari che rendono il libro assai ameno. Si tratta di quando l’Autore fa riferi-mento all’abito ecclesiastico, inteso come linguaggio gerarchico o, in altre parole, come uniforme.

Agamben (in i,1,17), cita una lettera di Celestino i3, del 428, ai vescovi delle Gallie. Il papa ricorda loro che «dobbiamo distinguerci dalla gente doctrina, non veste; conversatio-ne, non habitu; mentis puritate, non cultu»4, (Più tardi, nella chiesa carolingia, si imporrà l’abito ecclesiastico e le vesti liturgiche soffriranno uno sviluppo complicato, che porterà alla simbolizzazione degli abiti). All’Autore qui interessa mostrare come l’abito monastico giunge ad essere parte della vita dei monaci. Altro particolare storico interessante è il rife-rimento che viene fatto nel libro agli horologia, gli orologi ad acqua o di sabbia, usati dai cenobiti per scandire il tempo e poter così celebrare, con una puntualità comune a tutti, le ore canoniche; così pure ci viene presentato lo schema lectio, meditatio, oratio, masticatio,

1. In effetti, il significato del termine latino vel, non è tanto «e» quanto piuttosto «cioè».2. G. Agamben, Altissima povertà. Regole monastiche e forme di vita (Neri Pozza, Vicenza, 2011), 14–5.3. p.l. 50,431 Ad Episcopos provinciae Viennensis et Narbonensis. Veramente il testo dice Celestino V, ma è un lapalissiano errore di stampa. 4. In effetti, lo studioso di storia della liturgia, Mario Righetti, ci informa che i vescovi, interpretando a loro modo il versetto del Vangelo «siano i vostri fianchi cinti…”, avevano cominciato ad usare un cinturone a vista e una specie di mantello o cappa al modo dei monaci. Cfr. M. Righetti, Historia de la Liturgia, 2 tomos (bac, Barcelona, 2011, vol. i), 968. Contrapposto a mentis puritate, qui cultu io credo che si dovrebbe tradurre con lusso. Ogni traduzione in italiano è di chi scrive, a meno che non si indichi il contrario.

Page 20: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

211benigni: un libro suggestivo e suggerente

contemplatio, definito da san Bernardo nella Scala claustralis. Per l’Autore è importante notare come la regola non si riferisce tanto ad atti o momenti singoli, quanto piuttosto all’intera esistenza in quanto forma vivendi.

A questo punto del libro, cioè verso la fine della i parte, Agamben riflette sul rap-porto tra diritto e vita, intesa come bíos, cioè la vita politica, la forma o il modo di vivere propri di un individuo o di un gruppo.

Un esame del testo delle regole mostra che esse presentano rispetto alla sfera del diritto un atteggiamento quanto meno contraddittorio. Da una parte, infatti, esse non soltanto enunciano con fermezza veri e propri precetti di comportamento, ma contengono anche spesso un elenco dettagliato delle pene in cui incorrono i monaci che li trasgrediscono; dall’altra, esse invitano con altrettanta insistenza i monaci a non considerare le regole come un dispositivo legale. «Che il Signore vi conceda» recita la conclusione della regola di Agostino «di osservare tutto ciò con gioia… non come servi sotto la legge, ma come costituiti in libertà sotto la grazia (ut observetis haec omnia cum dilectione… non sicut servi sub lege, sed sicut liberi sub gratia costituti)» (Regula ad servos Dei, pl, 32, 1377). A un monaco che gli chiede come debba comportarsi con i discepoli, Palamon, il leggen-dario maestro di Pacomio, risponde: «Sii per essi un esempio (typos) e non un legislatore (nomothetes)» (Apophtegmata patrum, pg, 65, 563). Nello stesso senso, Mar Abraham, al momento di esporre la regola del suo monastero, ricorda che non bisogna considerarsi «legislatori, né per noi stessi né per gli altri» (non enim legislatores sumus, neque nobis neque aliis…) (i.2.2)5.

Al termine di i.2.9 l’Autore giunge alla conclusione della sua dimostrazione storica a pro-posito della relazione tra regola e legge, ed afferma che «la stessa forma vivendi cristiana — che è quanto la regola ha in vista — non può esaurirsi nell’osservanza di un precetto, non può avere natura legale»6.

Il monaco fugge dal mondo, dice Agamben, e costituisce una comunità, un koinós bíos, cioè un cenobio che i voti religiosi mantengono unito. Ebbene, accade nel cenobio «una trasformazione del canone stesso della prassi umana, che è stata così determinante per l’etica e la politica delle società occidentali, che forse ancora oggi non riusciamo ad afferrarne pienamente la natura e le implicazioni»7. Tuttavia sarà solo con i Francescani che la vita determinerà la norma, come regola di vita; la vita, quindi, detta la norma, e non la norma prescrive il modo di vivere. Succede così che le esperienze e i fenomeni della vita monastica offrono paradigmi che si possono considerare politici. È questo il caso esemplare di un pactum che un documento di poco anteriore al 670, ci fa conoscere, a proposito dell’accordo che si stringe tra dei monaci e il loro abate, e che ricorda la Magna

5. G. Agamben, Altissima povertà, op. cit., 42–3.6. Ibid., 63.7. Ibid., 78.

Page 21: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)212

Charta inglese del 1215. È riportato nella parte finale della regola di san Fruttuoso di Bra-ga; questo pactum «costituisce forse il primo e unico esempio di un contratto sociale, in cui un gruppo di uomini si sottopone incondizionatamente all’autorità di un Dominus, attribuendogli il potere di dirigere in tutti i suoi aspetti la vita della comunità che viene così fondata». Tuttavia «all’ obbligo di soggezione dei monaci corrisponde qui l’obbligo di governare con giustizia da parte dell’abate»8, altrimenti i monaci chiameranno in aiuto altri monasteri, o il vescovo, o un conte cattolico difensore della Chiesa, che obblighi l’a-bate a compiere con quanto si è impegnato.

Il libro studia, nella prima parte, la dialettica esistente tra regola e vita e stabilisce l’esistenza di una soglia di indistinzione tra l’una e l’altra.

II Parte: Una vita et regula che si fa liturgia

Il tema della Regula vitae è centrale nella seconda parte. L’Autore stabilisce, anche qui attraverso una sottile analisi, che si tratta di un genitivo soggettivo, cioè è la regola che appartiene alla vita e non viceversa (ii,1,2)9.

O meglio, come dice più avanti, la regula vitae è quella attraverso della quale si vive, cioè regula vivificans, come la definirà il francescano Angelo Clareno. È dunque la forma di vita del monaco quella che crea le regole. Tuttavia — afferma l’Autore — «regole e vita entrano qui in una zona di indifferenza, in cui, nel venir meno della stessa possibilità di distinguerle, esse lasciano apparire un terzo, che i francescani, pur senza riuscire a defi-nirlo con precisione, chiameranno, come vedremo, “uso”»10.

In questa seconda parte, il libro tocca anche la relazione tra oralità e scrittura, sem-pre con riferimento alla regula. Questa suppone che la scrittura preceda l’oralità, tuttavia i monaci raccomandavano sempre la meditatio, cioè la recitazione a memoria del testo della regola. In tal modo, conclude l’Autore, «lectio e meditatio appartengono costitutiva-mente alla regola e ne definiscono lo statuto» (ii,2.3)11.

In questa seconda parte il filosofo tocca un tema cruciale per il monachesimo, nel contesto della sua esistenza ecclesiale, quello della liturgia. «La Chiesa — afferma — ave-va estratto dalla vita una liturgia, questa si era costituita, però, in una sfera separata, il cui titolare era il sacerdote, che impersonava il sacerdozio di Cristo». Orbene, continua,

8. Ibid., 69–71.9. Ibid., 89.10. Ibid., 92.11. Ibid., 99.

Page 22: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

213benigni: un libro suggestivo e suggerente

«i monaci cancellano la separazione e, facendo della forma di vita una liturgia e della liturgia una forma di vita, istituiscono fra le due una soglia di indiscernibilità carica di tensioni» (ii,3,3)12.

Secondo l’Autore, il monachesimo si pone, con la recita dell’Officio, come liturgia alternativa alla liturgia eucaristica, minimizzandola (ii,3,3 n. alef)13. I monaci quindi, e questo sarebbe il motivo, forse il principale, del conflitto con la chiesa dei movimenti pau-peristi dei secoli xi e xii che tenterebbero di disautorizzare l’azione liturgica eucaristica del sacerdote, vincolando l’efficacia del sacramento con la sua realizzazione attraverso la santità di vita del monaco. Per questo l’Autore scrive nella prefazione: «La grande tenta-zione dei monaci non è stata quella che la pittura del Quattrocento ha fissato nelle semi-nude figure femminili e nei mostri informi che assillano Antonio nel suo eremitaggio, ma la volontà di costruire la loro vita come una liturgia integrale incessante»14.

III Parte: Una vita che usa i beni materiali senza possedere i beni che usa

Il Francescanesimo è l’argomento centrale dell’ultima, intensa parte del libro Altissima povertà. La più interessante e affascinante, a mio modo di vedere. Qui il Francescanesimo è studiato secondo la prospettiva che interessa all’Autore, «come il tentativo di realizzare una vita e una prassi umane assolutamente al di fuori delle determinazioni del diritto» (iii,2.1)15. Un tentativo mai pensato — afferma l’Autore — anzi impensabile nella nostra società. L’intenzione intrinseca del Francescanesimo sarebbe, appunto, stabilire una for-ma vitae irraggiungibile dal diritto, perché ne è assolutamente superiore16. Agamben an-nota, e da qui assume significativamente il titolo il suo libro, che «Altissima paupertas è il nome che la Regola bollata17 dà a questa estraneità al diritto (Francesco i, ii, p. n 4);

12. Ibid., 106.13. Ibid., 107, nota Alef.14. Ibid., 8.15. Ibid., 137.16. Ivi.17. Qui di seguito il cap. vi della Regula Bullata [caput vi] Quod nihil approprient sibi fratres, et de elee-mosyna petenda et de fratribus infirmis. 1Fratres nihil sibi approprient nec domum nec locum nec aliquam rem. 2Et tanquam peregrini et advenae (cfr. 1Pt 2,11) in hoc saeculo in paupertate et humilitate Domino fa-mulantes vadant pro eleemosyna confidenter, 3nec oportet eos verecundari, quia Dominus pro nobis se fecit pauperem in hoc mundo (cfr. 2Cor 8,9). 4Haec est illa celsitudo altissimae paupertatis, quae vos, carissimos fratres meos, heredes et reges regni caelorum instituit, pauperes rebus fecit, virtutibus sublimavit (cfr. Jc 2,5). 5Haec sit portio vestra, quae perducit in terram viventium (cfr. Ps 141,6). 6Cui, dilectissimi fratres, totaliter inhaerentes nihil aliud pro nomine Domini nostri Jesu Christi in perpetuum sub caelo habere velitis. 7Et, ubicumque sunt et se invenerint fratres, ostendant se domesticos invicem inter se. 8Et secure manifestet unus alteri necessitatem suam, quia, si mater nutrit et diligit filium suum (cfr. 1Tess 2,7) carnalem, quanto

Page 23: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)214

tuttavia il termine tecnico che nella letteratura francescana definisce la prassi in cui essa si realizza è usus (simplex usus, usus facti, usus pauper)» (iii,ii,8)18.

A questo punto, prima di proseguire presentando-commentando questa terza par-te, vorrei anteporre una breve sintesi storica dei fatti ai quali fa riferimento il libro e dei quali si presuppone la conoscenza, per poi riprender e seguire gli sviluppi del testo «per non lasciarli più, fino alla fine». Si tratta di avvenimenti che non solo interessano la sto-ria del Francescanesimo, quanto piuttosto, per la loro rilevanza teologica, la stessa storia della Chiesa.19

Il punto attorno al quale ruotano i fatti storici, è la discussione sulla forma vivendi della povertà. Ancora in vita Francesco († 1226), era sorta tra i frati una forte polemica a proposito del modo di vivere perfettamente la Altissima paupertas, così come egli la chiama nella Regula bullata, ma ancor più dopo la sua morte. Prevalsero presto coloro che scelsero di abbandonare una effettiva povertà, attraverso interpretazioni pontificie della regola, giustificando con un fruttuoso apostolato, la loro opzione. Perciò Innocen-zo iv dichiarò (1245) che i beni mobili ed immobili che i Francescani potevano usare erano proprietà della Chiesa romana, nominando quindi procuratori attraverso i quali i Francescani potessero esercitare ogni atto giuridico. Così presto si cominciò a dire che la povertà dei frati era solo apparente.

Contemporaneamente, tra i frati dell’Ordine, verso la metà del secolo xiii, comin-ciò a circolare l’opera dell’eremita benedettino Gioacchino da Fiore, pubblicata da Gerar-do da san Donnino come Evangelium Aeternum, evangelo che doveva essere predicato dai monaci, in questo caso i Francescani, invece dell’antico evangelo. Essi erano, secondo l’abate calabrese, la nuova chiesa spirituale, destinata a sostituire quella della seconda di-spensazione della Rivelazione. La prima dispensazione, quella del padre (Antico Testa-mento) aveva dato origine al popolo della prima alleanza, la seconda, quella di Cristo, alla Chiesa, mentre la terza a quella dello Spirito Santo. E sarebbe nata una nuova Chiesa, quella definitiva. Inutile dire che lo scritto non fu ben accetto ad Alessandro iii, che lo fece bruciare nel 1256. Fortunatamente per lui, l’autore era già morto da tempo (1202). Non altrettanto fortunati, invece, furono i quattro Francescani, Spirituali contumaci, che saranno bruciati vivi dall’Inquisizione a Marsiglia il 7 maggio 1318. Nel medio evo si dava

diligentius debet quis diligere et nutrire fratrem suum spiritualem? 9Et, si quis eorum in infirmitate cecide-rit, alii fratres debent ei servire, sicut vellent sibi serviri (cfr. Mt 7,12).18. G. Agamben, Altissima povertà, op. cit., 149.19. Cfr. Erwin Iserloh, cap. xliii, en Hubert Jedin (coord.) Manual de Historia de la iglesia, 10 vols. Her-der, Barcelona, 1966, tomo iv. Cfr. también Lázaro Iriarte, o.f.m. Cap., Historia Franciscana, Editorial Asis, Valencia 1979, pp.43–118.

Page 24: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

215benigni: un libro suggestivo e suggerente

il nome di spirituale a una persona profondamente religiosa, di intensa vita interiore. Si cominciò così a chiamare spirituali quei francescani che erano rimasti fermi alla lettera della regola, contrari alle grandi case e allo studio. Perseguivano un ideale rigoroso di po-vertà, in conflitto con gli altri frati dell’Ordine e negavano alla Chiesa il diritto di mitigare la regola di Francesco. Nel 1279 Nicola iii con la costituzione Exiit qui seminat, seguendo la Quaestio de paupertate di Buonaventura da Bagnoregio, presentò una interpretazio-ne della regola alla quale tutti i frati dovevano attenersi. La costituzione distingueva tra proprietà, o diritto all’usufrutto, e semplice uso (usus moderatus); con ciò fu possibile ai Francescani mantenere i loro conventi e i loro beni. Tuttavia molti di loro non la accet-tarono. Giovanni Olivi, che sosteneva invece l’usus pauper delle cose, fu obbligato a ri-trattarsi nel capitolo generale di Montpellier (1287). Ma gli Spirituali, poveri come Cristo, continuarono ad accusare la comunità di tradire la regola. E così i conflitti continuarono.

Le cose sembrarono calmarsi quando fu eletto papa Celestino v, (29 agosto 1294–13 dicembre 1294) colui che fece per viltade il gran rifiuto20. Questo santo monaco, canoniz-zato da Clemente v nel 131321, permise agli Spirituali di separarsi dagli altri frati per vivere secondo la regola primitiva. Ma il papa «angelico» fu una meteora: durò solo cinque mesi e poi rinunciò al pontificato. Al monaco papa, undici giorni dopo la sua rinuncia, succe-de il bellicoso e ambizioso Bonifacio viii (1294–1303) che depone il generale dell’Ordine, Raimondo Gaufridi, amico degli Spirituali, ritira le esenzioni concesse da Celestino e riapre il conflitto con gli Spirituali, ma anche tra costoro e la comunità. Fra’ Ubertino da Casale qualificherà Bonifacio come «bestia apocalittica», «mistico anticristo». Alla morte di papa Gaetani, succedono due pontificati, quello di Benedetto xi (1303–1304) e quello di Clemente v (1305–1314). Durante il pontificato di quest’ultimo, la problematica dell’inter-pretazione della regola fu portata davanti al Concilio di Vienne (1311–1312), che decise in favore dell’osservanza rigorosa con la bolla Exivi de paradiso (1312).

La bolla prescriveva che i Frati erano obbligati ad un uso realmente povero (arctos usus seu pauperes). La bolla, tuttavia non diceva nulla sul ritorno degli Spirituali ai primi-tivi conventi. Il 7 agosto 1316 viene eletto ad Avignon, Jacques Duèse che prende il nome di Giovanni xxii († 1334). Con questo pontefice lo scontro raggiunge l’acme. Egli dichia-ra eretica, con la bolla Cum inter nonnullus 1323, la proposizione sostenuta dall’Ordine, (affermata nel capitolo generale di Perugia, 1322) che né Cristo, né gli apostoli avevano mai posseduto nulla né in comune né privatamente. Tutto l’Ordine si sollevò. Perfino

20. Dante, Inferno, iii, 6021. Cfr. l’articolo sull’Osservatore Romano, del 23 ottobre 2018 dal titolo A divenire santo fu Pietro non Cele-stino. <http://www.osservatoreromano.va/it/news/la-tormentata-storia-di-una-canonizzazione>.

Page 25: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)216

frati come Michele da Cesena e Bonagrazia da Bergamo, che prima avevano avversato gli Spirituali, si ritrovarono contro il papa. Molti Francescani dichiararono il papa eretico; di questo, sia detto en passant, ne approfittò Ludovico il Bavaro, del quale il papa non aveva riconosciuto l’elezione a Imperatore. Questi, alleatosi agli Spirituali, diede loro rifugio e aiuto. Finalmente, con il capitolo generale di Lyon della Pentecoste del 1325, sotto il gene-ralato di Michele da Cesena, i Francescani accettarono gli editti papali. Tuttavia Giovanni xxii, non sicuro dei frati, convocò nel 1327, Michele da Cesena e Bonagrazia da Bergamo ad Avignon, dove li trattenne perché non docili alla volontà del papa. Avendo questi loro permesso di partecipare al capitolo generale a Lyon, nottetempo, essi fuggirono calandosi dalle mura insieme a Guglielmo di Ockham, che avrebbe dovuto rispondere al papa di certe sue dottrine filosofico-teologiche.

«Finalmente nuovi casi, più generali, più forti, più estremi, arrivarono anche fino a loro…», direbbe il Manzoni; seguirono infatti altre vicende che coinvolsero tutta Europa, come la guerra dei Cent’anni (1333–1454) e la peste nera (1348–1352) e che causarono una grave decadenza dell’Ordine. Tuttavia questo, solo con la sua escissione, all’inizio nel se-colo xv, tra Osservanti (di più stretta osservanza) e Conventuali, troverà pace.

Come abbiamo dunque visto, nell’Ordine le due correnti — quella a favore di un ideale rigoroso di povertà e quella che aveva adattato ad altri criteri il modo di viverne il voto — elaborarono raffinate disquisizioni giuridiche per sostenere le loro teorie. Ebbene, in questo contesto, Agamben sviluppa il suo studio con grande meticolosità, uno studio che qui cercherò di sintetizzare facendo perciò ingiustizia alla finezza della filigrana.

In questa querelle, sia all’interno dell’Ordine, sia in relazione alla Santa Sede, è in questione, come già lo era stato per Francesco, — dice l’Autore — la abdicatio omnis juris, cioè la rinuncia a qualunque diritto per poter realizzare una vita e una prassi umane as-solutamente fuori delle determinazioni del diritto (cfr. iii, 2.1)22.

L’errore dei Francescani, continua Agamben, fu quello di voler argomentare restan-do nel campo dell’avversario, cercando di vincerlo con le sue armi. Infatti la concentra-zione dei Francescani sulla questione giuridica, non permise loro di sviluppare la temati-ca, già presente in Paolo (1Cor 7,20–31), di usare del mondo come se non lo usassero. In tal modo non uscirono dalla sfera del diritto ed anzi, ne rimasero prigionieri. Il loro percorso fu dunque il seguente.

Il termine fratres menores già in sé stesso racchiudeva implicazioni giuridiche, poi-ché i fratres menores erano alieni juris, cioè figli soggetti all’autorità familiare di un adulto

22. G. Agamben, Altissima povertà, op. cit., 136–37.

Page 26: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

217benigni: un libro suggestivo e suggerente

e pertanto sui juris giuridicamente incapaci — dice il Digestum — di possedere qualun-que cosa. Per questo Francesco insiste nell’autonominarsi pazzus, che, come il furiosus, non può acquisire nessuna proprietà, benché sia in suo possesso, nemmeno quindi per usucapione.

Ora, secondo il Decretum di Graziano, l’istituzione umana del diritto, e quindi con lui il diritto di proprietà, nascono dopo il peccato, mentre nello stato di innocenza an-teriore al peccato, l’uomo aveva l’uso ma non la proprietà delle cose (iure naturali sunt omnia omnibus). Per questo i Francescani definiscono come abdicatio juris e ritorno a quello stato di natura perduto la loro peculiare condizione di povertà, il loro usus pauper dei beni, come tecnicamente è definito all’epoca il loro voto di povertà.

Ugo di Digne († 1256), per difendere il diritto di non possedere, nel suo De finibus paupertatis definisce la povertà come spontanea propter Dominum abdicacio proprietatis.

Distinguendo tra proprietà ed uso, afferma che, non è la proprietà degli alimenti o del vestito che conserva in vita la natura, o il diritto fondamentale di ogni essere, ma ap-punto l’uso. Perciò si potrà sempre rinunciare alla proprietà, ma non all’uso, che è l’unico necessario.

Altro argomento, brandito questa volta da Guglielmo di Ockham nel suo Opus no-naginta dierum, è il rovescio del paradigma dello stato di necessità. Il Venerabilis Incep-tor parte dal principio del diritto romano secondo il quale, in caso di estrema necessità, ognuno ha diritto ad usare delle cose altrui. Pertanto, i fratres menores non hanno nessun diritto positivo, solamente hanno un certo diritto di uso delle cose, e questo solo in caso di estrema necessità (essi hanno, quindi, solamente una licentia). Tuttavia lo stato di ne-cessità non è uno stato di diritto, bensì solo il punto nel quale la vita francescana sfiora il diritto. Per questo la forma vitae dei Francescani è definita da questi due estremi, da un lato l’uso, dall’altro lo stato di necessità. Ed è appunto attraverso di questi due punti limite che essi tentano di neutralizzare il diritto e strutturare la loro forma vitae (iii,2.5)23.

Il nonagenario giurista Giovanni xxii agli argomenti dei Francescani obietta che, quando l’uso distrugge la cosa, questo non è semplicemente un uso bensì una proprietà, come aveva scritto Tommaso (cuicumque conceditur usus, ex hoc ipso conceditur res, in S. Th., 2°, 2ae, qu. 78, art. i).

Agamben qui osserva che quella di Giovanni xxii è una sorta de profezia, giacché questi afferma nel secolo xiv la vera natura della proprietà, che troverà la sua piena realiz-zazione nella società dei consumi del xx secolo, quando dice appunto che la vera natura

23. Ibid., 143.

Page 27: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)218

della proprietà si manifesta con l’uso quando questi coincide con il consumo.Il Francescanesimo — conclude l’Autore — si costituisce così estraneo al diritto ed

alla liturgia della Chiesa24 come già è stato detto nella ii parte (ii,3.3)25.È per questo che la Altissima paupertas, con il suo uso delle cose, è la forma-di-vita

che comincia quando tutte le forme di vita dell’Occidente sono giunte alla loro consuma-zione storica (iii,3.9):

La forma di vita francescana è, in questo senso, la fine di tutte le vite (finis omnium vi-tarum), l’ultimo modus, dopo il quale non e più possibile la molteplice dispensazione storica dei modi vivendi. L’«altissima povertà», col suo uso delle cose, è la forma-di-vita che comincia quando tutte le forme di vita dell’Occidente sono giunte alla loro consuma-zione storica26.

Il messaggio per l’Autore è chiaro: «Solo a partire dalla ripresa del confronto in una nuo-va prospettiva potrà eventualmente decidersi se e in che misura quella che si presenta in Olivi come l’estrema forma di vita dell’Occidente cristiano ha, per esso, ancora un senso o se, invece, il dominio planetario del paradigma dell’operatività esige di spostare il con-fronto decisivo su un altro terreno» 27. Infatti, l’Occidente ha il compito di pensare una forma-di-vita, cioè una vita umana, del tutto sottratta alla presa del diritto.28

Questo, mi pare, è, in sintesi, il contenuto del libro. Mi rimangono alcune perplessi-tà, laddove cioè non sono riuscito a seguire il discorso dell’Autore.

In effetti, nella iii parte, al n. 2.6 nota Alef,29 sostiene la tesi che la Chiesa separò l’Officium (la liturgia) e la forma vitae; ciò offrì ai Francescani la possibilità di sostituire all’Officium la loro vita povera30. A riprova di ciò, l’Autore cita il testo di Innocenzo iii (1198–1216), De sacro altaris mysterio31. Secondo la lettura che io posso fare del capitolo v del iii libro del De sacro altaris mysterio32, il testo non contrappone una istituzione o una funzione al merito individuale, come scrive l’Autore, ma piuttosto al merito dell’indivi-duo il testo contrappone il Verbum Dei, cioè la potenza della Parola di Dio che è ciò che

24. Ibid., 144-146 iii,2.6 y 2.7.25. Ibid., 106.26. Ibid., 175.27. Ibid., 178.28. Ibid., 9–10.29. Ibid., 145–46.30. Ibid., 146.31. Veramente il libro dice De sacrii altaris mysterio, pl, 217, 844e, ma è errore di stampa.32. «Quia non in merito sacerdotis sed in verbo confitetur Creatoris. Non ergo sacerdotis iniquitas ef-fectum impedit sacramenti sicut nec infirmitas medici virtutem medicinae corrumpit. Quamvis igitur opus operans aliquando sit immundum, semper tamen opus operatum est mundum. De sacro altaris mysterio”, iii, v. pl 217, 844

Page 28: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

219benigni: un libro suggestivo e suggerente

agisce nei sacramenti, secondo la tradizione paolina di 1Cor 3,6ss33. Così pure, sempre a proposito del tema della sostituzione della liturgia34, gli argo-

menti che il filosofo adduce per il periodo monastico antico, non mi sembrano sufficienti per provare la tesi della sostituzione, o della tentazione di sostituire la liturgia monastica delle ore all’eucarestia, per sua natura essenzialmente ecclesiale, se non addirittura essen-za stessa della Chiesa.

Infine, ancora se non fraintendo il discorso dell’Autore, mi risulta difficile capire — non tanto come possa essere pensata, quanto piuttosto come possa essere realizzata — un certo superamento del diritto, o una vita fuori del diritto, che a me sembra utopico. Ma — d’altro canto — forse anche il Vangelo è utopico, fatto per pazzi…

Con ciò, questo testo «estetico» oltre che teoretico, per me è stata una bella lettura: per l’ampiezza delle fonti citate, per l’accuratezza con cui sono scelte le citazioni, per il rigore logico degli argomenti, per l’acutezza nell’individuare il punctum dolens della que-stione francescana sulla povertà. Ma anche per avermi obbligato a pensare più a fondo alcuni aspetti della vita ecclesiale passata e contemporanea, come per es., le tensioni nella stessa vita religiosa, tra carisma e diritto, tra individuo e comunità, tra obbedienza e auto-realizzazione, tra liturgia e vita, tra povertà e mezzi nella missione…; e, last but not least, mi obbliga a ripensare la dimensione profetica della vita religiosa, oggi35.

33. «Ma che cosa è mai Apollo? Cosa è Paolo? Ministri attraverso i quali siete venuti alla fede e ciascuno secondo che il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere. Ora né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere. Non c’è differenza tra chi pianta e chi irriga, ma ciascuno riceverà la sua mercede secondo il proprio lavoro. Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio”, 1Cor 3,5–9.34. G. Agamben, Altissima povertà, op. cit., 175.35. Franco Benigni, nato a Bergamo nel 1952, è un missionario saveriano e lavora in Messico dal 1993. At-tualmente vive a Guadalajara e insegna Storia della filosofia antica, Storia della filosofia medievale e Filo-sofia della storia nell’Instituto de Filosofía, iffim. Ha pubblicato: Manual de historia de la filosofía antigua, iffim, 2013, Manual de historia de la filosofía medieval, iffim, 2014, Humanismo y renacimiento: artistas y literatos filósofos y teólogos. Un manual de historia de la filosofía, iffim 2019.

Page 29: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4: 220–222 2019 Centro Studi Asiatico

Le pulizie di Capodanno

Silvano Da Roit

In Giappone, dopo il 24 dicembre, tutte le illuminazioni e gli addobbi di Natale spari-scono di colpo per lasciare spazio ai simboli dell’inizio del nuovo anno. I giapponesi,

durante questa festa più importante dell’anno, abbandonano le loro forme di vita moder-ne per reimmergersi completamente nel loro mondo antico.

Una delle cose che maggiormente colpisce, è la foga con la quale ciascuno di loro si mette a pulire ogni cosa per accogliere l’anno nuovo. I giardini, anche quelli che non sono stati finora molto curati dai loro proprietari, vengono rasati e le piante potate. Gli uomini lavano le loro automobili con una devozione quasi religiosa. Le donne lavano vetri e ogni spazzano ogni angolo della casa con un impegno a dir poco ammirevole. Lo stesso fervore si nota anche nelle aziende: negli ultimi giorni dell’anno si rimette in tutto ordine, si lucidano i pavimenti, si arieggiano le stanze, si espongono al sole le poltrone, si lavano i mobili…

Mi guardo attorno e mi accorgo che l’unico che non partecipa a questo rito colletti-vo sono io, uno straniero che da oltre quarant’anni anni vive in questo Paese. Nonostante sia passato così tanto tempo, riesco ancora a meravigliarmi di come si comportano i giap-ponesi. Tuttavia, devo anche ammettere che, malgrado la profonda stima che nutro nei loro confronti, rimane ancora una parte di loro che per me è imperscrutabile.

Sono responsabile di una scuola materna e di una piccola chiesa di missione. I cri-stiani hanno ovviamente pulito la chiesa, e le maestre dell’asilo, proprio mentre sto scri-vendo, sono tutte indaffarate a lucidare, spolverare, dare la cera, con una meticolosità a dire poco starordinaria. Scherzando, chiedo loro il perché di tanto impegno. E una ma-estra, con la quale sono più in confidenza, mi risponde che probabilmente è perché con l’inizio dell’anno nuovo si desidera un cambiamento, un miglioramento.

Dopo aver ascoltato la sua risposta provo a riflettere su quanto detto e scopro che, probabilmente, tutto ciò ha a che fare con il voler eliminare ritualmente ciò che è vecchio e appartiene al passato per accogliere il nuovo. Le giornate si alternano tutte uguali, ma l’occasione della festa di Capodanno permette di rimuovere ciò che offusca, oscura, e ap-pesantisce la vita. E tutto questo per iniziare una nuova vita, un nuovo anno e, in fondo, un nuovo mondo.

Page 30: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

221da roit: le pulizie di capodanno

Mi ricordo che, nella tradizione shintoista, al centro del sacrario vi è uno specchio rotondo che rappresenta le divinità, e che esso deve essere pulito ogni giorno perché gior-nalmente la polvere vi si deposita silenziosamente. Forse lo specchio non è altro che la proiezione della coscienza umana che, tramite le azioni di tutti i giorni, si appanna e su di essa si accumula la polvere della quotidianità e lo sporco delle mancanze o dei peccati commessi.

Mi ricordo che un tempo, da giovane missionario, avevo visitato il tempio principa-le di una nuova religione giapponese chiamata Tenrikyō («Insegnamento della religione divina») e mi ero meravigliato della foga con cui i fedeli lucidavano i pavimenti e facevano le pulizie. Al tempo mi era stato spiegato che all’azione materiale corrisponde un’azione spirituale: ovvero, pulendo il pavimento del tempio si era desiderosi di pulire allo stesso tempo anche il proprio cuore dalle «otto specie di polveri», ovvero gli atteggiamenti che, secondo questa nuova religione non sono in sintonia con la volontà divina (cupidigia, in-gordigia, odio, egoismo, inimicizia, ira, avarizia e arroganza) e che contaminano l’anima.

Probabilmente, quanto mi era stato spiegato corrispondeva al vero, dato che la mag-gior parte dei giapponesi non conoscono la confessione cristiana che ci libera dal peccato. Essi hanno invece un diverso modo di esprimere il loro desiderio di purificazione e di liberazione. Non è un caso che nei loro santuari ci si impiega più tempo a fare le abluzioni di purificazione delle mani e della bocca (necessari per presentarsi in uno stato di purezza davanti alle divinità) che non a pregare di fronte alle divinità stesse. La preghiera consiste semplicemente nel battere due volte le mani, fare due inchini, chiudere gli occhi, esprime-re una richiesta, e battere ancora una volta le mani.

Il rito che i giapponesi chiedono con maggior frequenza ai loro sacerdoti shintoi-sti è quella della purificazione. Il sacerdote shintoista prende un bastone (haraigushi) al quale sono legate delle striscioline di carta piegate a zigzag e, recitando una formula, agita sulla testa delle persone questo strumento per liberarle dalle impurità. Queste striscioline di carta bianca piegate zigzag erano originariamente delle strisce di tessuto che simbo-leggiavano i vestiti delle divinità. Attraverso questo rito di purificazione, quindi, il male viene trasmeesso ai vestiti delle divinità, e quando queste vanno al mare per lavare i loro indumenti, fanno sparire tra le onde anche i peccati degli uomini.

Nella tradizione shintoista esiste una preghiera (norito) chiamata «Rito del Grande esorcismo di purificazione»  in cui viene spiegato come si eliminano i peccati celesti e terresti. E ciò avviene bisbigliando (e quindi trasmettendo) i peccati su dei bastoncini di legno piccolissimi, che poi verranno abbandonati alla corrente dei fiumi e trascinati via

Page 31: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)222

per essere inghiottiti dal mare e dal vortice del mondo dei morti1.Il mondo giapponese, che durante l’anno esibisce un volto così sempre tecnologico

e scientifico, e che pare essere costantemente orientato verso il futuro, nelle celebrazioni di inizio d’anno ritorna invece a ri-vivere i suoi riti collettivi con un’intensità innata e contagiosa. In questo periodo tutto si ferma e tutto si fa silenzio. Ognuno si discosta dalla monotonia del mondo quotidiano e ritorna ai suoi villaggi natii, alla sua casa paterna, alla sua famiglia d’origine per celebrare i riti e i simboli della propria tradizione: ci si veste in kimono, si mangiano cibi preparati per l’occasione, ci si diletta in giochi che venivano praticati in epoche remote, si tenta in tutti i modi di recuperare quella bellezza della pro-pria anima che durante dell’anno deve essere celata sotto la maschera dell’impassibilità. Un’anima che il mondo della quotidianità impone ai giapponesi di sacrificare sull’altare del materialismo, della funzionalità, delle esigenze del lavoro e dei mille obblighi di cui è intrisa la vita sociale.

Ma a Capodanno la realtà ritorna ad essere finalmente quello che per i giapponesi è sempre stata e, nonostante le apparenze, mai muterà: un ben-essere profondo e un legame antico e puro con le proprie divinità, un sentirsi, anche solo per pochi giorni, finalmente in pace e riconciliati con se stessi, con gli altri, con la vita…2.

1. La tradizione italiana di questa preghiera si trova in Norito. Le più antiche preghiere del Giappone, a cura di S. Da Roit. (Osaka: Asian Study Centre 2019), 79-85. Il volume può essere scaricato gratuitamente a questo indirizzo: <https://centro-documentazione.saveriani.org/biblioteca/tutte-le-categorie/33-titolo-xiv/libri/volumi-saveriani/6544-norito>.2. P. Silvano Da Roit è un missionario Saveriano che da oltre quarant’anni svolge la sua attività religiosa in Giappone.

Page 32: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Cultura e società

Tamakushige La scatola dei pettini

Motoori Norinaga

Novelle Bengalesi - ix Un nastro per i capelli Il nonno esce di scena

Amor di PatriaAntonio Germano

Iswar Kazi Nazrul Islam

Page 33: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

TamakushigeLa scatola dei pettini

Motoori Norinaga

(traduzione di Tiziano Tosolini)

Questo trattato è stato scritto per presentare a una certa persona illustre il significato della Via, e per offrirgli un’interpretazione dei tempi in cui viviamo. Ho composto

il seguente poema, e ho ricavato il titolo del mio saggio da una delle parole che lo com-pongono:

Mi ni owaru Sebbene sia l’opera shizu ga shiwaza mo di un uomo insignificante tamakushige se solo aprissi akete da ni mi yo la scatola dei pettini e vi guardassi dentro naka no kokoro o vi scopriresti un cuore sincero

La Via che si estende sopra il cielo e la terra è la stessa in ogni nazione, ma è stata trasmes-sa correttamente solo nel nostro Paese imperiale. Negli altri Paesi, la sua trasmissione si era già persa nei tempi antichi. Questa è la ragione per cui nei Paesi stranieri si espongono altre vie, e ciascuna Scuola ritiene che la propria sia quella corretta1. Ma le vie degli altri Paesi non sono che una ramificazione secondaria della vera Via, e non ne costituiscono affatto il tronco principale. Nonostante qualche somiglianza, il significato della Via in quelle ramificazioni è ambiguo, e non può essere accostato a quello della vera Via.

Esaminiamo brevemente il contenuto dell’unica vera Via. Innanzitutto si deve co-gliere attentamente il principio generale del mondo. Il fondamento del cielo e della terra, le divinità, e tutto ciò che esiste derivano senza eccezione alcuna dal musubi no mi tama2

1. Norinaga si riferisce qui alle varie scuole confuciane e buddhiste che prosperavano durante il periodo Tokugawa, e che egli intendeva confutare.2. [La particella «no» e «mi» nella frase «Musubi no mi tama» corrispondono rispettivamente alla particella del genitivo e al suffisso onorifico. «Musubi no mi tama» potrebbe quindi essere tradotto con «l’augusta tama del musubi». «Musubi» significa «avere origine», «venire all’esistenza» e quindi rimanda anche all’«in-cessante proliferazione dell’essere», mentre «tama» è lo spirito, la forza vitale che determina o provoca la nascita di tutto ciò che esiste. Come afferma Iwasawa: «La parola musuhi è formata da due parti: musu e hi [pronunciato anche bi]. Musu è un verbo il cui significato è quello di “avere origine” (産む/生す: musu). La parola è usata anche nel senso di “vaporoso” (蒸す: musu) ed è associata al concetto di “respiro” (息: musu). Unendo tutti questi significati, la parola musu suggerisce l’immagine primordiale della continua apparizio-ne, cioè dell’incessante proliferazione dell’essere. L’hi di musu-hi, pronunciato anche tama, abbraccia diversi

Quaderni del CSA 14/4: 225–245 2019 Centro Studi Asiatico

Page 34: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)226

delle due divinità Takami Musubi e Kami Musubi3. Tutte le generazioni di uomini che sono stati generati e sono venuti al mondo, tutte le innumerevoli cose ed eventi che si sono succeduti, tutto proviene da questa tama. Di conseguenza all’inizio dell’Era dei kami4 quando le due grandi divinità Izanami e Izanagi hanno generato il nostro Paese, a fonda-mento di ogni divinità e di ogni cosa si trova il musubi no mi tama di Takami Musubi e Kami Musubi. E poiché il musubi no mi tama è il misterioso e profondo dinamismo delle divinità, la saggezza umana, nonostante tutti i tentativi di definirlo con vari principi, non può comprenderlo.

Tuttavia, poiché non vi è stata alcuna trasmissione della vera Via nei Paesi stranieri, la gente che li abita non può comprendere il dinamismo del musubi no mi tama di que-ste due divinità. Essi tentano di spiegare ogni cosa facendo ricorso a teorie come quelle dello yin-yang, dei trigrammi e dei cinque elementi. Ma tutte queste teorie sono erronee perché sono basate sulle supposizioni dell’intelletto umano, e simili principi in realtà non esistono.

Profondamente afflitto dalla morte della consorte, la divinità Izanagi si reca addo-lorato presso il regno dei morti5. Ritornato sulla terra dei viventi, desidera mondarsi dalla contaminazione contratta nel regno dei morti e si purifica entrando nel fiume Tachibana

significati, come ad esempio il sole (日), il fuoco (火) e, a livello più astratto, “il dirompente e misterioso pote-re divino” (霊) — una nozione che sembra essere molto vicina alla definizione della primordiale esperienza del Sacro di Rudolf Otto: mysterium tremendum et fascinans», in T. Iwasawa, «The Understanding of Sin in Japanese Cosmogony», in Japanese Mission Journal, 2012/4: 221].3. [Circa i nomi di queste due divinità, M. Marega afferma: «I commentatori si sbizzarriscono su questi primi tre dèi nominati finora [il terzo nome, oltre a quelli menzionati di Takami Musubi e Kami Musubi, è quello di Ame-no-mi-naka-nushi, il “signore dell’augusto centro del cielo”, il sovrano dell’intero cosmo che verrà creato in seguito. Queste tre divinità sono anche chiamate Zōka no kami 造化の神 o i tre “Kami della creazione”. Secondo Tsugita questi tre dèi sarebbero la materia divina dell’universo; il primo dio sarebbe l’essenza divina, l’assoluto (centro del cielo), Takami Musubi e Kami Musubi rappresenterebbero invece la forza creatrice, le operazioni del primo dio. Nel primo dio Ame-no-mi-naka-nushi non vi è alcun ideo-gramma che riveli l’operare. Soltanto il secondo e il terzo dio dimostrano d’essere la creazione divinizzata. Gli dèi creatori sono due, secondo il criterio cinese di in-yo (tenebre-luce) oppure (maschio-femmina)… Questi primi tre dèi sono poco o nulla venerati dai giapponesi. La devozione popolare li ignora», in Ko-Gi-Ki. Vecchie cose scritte. Il più antico libro di mitologia e storia del Giappone, a cura di M. Marega. Bari, Gius. Laterza e Figli, 1986, 105].4. Noriniga fa riferimento all’Era dei kami (kamiyo 神代), così come è descritta nel Kojiki e nel Nihon shoki, per la sua importanza normativa. Esistono delle differenze tra il racconto del Kojiki e quello del Nihon shoki, e Norinaga preferisce il racconto del Kojiki perché il Nihon shoki ha subito l’influsso cinese sia da un punto di vista stilistico che contenutistico. Esistono tuttavia degli influssi cinesi anche nel Kojiki, come ad esempio il racconto dell’imperatore Nintoku che sospende per tre anni di erogare tasse al Paese.5. [Il termine yomi (黄泉, lett. «sorgente gialla») si riferisce al mondo dell’aldilà e al regno dei morti, la sorgente di tutti i mali e di tutte le impurità. È abitato da magatsubi no kami, (禍津日神) o spiriti malefici. Su queste ultime divinità e su quelle naobi no mitama (直毘霊, lett. «lo spirito che rettifica») — il cui compito è quello di porre rimedio al male e compiere il bene — si veda Motoori Norinaga, Naobi no mitama, trad. T. Tosolini, Quaderni del Centro Studio Asiatico, 2018, 13/4: 217–34].

Page 35: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

227motoori norinaga: tamakushige

no Odo no Awagihara presso Tsukushi6, e in quella località viene generata la divinità del sole, Amaterasu-ō-mikami7. Obbedendo al comando del padre, essa regna in eterno sull’alta pianura del cielo8. La divinità Amaterasu-ō-mikami non è altro che il sole che illumina benevolmente il mondo.

In seguito, la divinità Amaterasu-ō-mikami invia dal cielo la divinità Ninigi per stabilire la reggenza dell’Imperatore sopra il Paese della pianura delle abbondanti canne di giunco. In quell’occasione essa comandò quanto segue: «Possa la prosperità assistere la tua dinastia, e possa essa, come il cielo e la terra, durare per sempre»9. Questo decreto è il principio fondamentale della Via.

Perciò i principi dell’universo e della Via dell’uomo si trovano in buona parte inclusi negli eventi e nelle epoche che succedettero l’Era dei kami. Non vi è nulla che vi sia omes-so. Coloro che desiderano conoscere la Via devono riflettere attentamente sugli eventi dell’Era dei kami e investigare le loro tracce in ogni cosa. Giungeranno così a conoscere il principio di tutte le cose.

Il significato di queste epoche si trova nelle antiche leggende dell’Era dei kami. Que-ste leggende non dipendono da una singola persona, ma sono state trasmesse oralmente sin dai tempi antichi e sono riportate nel Kojiki e nel Nihon shoki. Il significato di quanto riportato in questi due classici è chiarissimo e non vi è alcunché di opinabile. Eppure gli individui che in seguito hanno interpretato questi sacri testi si sono inventati misteri divini trasmessi verbalmente; hanno insegnato vuote falsità e hanno aderito a teorie pro-

6. Tsukushi 筑紫 si riferisce alle provincie di Chikuzen e Chikugo, o all’isola del Kyūshū in generale. La località dove si svolse la purificazione della divinità è sconosciuta, sebbene Norinaga dia l’impressione di conoscerne l’esatta ubicazione.7. [Secondo il Kojiki, Izanagi, essendo entrato in contatto con il regno dei morti (o delle terre impure) e avendo visto la sua compagna Izanami in stato di decomposizione, ne rimane contaminato. Consapevole di essere entrato in un mondo sporco e orrendo, decide di purificarsi immergendosi nelle acque del fiume. Ed è qui che lavandosi il suo occhio sinistro spunta la divinità del sole, Amaterasu-ō-mikami (天照大御神), lavandosi quello destro l’augusta divinità della luna Tsuki-yomi-no-mikoto (月読命), e lavandosi il naso la rude e svelta divinità del mare (o della tempesta) Take-haya-susano-o (建速須佐之男). Ama-terasu, la divi-nità ancestrale della Famiglia Imperiale diventerà una delle figure principali del Kojiki: essa riceverà come regalo il filo di perle che apparteneva al padre, regnerà sulla pianura del sommo cielo e invierà suo nipote a governare il Giappone; Susano-o incarnerà la figura dell’irrequieto, di colui che continua a violare qualsiasi ordine; mentre Tsukiyomi sembra non ricoprire alcun ruolo o attività specifiche e il suo nome scomparirà per sempre dal resto della narrazione].8. [L’«alta pianura del cielo» (takama-no-hara 高天原) è la regione celeste da dove discesero gli amatsu-ka-mi (i kami del cielo). Secondo una cosmologia di stampo «verticale» (che divide il mondo in tre regioni distinte: quella del cielo, quella del mondo degli uomini e quella dello yomi), il takama-no-hara corrisponde alla sacra regione celeste e, come un qualsiasi altro Paese, contiene alberi, fiumi, monti, risaie, pozzi, grotte, saloni dove si tengono le feste. Le divinità possono scendere o salire dall’alta pianura sulla terra mediante il «ponte fluttuante del cielo» (ama-no-ukihashi 天の浮橋)].9. W. G. Aston, trad., Nihongi, op. cit., 1, p. 77.

Page 36: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)228

venienti da terre straniere. Incapaci di credere alle profonde verità dell’Era dei kami, non sanno neppure che tutti i principi del mondo sono presenti negli eventi che hanno avuto luogo durante l’Era dei kami. Essi intendono interpretare questi principi sulla base di teorie straniere. Di conseguenza, laddove il materiale non è in accordo con i precetti della teoria straniera, questi individui presentano delle interpretazioni infondate e distorte che sono basate su idee personali. Essi teorizzano che l’alta pianura del cielo era una semplice capitale e che non si trovava in cielo. Essi dichiarano persino che Amaterasu-ō-mikami non è affatto la divinità del sole, ma una lontana fondatrice della Corte, una persona se-mi-divina che visse su questa terra. Tutti questi individui curiosamente lodano le insen-sate teorie straniere, e tentano egoisticamente di renderle intellegibili. Essi considerano le antiche leggende come racconti di poco conto e insignificanti. Questa è la ragione per cui le leggende antiche non sono state propagate, il loro significato essenziale è stato frainteso, e l’intento di questi sacri testi è stato gravemente violato.

Il cielo e la terra esistono nella stessa dimensione senza che nulla li separi, perciò l’alta pianura del cielo si estende sopra tutte le nazioni in maniera uniforme. Poiché Ama-terasu-ō-mikami è la divinità che governa il cielo, non vi è nulla nell’universo che possa paragonarsi a lei, ed ella illumina eternamente ogni cosa in cielo e in terra. Tra i vari Paesi dei quattro mari, non vi è nessuno che non riceva la sua luce incorruttibile. Nessun Paese può esistere un solo istante senza il favore di questa grande divinità. Ella è il più sacro e riverito essere dell’universo

Eppure, tutti i Paesi stranieri hanno smarrito le antiche tradizioni dell’Era dei kami, e le persone che li abitano non sanno che devono riverire la divinità Amatera-su-ō-mikami. Facendo uso di mere congetture intellettuali, essi identificano il sole e la luna con l’essenza dello yin-yang10. Inoltre, nella rozza Cina hanno designato qualcuno che chiamano Imperatore del Cielo11, e gli accordano il più alto rispetto. In altri Paesi dan-no priorità ad altre vie e le onorano, ma esse sono tutte basate su principi congetturali o su teorie arbitrarie. Queste vie posseggono dei nomi che sono stati scelti per opportunismo, ma in realtà gli Imperatori del Cielo, le vie, o altre cose simili inventate, non esistono. Gli individui di questi Paesi stranieri venerano queste cose immaginarie, e non sanno che la grazia della divinità Amaterasu-ō-mikami è quanto di più eccelso e prezioso esista al mondo. Ciò è davvero vergognoso.

10. [Secondo l’Yijing (易經 il Libro dei mutamenti, uno dei cinque classici cinesi), yin (陰) e yang (陽) sono due componenti fondamentali del Dao che si alternano nel processo del divenire cosmico. Yin è il com-ponente negativo, passivo, femminile, terreno del cosmo, caratterizzato da oscurità e debolezza; yang è la componente positiva, attiva, maschile, celeste del cosmo, caratterizzata da luce e forza].11. Tentei 天帝.

Page 37: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

229motoori norinaga: tamakushige

Nel nostro Paese imperiale, invece, l’autentica tradizione dell’Era dei kami è stata debitamente trasmessa grazie ad alcune nostre «speciali circostanze». Possiamo investi-gare e imparare l’origine dell’eccelsa divinità del sole, e godiamo del grande privilegio di conoscere i principi secondo i quali venerarla. Ora, quali sarebbero queste «speciali circostanze» del nostro Paese?

Innanzitutto, il nostro è il Paese nel quale la divinità Amaterasu-ō-mikami, che illumina tutti gli altri Paesi dei quattro mari, è nata. Poiché il Giappone è fonte e origine di tutti gli altri Paesi, esso è superiore a tutti loro.

È difficile elencare una ad una tutte le caratteristiche che ci rendono superiori, ma in primo luogo possiamo menzionare il riso. Il riso sostiene la vita dell’uomo, e non vi è quindi nulla di più importante. L’impareggiabile qualità del riso giapponese è una carat-teristica che è presente in egual misura in molte altre cose che ci appartengono. Ma gli individui nati nel nostro Paese si sono a tal punto abituati a questo riso che lo ritengono come una cosa normale, e non vi prestano alcuna attenzione. Mattina e sera, coloro che sono stati così fortunati da nascere in questo benigno Paese mangiano in abbondanza questo riso di incomparabile qualità. Dovrebbero perciò meditare sulla cortese benevo-lenza delle divinità, ma invece essi vivono ignorandola. Ciò è un sacrilegio inconcepibile.

La discendenza imperiale del nostro Paese proviene dalla divinità Amatera-su-ō-mikami, la quale illumina il mondo. Seguendo l’eterno decreto divino secondo il quale la divinità Amaterasu-ō-mikami durerà quanto il cielo e la terra, per migliaia di anni fino alla fine del tempo, la discendenza imperiale continuerà ininterrottamente. Questo è il fondamento della Via, oltre che la prova dell’esistenza di quel decreto divino. E noi sappiamo che le antiche tradizioni dell’Era dei kami sono autentiche proprio poiché quel decreto non è mai stato violato. Sappiamo anche che altri Paesi non riusciranno a raggiungere una posizione simile, e questo ci permette di comprendere in che cosa consi-stano le «speciali circostanze» del nostro Paese.

In altri Paesi vengono espresse varie vie attraverso elaborate dottrine, e ciascun individuo parla come se solo il suo Paese possedesse una nobiltà particolare. Tuttavia, quando si inizia a riflettere sulle dinastie, una tematica di fondamentale importanza, non si può non notare che esse non durano a lungo e che vengono spesso rimpiazzate. A causa del grande disordine di quei Paesi, noi riteniamo che tutto ciò che essi dicono non sia altro che una menzogna, senza neanche un briciolo di verità.

Il nostro Paese è la terra dove è nata la divinità Amaterasu-ō-mikami, e dove la discendenza imperiale continua a regnare. Ella è la fonte e il fondamento di tutti i Paesi, e tutti gli altri Paesi dovrebbero onorare il Giappone ed essergli sottoposti; ciò sarebbe in

Page 38: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)230

conformità con la vera Via. Tuttavia, poiché finora non hanno mai sentito parlare delle «speciali circostanze» del Giappone riportate in precedenza, essi hanno ingenuamente ritenuto che il Giappone non fosse altro che una piccola isola sperduta in mezzo al mare, non immaginando minimamente che la vera Via si trovasse nel nostro Paese imperiale. È deplorevole il fatto che quei Paesi sostengano solo teorie parziali perché prive delle anti-che tradizioni dell’Era dei kami. Purtroppo, non possiamo farci nulla se essi non posseg-gono queste tradizioni e se non conoscono le nostre «speciali circostanze».

Nel nostro Paese esiste una vera e limpida trasmissione della verità. Ciò rende ancor più increscioso il fatto che nel nostro Paese le persone comuni siano incapaci di compren-derla. Essi credono solo nelle menzogne degli altri Paesi, aderiscono a teorie straniere e venerano in modo scellerato le terre straniere. Anche se le inutili teorie dei Paesi stranieri fossero superiori, le persone avrebbero il dovere di continuare ad aderire alle tradizioni della nostra terra natia. In ciò risiede il corretto cammino, soprattutto se si considera che le teorie dei Paesi stranieri sono false, mentre invece le tradizioni del nostro Paese sono vere.

Tuttavia, le idee dei Paesi stranieri, che solo in apparenza paiono intelligenti, sono penetrate in profondità nei cuori degli uomini per migliaia di anni, e molte persone non riescono più a pensare diversamente. Anche se si dicesse loro la verità, come ho fatto qui, è difficile che le persone l’accettino all’istante. Eppure, dopo un’attenta analisi, sono le idee dei Paesi stranieri, che solo in apparenza paiono intelligenti, che risultano false. Ad un livello più elevato, si deve ammettere che è difficile per il pensiero raggiungere i veri principi, e che esistono molti punti di divergenza tra i vari sistemi di idee.

Ci sono poi persone nel nostro Paese che ragionano come se fossero degli stranieri, e si meravigliano che solo in Giappone, viste le sue dimensioni, si ragioni correttamen-te. Essi dubitano che la vera Via, la quale si dispiega sopra il cielo e la terra, possa essere stata trasmessa esclusivamente a un Paese così piccolo e minuto. Anche questa è un’idea solo apparentemente intelligente ma che è priva di fondamento. In generale, la dignità o la viltà, la bellezza o la cattiveria non dipendono dalle dimensioni geografiche. Esistono Paesi che sono molto estesi eppure sono indegni e malvagi, altri sono minuti eppure sono nobili e affascinanti. Per quanto riguarda i Paesi stranieri, i Paesi di una certa estensione hanno esercitato il potere fin dai tempi antichi perché la loro popolazione era numerosa, e i Paesi più piccoli erano deboli perché abitati solo da poche persone. Il potere ha costretto i piccoli Paesi a obbedire a quelli grandi e, ovviamente, quelli grandi sono stati ritenuti dei Paesi dignitosi e quelli piccoli dei Paesi vili.

Eppure, la dignità o la viltà, la bellezza o la cattiveria non hanno nulla a che vede-re con le dimensioni geografiche. La terra coltivabile e il numero della popolazione nei

Page 39: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

231motoori norinaga: tamakushige

grandi Paesi stranieri sono solitamente scarsi, e sono sproporzionati rispetto alle dimen-sioni del Paese. Tra i Paesi rozzi, la Cina è considerata come un ottimo Paese. Tuttavia, se paragonata alla nostra terra imperiale, la terra coltivabile è molto scarsa e poche sono le persone che la abitano. Perciò la spaziosità o meno di un Paese non possiede alcuna importanza. Tutto ciò risulta evidente dai documenti che ci permettono di raffrontare le statistiche riguardanti i censimenti delle persone e delle famiglie cinesi con quelle del Giappone. Ad oggi, nelle provincie del nostro Paese, e persino all’interno di una singola provincia, vi sono località dove la terra è abbondante, ma gli abitanti e i prodotti scarseg-giano. Vi sono inoltre molte località dove la terra scarseggia, ma la popolazione e i prodot-ti sono abbondanti. L’eccellenza o meno di un Paese non dipende quindi dall’estensione o meno del suo territorio.

Nei tempi antichi le provincie erano divise in grandi, superiori, medie e basse, men-tre i distretti erano divisi in grandi, superiori, medi, bassi e piccoli. Ma questa divisione non era necessariamente basata sulle dimensioni della superfice coltivabile. Ciò non fu compreso dalle generazioni seguenti, le quali ritennero che la suddivisione delle provincie in grandi o piccole fosse basata sulla superficie coltivabile, ma ciò non è corretto. Sin dai tempi antichi la qualità e densità della terra agricola e della popolazione nel nostro Paese imperiale è stata alta e senza paragone rispetto alle terre straniere. Il nostro Paese abbon-da sia per il numero della sua popolazione che per i suoi prodotti. Esiste forse un altro Paese che possa eguagliare la nostra produttività, la nostra ricchezza, il nostro coraggio e vigore? Questo è ciò che intendiamo dire quando parliamo delle «speciali circostanze» del nostro Paese. Sin dall’Era dei kami, le divinità ci hanno resi unici e ci hanno fatto eccellere in ogni cosa.

Eppure gli studiosi confuciani odierni sono concordi nel lodare la Cina e discutono come se solo quel Paese fosse in tutto superiore agli altri. Disprezzano in maniera sacrile-ga il nostro Paese imperale e ritengono che le loro argomentazioni siano superiori. In ma-niera scriteriata disprezzano e sviliscono il Giappone affermando che nei tempi antichi la Via non è esistita affatto nel nostro Paese, e che la nostra cultura si è sviluppata molto più tardi che in Cina. Riguardo gli antichi testi, ammettono l’esistenza del Kojiki e del Nihon shoki, ma affermano che sono stati scritti molto tempo dopo gli antichi libri della Cina. Questo è il modo con cui questi studiosi violano le antiche tradizioni. Oppure esaminano il testo del Nihon shoki e sostengono che le vicende antiche sono tutte fabbricazioni inven-tate in epoche posteriori. Solitamente queste opinioni sono false, superficiali, e parziali e non sono basate su alcun ragionamento sensato. Inoltre, queste persone sono indotte in errore perché si rifanno solo ai libri cinesi e sono ignari del fatto che esistono altri libri di

Page 40: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)232

valore. Paradossalmente, le loro idee sono triviali e meschine. Nel considerare un Paese straniero come se fosse il proprio, essi non solo mortificano la nostra nazione, ma violano lo spirito stesso di Confucio su cui si fonda il loro Paese.

Tutte queste teorie discusse finora sono incorrette, in primo luogo perché afferma-no che in tempi antichi in nostro Paese imperiale non possedeva alcuna Via. Questi stu-diosi non sanno che da noi esisteva la vera e superiore Via, e questo è un errore che nasce dalla credenza che la Via esistesse solo nella rozza Cina. Ciò che la rozza Cina considera come Via, è in realtà solo l’estremità di un ramo della Via, e come tale dobbiamo igno-rarla. Ritenere che la Cina sia superiore solo perché la sua civilizzazione si è sviluppata in anticipo, è una falsità. Che la civilizzazione si sia sviluppata prima in Cina, significa solo che lì tutte le cose hanno subito molto prima un mutamento a causa delle consuetudini malvagie e frivole di quel Paese. Diciamo questo perché in Cina, sin dai tempi antichi, le menti delle persone sono solo in apparenza intelligenti, e non portano alcun rispetto per ciò che si fonda sul passato.

Fa parte della consuetudine malvagia di quel Paese approvare rivoluzioni e trasfor-mazioni concepite da azioni e ragionamenti umani. Era perciò inevitabile che le con-dizioni sociali mutassero rapidamente da una generazione all’altra. Ma il nostro Paese imperiale possiede delle tradizioni e dei rituali integerrimi, retti e autorevoli, e tutto viene svolto in conformità con i dettami del passato. Le cose non vengono modificate con legge-rezza a seconda del grado di conoscenza raggiunto. Questa è la ragione per cui da noi non ci sono stati dei cambiamenti repentini da una generazione all’altra. Le nostre autorevoli e prestigiose tradizioni continuano fino ad oggi.

Nel discutere se nel processo di cambiamento sia superiore la lentezza o la velocità, considera degli animali come i buoi, i cavalli, le galline e i cani. Dopo il parto essi si svi-luppano molto velocemente mentre, al contrario, gli esseri umani crescono in maniera estremamente lenta. Da ciò deriviamo il principio che le creature superiori subiscono un cambiamento molto più lento. Inoltre, gli animali, che si sviluppano rapidamente, hanno una durata di vita inferiore, mentre l’uomo vive più a lungo. Alla luce di questo principio si può affermare che i Paesi le cui condizioni sociali mutano repentinamente avranno un’esistenza più breve, mentre i Paesi il cui cambiamento è più lento esisteranno per sem-pre. La prova di quanto affermato risulterà evidente fra molte migliaia di anni.

Questi studiosi, inoltre, discutono dell’antichità dei libri a partire dal periodo in cui sono stati scritti. Ma ciò è superficiale. Come ho dimostrato poco sopra, i rozzi cine-si sono solo apparentemente intelligenti, ed essi possiedono l’indole nazionale di fidarsi del proprio sapere, tanto che persino i loro testi antichi non sono altro che il prodotto di

Page 41: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

233motoori norinaga: tamakushige

menti individuali. L’importanza o meno di un’opera deriva perciò dal suo essere antica o moderna, ed è quindi giudicata in relazione al tempo. Nel nostro Paese imperiale esisteva nel passato la propensione ad essere scrupolosi. Non c’era cosa alcuna che fosse il prodot-to di un individuo, e le cose antiche non venivano manomesse con leggerezza. Anche le antiche leggende venivano recitate senza variazione alcuna sin dall’Era dei kami, e ciò che è stato trasmesso è stato poi messo per iscritto senza modifica alcuna. Il Kojiki e il Nihon shoki non devono essere giudicati a patire dalla data della loro compilazione, come invece lo sono i libri dei frivoli rozzi cinesi. Il tempo della loro compilazione è in effetti successivo a quello di alcuni testi cinesi, ma il contenuto delle tradizioni rispecchia quello dell’Era dei kami. Esse non sono forse più antiche di quelle contenute nelle antiche opere cinesi? Tuttavia, i redattori del Nihon shoki erano invidiosi dello stile delle opere cinesi e hanno deciso di abbellirlo mediante una prosa cinese. Se pertanto decidiamo di interpretare un’opera a partire dal suo stile letterario, notiamo che quest’ultimo contiene molti punti discutibili. Perciò quando esaminiamo il Nihon shoki, non dobbiamo interpretarlo a par-tire dal suo stile letterario ma, al fine di comprendere appieno il significato di quelle an-tiche tradizioni, dobbiamo raffrontarlo al Kojiki. Così, se ben comprendiamo le «speciali circostanze» descritte in precedenza, non saremo fuorviati dai frivoli argomenti degli studiosi confuciani.

Tutto ciò che esiste, grande e piccolo, tutto ciò che è incluso tra cielo e terra, la condizione dell’uomo e la sua condotta — tutto deriva dallo spirito delle divinità e dalla loro volontà. Ora, tra le divinità ve ne sono alcune nobili e altre meschine, alcune buone e altre malefiche, alcune disoneste e altre sincere. Perciò nel mondo non esistono solo cose fauste e buone, ma in esse è presente anche qualcosa di malefico e di funesto. Di tanto in tanto, in una nazione sorgono dei tumulti e accadono dei fatti gravi sia per la società che per l’individuo. Esistono poi molte situazioni riguardanti il destino dell’uomo che non sono conformi ai retti principi. Tutti questi elementi riprovevoli derivano dalle divinità malefiche. Queste divinità malvagie sono originate dallo spirito della divinità Magatsubi quando la divinità Izanagi si era mondata delle impurità contratte nel regno dei morti. Sono queste le divinità che causano tutto ciò che è nocivo e malvagio. Quando queste divinità sono all’apice della loro violenza, sfuggono al controllo e alla protezione persino delle divinità imperiali. Tutto ciò è rimasto immutabile sin dall’Era dei kami. Vi è dun-que un principio secondo il quale non esistono solo cose buone e propizie, ma in esse è presente anche e inevitabilmente qualcosa di malvagio e catastrofico. Tutto ciò è stato stabilito durante l’Era dei kami, e può essere letto nel Kojiki e nel Nihon shoki. Io stesso ne

Page 42: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)234

discuto in dettaglio nel Kojikiden12. Mi è impossibile ripetere l’argomento in questa sede, dato che è piuttosto articolato, ma vorrei qui trattare solo di qualche aspetto riguardante l’impurità nel regno dei morti.

Innanzitutto, il regno dei morti è situato sottoterra, nelle sue profondità più remo-te, ed è anche conosciuto con il nome di «Terra della radice/Terra dell’origine» o «Terra del profondo»13. Questo è il luogo dove si radunano i morti, ed è un posto estremamente lugubre e malefico. In principio la divinità Izanami vi si recò dopo morta. Diventata im-pura per esserci cibata del cibo della terra di morti, un cibo conosciuto con il nome di yomotsuhegui14, non riuscì più a tornare nella terra dei vivi. A causa di questa impurità, essa divenne la divinità della sventura e della miseria, e da questa impurità nacque la divi-nità Magatsubi15. Dobbiamo pensare attentamente a questo principio, e dobbiamo trattare l’impurità con la massima reverenza e rispetto.

Ora, è una verità estremamente dolorosa che ogni essere umano, sia esso nobile o umile, buono o cattivo, debba morire e che non possa evitare di recarsi nel regno dei morti. Espressa in questo modo, potrebbe sembrare una questione di poco conto, priva di qualsiasi principio, ma questa è l’autentica tradizione che proviene dall’Era dei kami. Poiché tratta del dinamismo di impenetrabili e misteriosi principi, non può essere com-presa dalle menti imperfette degli uomini comuni, i quali si concentrano ora su questo ora su quel particolare aspetto del problema. Ma la gente dei Paesi stranieri inventano altre vie, e interpretano la vita e la morte degli esseri umani in modo affascinante e all’ap-parenza saggio. Tuttavia, essi sfoggiano solo principi elaborati dall’intelletto umano, o fanno uso di teorie convenientemente fabbricate per trarre in inganno le persone. Queste dottrine possiedono un certo fascino, ma sono infondate e false. Le teorie che sono state sapientemente fabbricate dall’uomo paiono convincenti, mentre le verità tramandate dal-la tradizione sembrano superficiali e sciocche. Ma l’intelletto umano è limitato, e le realtà incomprensibili sono numerose. Di solito quelle cose che paiono superficiali e assurde in realtà si basano su principi misteriosi e di insondabile profondità. Dubitare di questi principi facendo uso di un intelletto che è incapace di coglierle, e prestare fede a quelle fabbricazioni che paiono più plausibili, significa fare affidamento sul proprio pensiero. Ed

12. Kojikiden, ch. 6, in mnz, vol. 9, pp. 237–86.13. «Terra della radice/Terra dell’origine» è la traduzione di ne no kuni 根の国, e «Terra del profondo» quella di soko no kuni 底の国.14. 黄泉戸喫. Non ci è dato di conoscere la natura di questo cibo. Norinaga sostiene che era impuro perché era stato cucinato in quella lurida località. mnz, vol. 9, pp. 240–42.15. La divinità Magatsubi non occupa un posto prominente nel Kojiki (di fatto, vi si accenna solo alla sua nascita) ed essa è considerata una divinità malefica che procura molti danni. Il primo carattere del nome Magatsubi (禍) significa «disonesto», «corrotto». mnz, vol. 9, p. 257.

Page 43: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

235motoori norinaga: tamakushige

è invece questo che è davvero insensato.Quando moriamo dobbiamo abbandonare moglie e figli, parenti e amici, casa e

proprietà, e, di fatto, ogni cosa, e lasciare per sempre questo mondo. Non possiamo torna-re indietro. Poiché quando moriamo dobbiamo recarci in quello sudicio regno dei morti, non c’è niente di così triste al mondo come la morte. Ciononostante, in Cina si affermano dei principi secondo i quali la morte non è affatto una questione così triste. Esistono varie teorie che spiegano ampiamente e in dettaglio che il luogo dove la persona si recherà alla morte dipende dalle sue azioni buone o cattive, o dalla coltivazione della propria mente. La gente viene fuorviata da questi principi in quanto li trova plausibili, e crede in essi. Essi ritengono che considerare la morte come un qualcosa di estremamente doloroso dipenda dalla delusione di una mente sciocca, e se ne vergognano. Per questo si dimostrano fidu-ciosi e non manifestano alcuna afflizione. Scrivono poemi sul letto di morte, o lasciano dietro di sé grandiose dichiarazioni per dimostrare che hanno ottenuto il risveglio.

Tutto ciò non è altro che un’enorme e ingannevole fabbricazione. Queste teorie van-no contro il sentimento umano e violano gli autentici principi. Non rallegrarsi per ciò che gioioso, non affliggersi per ciò che è triste, non stupirsi per ciò che è sorprendente, considerare un bene non lasciarsi trasportare dai sentimenti — queste non sono altro che delle menzogne di dottrine straniere. Esse sono contrarie alla natura umana, oltre che essere estremamente deplorevoli. Di tutto ciò che esiste, la morte è di gran lunga la realtà più dolorosa. Perfino la divinità Izanagi, che ha generato la terra e tutto ciò che essa contiene, e che ha dato vita a tutti i principi del mondo, pianse come un bambino quando sua moglie morì. Non si è forse recato nel regno dei morti a causa di questo suo dolore? Questa è l’autentica natura delle cose. Questo è il principio che gli esseri umani devono inevitabilmente seguire.

Per questa ragione, nell’antichità, prima che le dottrine straniere pervertissero il pensiero giapponese, e quando i cuori della gente erano sinceri, non vi era traccia di inu-tili teorie variamente fabbricate riguardanti il destino dei defunti. Si riteneva invece au-tentica l’idea che alla morte ci si recava nel regno dei morti, e che non vi era altro da fare che dar libero sfogo al lamento.

Tutto ciò non ci dice nulla sugli elementi essenziali riguardanti il governo, ma ci aiuta a comprendere la verità della Via del nostro Paese imperiale e le vie dei Paesi stra-nieri. Coloro che risiedono in terre straniere non sanno che tutte le cose malvagie e cat-tive dipendono dalle azioni delle divinità malefiche. Quando la disgrazia e la fortuna che capitano a ciascuno di noi sono in disaccordo con i loro principi, gli stranieri speculano che esse dipendano dal karma o dalla retribuzione, oppure ritengono che esse derivino

Page 44: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)236

dal mandato del Cielo o dalla via del Cielo16. Come affermato in precedenza, la teoria del karma e della retribuzione è stata inventata per convenienza, e non vale la pena discuter-ne. Il mandato del Cielo, o la via del Cielo, erano usati nell’antica Cina da persone quali Tang e Wu che hanno deposto il reggente e si sono impossessati del Paese17. Essi non con-siderarono il loro crimine come un atto di alto tradimento, di per sé ingiustificabile, ma addussero delle scuse per legittimarlo. Se davvero fosse esistito il principio del mandato del Cielo, ogni cosa si sarebbe svolta in sintonia con quel principio. Tuttavia, come mai esistono così tante situazioni che non si accordano con quel principio? Queste idee sono delle semplici fabbricazioni inventate per trarre vantaggio da ciò che accade, e violano le autentiche tradizioni dell’Era dei kami.

Come ho spiegato poco sopra, poiché ogni cosa dipende dalle azioni delle divinità benefiche e malefiche, lungo i secoli si sono succeduti molti fatti buoni e cattivi, giusti e ingiusti. Perfino la Corte Imperiale, che discende dalla divinità Amaterasu-ō-mikami, ne è stata contagiata. Intenzionati a perseguire i loro disegni malvagi, e facendo uso della forza militare, sono apparsi alcuni traditori come Hōjō e Ashikaga18. Persone simili han-no contribuito alla decadenza della Corte, e i sudditi dell’impero si sono arresi alle loro pretese. Non è quindi corretto affermare che siamo stati immuni da periodi di disordine. Tuttavia, fa parte del principio dell’Era dei kami che il male non possa prevalere sul bene. E poiché l’editto divino di Amaterasu-ō-mikami non può essere revocato, la dinastia di quei traditori è stata annientata senza lasciare traccia alcuna. Grazie alla dinastia impe-riale l’impero risplendette di rinnovata pace, e la Corte Imperiale fu ristabilita nella sua maestà. Come si può sostenere che tutto ciò dipenda dal potere dell’uomo? E come po-tranno mai i Paesi stranieri condividere questa buona sorte?

16. [Il significato letterale del termine sanscrito karma è «azione», ma trasportato nella religione il concetto di karma non si riferisce a tutte le azioni, ma esclusivamente a quelle di un tipo morale. Infatti, la dottrina buddhista del karma afferma che le circostanze delle future rinascite sono determinate dalla qualità morale delle azioni di una persona in questa vita. L’idea confuciana di «mandato del Cielo» o «mandato celeste» era radicata nell’idea che i governanti, guadagnandosi l’approvazione del cielo e degli antenati, erano in grado di assicurare la regolarità delle stagioni, un buon raccolto, il corretto equilibrio fra yin e yang all’interno della comunità e la conservazione della gerarchia reale. In caso di malgoverno il mandato veniva revocato per cui il popolo aveva diritto alla rivoluzione (cioè al rovesciamento della dinastia imperiale)].17. Tang 湯, il fondatore della dinastia Shang 商 o Yin 殷, iniziò il suo regno nel 1788 a.C. dopo aver guidato la rivolta contro il perfido reggente di Xia 夏. Wu 吳, il fondatore della dinastia Zhou 周, ha guidato la rivolta contro l’indegno reggente di Shang e iniziò a regnare nel 1122 o 1027 a.C.18. I reggenti Hōjō del bakufu di Kamakura combatterono contro l’imperatore Go-Toba nella guerra Jōkyū (1221), e gli shōgun Ashikaga si schierarono conto l’imperatore Go-Daigo e i suoi successori nella guerra tra le Corti del Nord e quelle del Sud nel xiv secolo. Era stato l’impiego della forza militare che aveva colpito Norinaga e che lo aveva dissuaso dal riconoscere a Hōjō e Ashikaga la stessa legittimità che aveva accordato ai Tokugawa. Il regime dei Tokugawa non si basava su teorie fondamentalmente diverse da quelle dei suoi predecessori, ma non si schierò mai militarmente contro la casa imperiale.

Page 45: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

237motoori norinaga: tamakushige

Generalmente si crede che il grande declino della Corte Imperiale occorso duran-te il periodo medievale fosse causato dal disordine che regnava nell’impero. In realtà, invece, è proprio perché la Corte fu esposta al declino che si verificarono dei disordini nell’impero, e che ogni cosa iniziò a deteriorarsi. Questa interpretazione deve essere va-lutata con una certa attenzione. Verso la fine del periodo Ashikaga, l’impero era in preda a una condizione senza precedenti, immerso, cioè, in un’oscurità perenne. Tutto era in declino, e la corruzione aveva raggiunto il suo apice. Ma è proprio in quei frangenti che fecero la loro comparsa i generali Oda Nobunaga e Toyotomi Hideyoshi, i quali sedarono i disordini e le ribellioni, ristabilirono la Corte Imperiale e si dimostrarono rispettosi nei confronti dell’Imperatore. La pace iniziò nuovamente a diffondersi nel Paese e l’impero si rimise alla guida del governo. Il Paese ora sta prosperando, e si è tornati a quello splendi-do governo imperiale che era raro persino in tempi antichi. Ciò è dovuto al merito e alla virtù di Azumateru Kamu Mioya no Mikoto19. Questi suoi meriti e virtù risiedevano, in non maniera dissimile da Nobunaga e Hihdeyoshi, nell’aver riabilitato la Corte Imperiale che era entrata in un stato di avanzata decadenza. Mostrando un profondo rispetto per la Corte, egli iniziò gradualmente a governare prima la classe dei guerrieri e poi quella della gente comune. Quanto attuato era ovviamente in sintonia con la vera Via e con il desiderio della divinità Amaterasu-ō-mikami. Inoltre, le divinità del cielo e della terra gli offrirono la loro protezione, e ora godiamo di un ottimo governo20.

Non parlo in questi termini per lusingare il governo odierno, né queste parole sono pronunciate in maniera impulsiva. Non c’è alcun bisogno di rimarcare che il casato Tokugawa è all’apice della sua fortuna militare e che l’impero sta godendo di una pace duratura. Il governo Tokugawa ha prodotto innumerevoli e splendidi benefici, impen-sabili nei periodi precedenti, e sono questi stessi risultati che confermano le mie parole.

Governi militari come quelli di Hōjō e Ashikaga non rispettarono la Corte Impe-riale, la quale è considerata l’elemento centrale della Via. Non importa quanto virtuosi fossero Hōjō e Ashikaga, e non importa neppure se sconfissero eserciti e rappacificarono

19. 東照神御祖命, vale a dire a Tokugawa Ieyasu 徳川 家康, 1542–1616, il fondatore dello shōgunato.20. La lettura operata da Norinaga delle vicende avvenute nel xvi secolo è ovviamente tendenziosa, in quanto si concentra solo sulla casa imperiale e sulla pace e prosperità del Paese che vengono fatte risalire ad essa. Il trattamento riservato da Nobunaga, Hideyoshi e Tokugawa alla casa imperiale è ritenuto marginale dagli storici che si occupano della fondazione del Giappone moderno. La semplicistica interpretazione di Norinaga rappresenta un regresso rispetto all’opera Jinnō Shōtōki 神皇正統記 [Cronache per la successione legittima dei divini Imperatori] scritta nel xiv secolo da Kitabatake Chikafusa 北畠 親房, 1293–1354, il quale, sebbene fosse un fervente lealista, indicava varie cause per lo sviluppo storico del Giappone. La posizione di Norinaga ha anticipato lo sviluppo degli studi lealisti del xix e xx secolo chiamati kōkoku shikan, 皇国史観, i quali interpretavano la storia giapponese esclusivamente a partire dalla storia imperiale.

Page 46: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)238

la popolazione: tutto ciò fu compiuto per proprio tornaconto e non era affatto in accordo con la Via.

Il nostro Paese differisce in maniera fondamentale dalle altre nazioni straniere. Più precisamente, la Cina non possiede un reggente che abbia regnato per un periodo consi-derevole di tempo. Di tanto in tanto un individuo riesce ad assoggettare il popolo e diven-ta re, nonostante le sue origini. Ciò fa parte delle loro usanze nazionali, e in ciascun Paese il contenuto della Via deriva dalle usanze nazionali che le sono proprie. I cinesi rispettano persino un uomo che uccide il reggente e si impossessa del Paese, considerandolo un saggio che segue i dettami della via. Ma la dinastia imperiale della divinità Amatera-su-ō-mikami regna sulla Corte, e la sua luce giunge fino ai confini del cielo e della terra. Poiché la dinastia imperiale è stata stabilita per decreto divino da Amaterasu-ō-mikami, essa esisterà per sempre, per migliaia di generazioni fino alla fine del mondo, fintanto-ché il sole e la luna saranno in cielo, fintantoché durerà la terra. Non prestare rispetto al sovrano significa non essere in accordo con il grande cuore della divinità Amatera-su-ō-mikami21, e noi non possiamo resistere nemmeno un giorno, o neppure un’ora, se ci opponiamo al suo grande cuore.

Ciononostante ci furono alcuni individui che nel medioevo violarono questa Via, ignorarono la Corte Imperiale, e riuscirono per un breve periodo di tempo a prosperare con i propri i figli e nipoti. Ma tutto ciò non è che il frutto delle azioni della malvagia divi-nità Magatsubi, e non deve essere affatto considerato come un precedente insolito. Tutta-via, le persone sono all’oscuro persino dei principi più basilari o del significato della Via. Gli studiosi confuciani giudicano in maniera del tutto arbitraria i successi e i fallimenti delle epoche precedenti fidandosi solo del loro limitato intelletto. Tutti loro utilizzano come criterio di discernimento il contenuto di una via dedotta dalle maligne usanze di un Paese straniero. Alcuni contendono perfino che i governi guidati da dei traditori come Hōjō fossero legittimi. Tuttavia, poiché tutti questi traditori deviarono dal fondamento originario, essi si trovarono disaccordo con la vera Via — non importa quanto ora si pe-rori la causa della loro onestà.

Se una persona delle classi inferiori non comprende questi fondamenti, si deve ri-tenere come l’unico responsabile del proprio fallimento. Ma il reggente di una provincia o di un distretto, o l’amministratore di quelle provincie, non deve mancare neppure per un istante di abbracciare i fondamenti della Via. Lasciamo che i reggenti studino a fondo i libri cinesi per discernere dettagli secondari, e lasciamo pure che essi adottino alcuni

21. Amaterasu-ō-mikami no ō-mikokoro 天照大御神の大御心.

Page 47: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

239motoori norinaga: tamakushige

principi per scopi opportunistici. Tuttavia, essi devono sempre tenere fermo i grandi fon-damenti della Via così come li ho descritti, non perdendoli mai di vista.

Un Paese sarà ben governato solo se le persone di rango inferiore rispettano quel-le di rango superiore. Se i membri della classe reggente dimostrano profondo rispetto per i superiori, a loro volta anche le classi inferiori dimostreranno uguale rispetto per i loro superiori, e il Paese sarà naturalmente ben governato. Nell’epoca presente gli shōgun Tokugawa governano secondo i disegni divini di Amaterasu-ō-mikami trasmessi dalla Corte Imperiale. Altre generazioni dello shōgunato sono succedute a Azumateru Kamu Mioya no Mikoto, e hanno amministrato il governo nella stessa maniera. Il Paese è diviso in provincie e distretti, ciascuno dei quali è affidato a un daimyō. Ma coloro che vivono nei fedi non sono proprietà dei daimyō, né il Paese è di proprietà dello shōgun. La divinità Amaterasu-ō-mikami ha affidato il Paese imperiale e coloro che lo abitano alla casa degli shōguns discendenti di Azumateru Kamu Mioya no Mikoto. Perciò le leggi di Azumateru Kamu Mioya no Mikoto e le leggi delle generazioni degli shōguns sono, di fatto, le stesse leggi e ordinamenti della divinità Amaterasu-ō-mikami. Esse posseggono un profondo significato e devono essere attuate senza alcuna violazione o trasgressione. La divinità Amaterasu-ō-mikami ha debitamente affidato al reggente locale le faccende di ciascuna provincia, e queste devono essere espletate in maniera appropriata e con zelo. Non si deve mai dimenticare, e questo è un punto estremamente importante, che la divinità Amate-rasu-ō-mikami ha affidato il popolo ai reggenti. È essenziale che i daimyō proteggano e si prendano cura del popolo, ed essi devono dimostrare agli ufficiali di rango inferiore di aver compreso questa disposizione. Essi devono tenerla sempre a mente, così da evitare qualsiasi equivoco.

Come ho affermato in precedenza, tutto ciò che accade nel mondo dipende dalle azioni delle divinità benigne o da quelle malefiche. Il principio fondamentale per discer-nere se una cosa sarà buona o cattiva non dipende quindi da alcun potere umano. La gente deve attenersi fermamente al principio fondamentale che non accade nulla che non sia in conformità con i disegni delle divinità. Se in un piccolo feudo di una provincia sus-sistono dei problemi, ciò dipende da alcune cause circostanziali che non possono essere modificate. Gli amministratori non dovrebbero cercare di eliminare immediatamente quelle cause per migliorare la situazione. Tentare di modificare e correggere con la forza qualcosa che è difficile da riformare significa porsi contro le divinità, e ciò provocherebbe un grave danno.

Uno dei profondi principi dell’Era dei kami è quello che afferma che il male e la di-sgrazia sono necessariamente parte di questo mondo, e che è impossibile creare un mon-

Page 48: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)240

do in cui siano presenti solo cose buone e propizie. Ma nella via confuciana si insegna che è possibile produrre sempre e comunque cose buone, come se si trattasse semplicemente di spazzare la polvere dagli angoli di casa. Tuttavia, ciò è impossibile. Non è forse vero che persino al tempo dei cosiddetti saggi la Cina non era del tutto priva di mali e di disgrazie? Per quanto saggio sia l’uomo, l’intelletto umano è limitato, e ciò che non si può compren-dere non si può comprendere e basta. Perciò un’azione compiuta con la convinzione che sia buona può in realtà risultare essere cattiva; qualcosa che è ritenuto cattivo, ed è per ciò stesso proibito, può risultare invece essere relativamente buono. Inoltre, qualcosa che nel presente è ritenuto un bene può domani risultare cattivo, mentre qualcosa che nel presente è ritenuto un male può contenere dei principi positivi per il futuro. Tutto ciò è incomprensibile per l’uomo.

Molte sono le cose che l’intelletto umano non comprende. Tuttavia, ciò che accade nel mondo è in conformità con i disegni delle divinità. Stando così le cose, ci saranno al-cuni che, convinti che non spetti affatto all’uomo intervenire, riterranno di affidare ogni cosa ai disegni delle divinità, lasciando che il bene e il male si annullino a vicenda. Ma anche questo è un grave errore. Fa parte della Via dell’umanità che le persone si adope-rino a compiere qualcosa nei limiti delle loro capacità. Si deve però comprendere che la fattibilità o meno di un’azione non dipende dal potere umano. È vero che non si deve fare alcunché per forza ma, d’altra parte, non fare ciò che si deve, e lasciare che le cose si evol-vano spontaneamente, è contrario alla Via dell’umanità.

Questo principio è stato pattuito durante l’Era dei kami. La divinità Ōkuninushi ha ceduto l’impero alla successione degli Imperatori discendenti dall’augusto nipote ob-bedendo ai decreti delle divinità del cielo. La divinità Amaterasu-ō-mikami e la divinità Takami Musubi stipularono un patto secondo il quale la linea degli Imperatori che di-scendono dall’augusto nipote saranno incaricati di amministrare gli affari secolari del mondo, mentre la divinità Ōkuninushi si prenderà cura degli affari sacri. Ciò è stato sta-bilito da tempo immemorabile. Gli affari sacri hanno a che fare con la guerra e la pace dell’impero, la fortuna e la calamità, la miseria umana e la felicità e via dicendo — tut-te cose, queste, che sono causate da forze imprevedibili. Essi dipendono dalle azioni di divinità che sono invisibili. Gli affari secolari, invece, sono controllati dagli Imperatori discendenti dalla divinità Amaterasu-ō-mikami, e consistono nel governo e nell’ammi-nistrazione dell’impero. Il patto, quindi, non stipula che il governo dell’impero debba essere trattato come un affare sacro. Gli affari secolari, essendo governati dagli Imperatori discendenti dall’augusto nipote, devono essere espletati in quanto tali. Il governo è al mo-mento ripartito in modo tale che gli affari secolari dell’amministrazione governativa sono

Page 49: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

241motoori norinaga: tamakushige

posti in atto provincia per provincia. In ciò risiede il fondamento del principio secondo il quale ognuno deve compiere ciò che è necessario e appropriato al suo status sociale.

Poiché gli affari del mondo seguono in tutto e per tutto i disegni delle divinità, gli affari secolari non sono fondamentalmente separati dagli affari sacri. Tuttavia, vi è qui una differenza. Supponiamo che le divinità siano come gli uomini e le faccende sacre come le azioni umane. Quando si tratta di faccende sacre, diciamo pure che gli uomi-ni sono come dei burattini e le faccende sacre come i movimenti impressi sui burattini. Questi burattini hanno testa, braccia e gambe, e i loro vari movimenti dipendono dagli uomini che li manipolano. Tuttavia, i movimenti dei burattini sono distinti da quelli degli uomini che li muovono. Essi hanno testa, braccia e gambe e solo se i loro movimenti sono eseguiti in maniera perfetta siamo in grado di riconoscerli come dei burattini. Se sono privi di questi elementi e i loro movimenti sono imperfetti, come potremmo definirli dei burattini? Se comprendiamo questa distinzione, riconosciamo anche che dobbiamo fare del nostro meglio per quanto riguarda le faccende secolari22.

Al principio, la divinità Ōkuninushi del grande santuario di Izumo amministrava l’impero e guidava le migliaia di divinità. Ōkuninushi è la divinità che controlla le fun-zioni sacre del mondo in conformità con il patto discusso in precedenza e quindi tutti uomini, a qualsiasi rango appartengano, devono temerla, rispettarla e onorarla.

Tutte le faccende del mondo dipendono dallo spirito delle divinità, e dal mattino alla sera non dobbiamo mai scordarci della loro tutela. Per il bene del governo, così come per il nostro bene, è essenziale che si venerino le varie divinità. Sin dal principio si vene-ravano le divinità benigne, e si offrivano loro preghiere per un buon auspicio. Fa parte dell’antica Via venerare anche le divinità irrequiete per evitare la sventura. Gli studiosi confuciani non smettono di sostenere che la fortuna o la sfortuna, la sciagura o la feli-cità, dipendono dalla correttezza o onestà del cuore, dalle azioni buone o cattive di una persona. Essi affermano che pregare le divinità è da sciocchi, e si chiedono come possano le divinità prestare ascolto alle nostre invocazioni. Manifestare apertamente le proprie idee personali e ridicolizzare ciò che riguarda le divinità è una forma di intellettualismo tipica della rozza Cina. Gli errori sorgono perché essi non conoscono il principio secondo il quale, tra le varie divinità, esistono anche quelle malvagie, e sono queste ultime che causano le sventure.

22. L’analogia di Norinaga può sembrare bizzarra ai lettori occidentali, i quali pensano ai burattini come ad oggetti inanimati senza volontà o indipendenza di movimento. Affermare perciò che gli uomini devono, in quanto burattini, fare del loro meglio per quanto riguarda le faccende secolari pare essere senza senso. Tuttavia, i burattini giapponesi al tempo di Norinaga, così come nel teatro giapponese bunraku (文楽), erano manipolati in maniera tale che agli occhi degli spettatori parevano possedessero una vita propria.

Page 50: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)242

Consideriamo ora quale debba essere la forma di governo all’interno del conte-sto secolare, e proviamo anche a pensare a quali siano i compiti che gli uomini devono svolgere in conformità con la Via. Innanzitutto dobbiamo affermare che nell’antichità l’Imperatore governava il regno. L’antico testo afferma: «L’Imperatore governa il regno assecondando il volere delle divinità»23. L’Imperatore aveva fatto suo la volontà della di-vinità Amaterasu-ō-mikami e svolgeva tutte le varie faccende così come esse sono state stabilite nell’Era dei kami. Quando incontrava qualcosa che gli riusciva difficile risolvere da solo, egli chiedeva consiglio alle divinità mediante la divinazione. In nessuna questio-ne egli si affidava alla saggezza del suo intelletto: questa è la vera Via e il modo corretto di atteggiarsi. In quell’epoca i cuori degli ufficiali, così come quelli di ogni individuo, erano retti, e non vi era differenza alcuna tra il loro volere e quello dell’Imperatore. Tutti rispet-tavano la Corte Imperiale e osservavano fedelmente le disposizioni che venivano dall’alto. Essi non hanno cercato minimamente di affidarsi alle logiche del proprio intelletto, e per questa ragione sia i superiori che i subalterni erano in armonia tra loro, e il governo dell’impero prosperava.

Ma quando furono introdotte e adottate le vie dei rozzi cinesi, si iniziò a proporre altre teorie, e ciascuno iniziò ad usare la logica del proprio intelletto. Coloro che erano inferiori smisero di adeguarsi alla volontà dei loro superiori. Sorsero inevitabilmente dei problemi, e il governo ne risentì indebolendosi, così che alla fine non ci fu differenza alcu-na tra le usanze malefiche dei rozzi cinesi e quelli del nostro Paese.

Gli elementi introdotti dai Paesi stranieri occidentali sono stati numerosi, e ciò era in accordo con i disegni delle divinità, sia benefiche che malefiche. Ciò è successo per una questione di principio. Discutere in profondità i dettagli di quanto accaduto sarebbe trop-po lungo. Con il passare del tempo, le circostanze, così come pure il cuore delle persone, subirono un cambiamento. È una prassi comune considerare questo mutamento come un processo naturale, ma di fatto non fu così — esso dipendeva invece dall’azione delle divinità. Poiché tutti questi cambiamenti, che si sono protratti fino ad oggi, sono stati causati dalle divinità, essi superano di gran lunga ogni potere umano. Di conseguenza, vi sono molte cose spiacevoli che non possono essere rettificate. Noi violeremmo i piani che le divinità hanno predisposto per quest’epoca se intendessimo riformare con la forza il governo e la condotta degli individui nel tentativo di ristabilirli nella loro forma antica usando come pretesto l’idea che questa è la volontà dell’antica Via. Una simile iniziativa sarebbe decisamente contraria ai propositi della Via. Il presente governo deve confor-

23. Nihon shoki, in nkbt 68, pp. 300–1; W. G. Aston, trad., Nihongi, op. cit., 2, p. 226.

Page 51: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

243motoori norinaga: tamakushige

marsi ai modelli odierni, e non deve violare le normative dei reggenti attuali. L’ammi-nistrazione deve mantenere quelle forme che sono state tramandate fino ad oggi e non dovrebbe permettere che esse cadano in rovina. In ciò risiede il significato della vera Via. Non operare alcun cambiamento ben si accorda con il proposito dei tempi antichi di «go-vernare il regno assecondando il volere delle divinità».

Riguardo poi ai castighi, si possono senz’altro concedere delle grazie laddove sia appropriato — dato che vi è stato un precedente simile registrato durante l’Era dei kami riguardante il volere della divinità Amaterasu-ō-mikami. Ma esistono dei periodi straor-dinari in cui si devono mettere in atto determinate misure punitive. Anche nell’antichità ci furono persone che avevano commesso delle trasgressioni e che furono giustamente castigate — anche se ciò significò condannare a morte molti individui. Anche questa disposizione è in accordo con la Via dell’Era dei kami, e deve essere seguita anche oggi24. Le divinità hanno un loro disegno per ogni cosa, il quale è appropriato per i tempi e le circostanze.

Vi è poi la condotta delle classi inferiori. In primo luogo, ogni uomo tra origine dal musubi no mi tama. Per sua natura l’uomo è sin dalla nascita dotato di tutto ciò che necessita per svolgere l’attività che gli è stata affidata, e perciò può portarla a termine senza alcun bisogno di istruzioni particolari. Egli deve servire con dovizia il suo signore, stimare i suoi genitori, venerare i suoi antenati, mostrare benevolenza nei confronti della moglie, dei figli e dei servi, e vivere in armonia con gli altri. Egli deve inoltre dedicarsi con passione alla professione di famiglia. Questo è ciò che l’uomo deve fare. E poiché esistono questi doveri, essi devono essere debitamente compresi e diligentemente portati a termine, senza che per questo la persona adotti gli insegnamenti di altri Paesi stranieri.

Ma vi sono individui dal cuore malvagio che si dimostrano negligenti nell’adem-piere i propri doveri. Il fatto che simili individui complottino e si comportino in maniera cattiva nei confronti delle persone e della società, anche questo dipende dalle divinità malefiche.

Fa parte del principio dell’Era dei kami che il mondo non sia privo di queste persone malvagie. Non solo riguardo alle persone, ma anche per tutto ciò che esiste, è impossibile

24. Ci sono undici casi registrati di esecuzioni durante i secoli vii, viii e ix, di solito riguardanti aristocra-tici e membri della famiglia imperiale accusati di complottare sedizioni e ribellioni. Dal 810 le esecuzioni che fecero seguito alla guerra Hōgen del 1156, esiste un solo caso di esecuzione capitale, quella di Fujiwara Fumiaki 藤原文明 avvenuta nel 985. Due persone ebbero la loro condanna commutata nel 438 e nel 782. Nel 786 ben 340 truppe di provincia ebbero la loro condanna a morte commutata in lavori forzati presso la provincia di Mutsu. Cfr. R. K. Reischauer, Early Japanese History (c. 40 bc–ad 1167), Princeton University Press, 1937, part A, pp. 75, 126, 146, 216, 224, 233, 309.

Page 52: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)244

che esista solo il bene, dato che il male fa parte di questo mondo. Tuttavia, si possono eliminare gli eccessi del male, o vi si può almeno porre rimedio; una persona estrema-mente malvagia può ravvedersi grazie all’istruzione, e anche questo fa parte della Via. Il principio che regge un simile pensiero può essere trovato nel rituale di purificazione della divinità Izanagi praticato presso il Tachibana no Odo.

In generale, le divinità sono inclini alla clemenza e perdonano tutto ciò che può es-sere condonato. Esse gioiscono per il piacere provato dagli uomini che vivono in armonia e allegramente. Non dobbiamo quindi rimproverare troppo severamente coloro che non sono completamente malvagi. Limitare la loro condotta e disciplinarli eccessivamente non è in accordo con la volontà delle divinità imperiali. Non vi è alcuna utilità in una si-mile pratica. Al contrario, essa induce la gente ad essere gretta e astuta e, in larga misura, ancor più malvagia.

Nella rozza Cina, che possiede degli insegnamenti banali, sono molte le persone malvagie intrise di ingegnamenti cattivi. La prova di quanto detto risiede nel fatto che, generazione dopo generazione, diventa sempre più difficile governare il Paese. Essi igno-rano il principio della clemenza, ed è usanza della rozza Cina far uso di rigidi regolamenti per trasformare tutti in persone estremamente buone che primeggiano in tutto ciò che fanno. È come tentare di racchiudere l’intero anno nel tepore dei mesi di marzo e aprile. All’uomo non piace il clima caldo o freddo, ma è proprio perché esiste l’estate e l’inverno che i prodotti agricoli possono crescere. Lo stesso vale per il mondo. Poiché ci sono delle cose fauste, devono esserci anche delle cose infauste. Dato che esiste il male, esiste anche il bene. Dato che esiste il giorno, esiste anche la notte. Dato che ci sono persone ricche, devono esserci anche persone povere. Questi sono i principi.

I tempi antichi sono considerati un periodo in cui la Via era praticata correttamen-te, eppure proprio secondo questi principi, in quel tempo esistevano anche delle persone malvagie. La gravità dei loro atti malefici non ha permesso ai reggenti o ai concittadini di perdonarli. Tuttavia, anche se nell’antichità esisteva il male, la maggioranza delle per-sone aveva un cuore retto e sincero. Essi trascorrevano la loro vita obbedendo alle leggi dei reggenti, e ciascuno di loro cercava di osservarle in conformità con lo status sociale assegnato loro. Tutto ciò vale anche oggi. A causa della gravità delle loro azioni, coloro che fanno il male non sono perdonati dal reggente o dai concittadini. Quanto al resto, le persone non devono essere eccessivamente condannate per quelle azioni che deviano solo leggermente dal principio.

Oggigiorno la gente dovrebbe cercare di obbedire umilmente alle leggi dei reggenti, e non adottare strane vie solo per dar l’impressione di essere intelligente. Si devono com-

Page 53: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

245motoori norinaga: tamakushige

piere le cose che devono essere portate a termine in questo nostro mondo di ora. A ciò non vi è alternativa alcuna. Questo è il significato della vera Via che ci è stata trasmessa dall’Era dei kami.

Con rispettoMotoori Norinaga25

La presentazione di questo testo, a cura di John Brownlee, era apparsa sul numero dei Quaderni del CSA 14/2: 91–102

25. [J. Brownlee, «Tamakushige», Monumenta Nipponica, 1988, 43/1: 45–61. L’autore, in nota, afferma che la sua traduzione è basata sul testo annotato presente in Ienaga Saburō 家永三郎, ed., Kinsei shisōka bunshū 近世思想家文集, nkbt 97, Iwanami, 1966, pp. 295–347].

Page 54: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Novelle bengalesi - IX

A cura di Antonio Germano

Un nastro per i capelli

Dedicherei questo racconto a tutte le mamme del mondo, la cui festa si celebra nel mese di maggio. Il racconto mette in risalto il ruolo di una mamma non solo nell’ambito famigliare, ma anche nell’ambito delle relazioni umane. La trovata del nastro rosso per i capelli della povera Shobha, disprezzata dalle compagne perché scura di pelle, riesce a cambiare come d’incanto i rapporti tra le quattro ragazze del racconto e, oltre a infondere fiducia alla Shobha, apre anche la via ad una stretta collaborazione fra di loro. «Shobha» in lingua bengalese significa «bella», «gentile», e però le sue compagne le hanno affibiato il titolo spregevole di «Peci», che in lingua bengalese è il nome della civetta e, se applicato alle ragazze, significa «brutta» e «maleducata». Compare nel racconto il nome di un dolce, caro soprattutto agli indù, ma largamente diffuso in tutti gli strati della popolazione. Si tratta della pitha, un impasto di farina di riso e rosh. Rosh è il succo estratto dal tronco della palma di datteri, chiamata khejur. I datteri qui in Bangladesh sono grappoli di piccole bacche, poco apprezzate. Molto apprezzato invece è il rosh, con cui poi si fa il golosissimo gur, una specie di melassa. La pitha viene prodotta soprattutto nel mese di Poush (metà dicem-bre-metà gennaio).

• •

Tornata da scuola, Sufia, sciorinando parole frivole, si recò in cucina. Mili e Mukti, le ragazze della casa d’accanto, sbirciavano dalla finestra. Anche a loro dalla strada

arrivava il profumo delle pitha. La madre sorrise e le invitò a sedersi. Poi chiese: «Beh, come va a scuola?». Esse risposero: «Per tutte le ragazze i risultati sono stati buoni, solo Peci non è stata promossa». «Peci? Chi è questa Peci?». «Come, non lo sai? Quella ragazza dalla pelle scura della casa di fianco! Sui quaderni di scuola fa solo scarabocchi e tiene i conti del bazar; non si unge i capelli; parla sempre col broncio e per questo tutti la chiamano Peci». «Oh, voi state parlando di Shobha? … Poveretta! Sua madre è sempre ammalata e a quella piccola ragazza tocca accudire i suoi tre fratelli e sorelle, Deve fare la spesa, raccogliere la legna e cucinare… Siete capaci voi di fare tutto quel lavoro?… Su, prendete le mie pitha, assaggiatele e ditemi se vi piacciono».

Quaderni del CSA 14/4: 246–252 2019 Centro Studi Asiatico

Page 55: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

247germano: novelle bengalesi - ix

Le ragazze, riflettendo sulle parole ascoltate, cominciarono a mangiare. Alla fine la madre disse:«Potete farmi un favore? Non lo dovete dire a nessuno, però!». «Lo faremo e non lo diremo a nessuno. Parola data!». La mamma si intrattenne a lungo con loro per spiegare tante cose. Sulle labbra delle ra-gazze apparve spesso il sorriso. Poi Mukti e Mili se ne andarono a casa. Da parte sua Sufia si recò da Shobha e le disse: «Mia madre si è arrabbiata e mi ha detto: Come mai Shubha non è venuta a mangiare la pitha?».Shobha venne e si sedette a mangiare. Poi la mamma di Sufia le disse: «Shobha, i tuoi capelli sono meravigliosi! Toh, prendi questo nastro rosso e legalo ai ca-pelli. Però, tu devi farmi un favore. Tutti i giorni, uscendo di scuola, ti fermerai qui. Dopo aver finito i compiti con Sufia, andrai a casa. Ho sentito che tu sei molto brava in mate-matica, è vero?». Sufia la guardò sorpresa.Il giorno dopo i suoi lunghi capelli erano brillanti d’olio e tenuti legati con il nastro rosso. Andando a scuola, Mili l’incontrò e le disse di sorpresa: «Ah, Shobha, oggi tu appari splendida!». Questa volta Shobha sorrise e col sorriso sulle labbra entrò in classe. Quindi Sufia le disse: «Shobha, quando sorridi tu appari molto bella». Quel giorno la maestra non la rimproverò. Al momento dell’intervallo giocò insieme a Sufia e Mili e rideva di gusto. Nel tornare a casa, si fermò a casa di Sufia. Veramente, a forza di andare al bazar, era in grado di risolvere velocemente i problemi di matematica, ma in tutte le altre materie era rimasta indietro. In compagnia di Sufia, le bastarono sei mesi per rimettersi alla pari. Ma il suo modo di comportarsi era cambiato radicalmente. Sentendo i commenti di lode delle sue tre ami-che, Shubha imparò a sorridere. Ora nessuno più la chiamava Peci. Al termine dell’anno la maestra le disse: «Shubha quest’anno si è classificata quarta agli esami, però nessuna come lei ha fatto tanti progressi. Vieni, Shubha, prendi il premio che ti meriti!». Gli occhi di Shubha si riempirono di lacrime. Prese il bel libro fra le mani colma di com-mozione. Strinse fra le braccia Sufia, poi, abbracciando Mili e Mukti, scoppiò in pianto. Aveva compreso la ragione per cui era diventata un’altra.

Page 56: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)248

Il nonno esce di scena

Il racconto ci presenta un quadro famigliare tipico del Bangladesh, in cui manca l’assistenza sani-taria e può andare dal medico e curarsi solo chi ha i soldi. Vediamo un papà ammalato, che non può andare al lavoro e quindi tutta la famiglia ne risente a cominciare da Manik, che è estromes-so dalla scuola, perché non può comprarsi i libri. Compare anche la figura simpatica del nonno paterno, chiamato affettuosamente dadu, che è il titolo che si dà anche a tutte le persone anziane. Per definire il grado di parentela nell’ambito della famiglia e nella cerchia più larga degli zii e zie, nonni e nipoti c’è tutta una cultura estremamente interessante. Nella lingua bengalese ogni grado di parentela ha la sua designazione precisa. Se in una famiglia, per esempio, ci sono 4 fratelli, il primo si chiamerà boro bhai, il secondo mejo bhai, il terzo sejo bhai e l’ultimo choto bhai. C’è poi la lunga serie di nipoti, cugini e cugine, zii e zie, cognati, nonni e nonne, tutti identificati con un nome ben preciso e nessuno si sbaglia a riguardo. Il nome è quanto mai significativo in questa cultura ed è come il filo di seta che tiene unito tutto il ghosthi (il clan).

• •

Tornato da scuola, Manik disse alla mamma: «Ma1, io a scuola non ci vado più! Tutti hanno i libri, soltanto io non li ho. L’insegnante mi ha detto di rimanere a casa se non

compro i libri». La mamma rimase in silenzio. Il papà di Manik non si era ancora ristabilito dalla malattia. Il nonno prima aveva un lavoro al Comune. Ora, all’età di 60 anni, era stato licenziato con una piccola somma di danaro. Quei soldi, però, adesso stavano finendo… La mamma di Manik, tra sé e sé, pensò: «Che cosa darò da mangiare al marito, al suocero e ai tre figli?». Disse perciò al figlio: «Ragazzo mio, abbi pazienza per qualche giorno; appena tuo padre sarà in grado di anda-re al lavoro, ti comprerà i libri». Manik, arrabbiato, se ne stava andando, quando il nonno lo chiamò: «Manik, quant’è il costo dei libri di sesta?». Manik rispose: «500 take2. Il nonno disse: «Su, vieni, andiamo al bazar». La mamma fece molte rimostranze, andò sulle furie, ma il nonno non diede ascolto alle sue parole.Un’ora dopo Manik, in compagnia del nonno, tornò a casa con i libri e col sorriso sulle labbra. La mamma si trovava allora in cucina e piangeva, ma nessuno lo notò. Manik cominciò a sfogliare i libri ed il nonno si mise ad insegnare ai piccoli.

1. Così è chiamata in bengalese la mamma.2. Cinque euro.

Page 57: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

249germano: novelle bengalesi - ix

Passò un mese. A casa, con l’indigenza aumentavano anche le liti. Il nonno rimaneva fuo-ri quasi tutto il giorno e si faceva vedere solo di notte. Si fermava ad insegnare ai piccoli, mangiava un boccone e andava a dormire. Ma un giorno Manik, al mattino, di fianco al letto, trovò una lettera.«Dadu3, finché ci sarà indigenza, io non potrò mangiare il vostro riso! Mi cercherò un lavoro e troverò il modo per sopravvivere. Con affetto. Il tuo nonno».Letta la lettera, Manik scoppiò in un fiume di lacrime. Anche il fratellino e la sorellina si unirono al suo pianto. Quel giorno nessuno di loro andò a scuola ed in coro comincia-rono ad accusare la mamma: «Perché tu litighi in continuazione col nonno? Egli se n’è andato via, ora bisogna riportarlo a casa! Il nonno era tanto buono, spendeva il tempo ad insegnarci, giocava con noi e non ci rimproverava mai. Sei stata tu ad allontanare il non-no, ora tocca a te riportarlo a casa». Alla fine anche la mamma cominciò a piangere. Ma a cosa serviva piangere? Nessuno sapeva dove il nonno si trovava. Alla fine tutti rimasero in silenzio. In casa nessuno più litigava e nessuno più rideva. Manik, marinando la scuola, cercava di qua e di là il nonno. Tornato a casa di notte si mise a dormire. Se la mamma non lo avesse chiamato, non an-dava neppure a mangiare.Un mese dopo arrivò a casa sua una lettera del nonno: «Dadu, io sto bene, tuo padre e voi tutti come state? Me lo farai sapere spedendo una let-tera al seguente indirizzo: Postino Abdul – Khulna g. p. o. Egli mi troverà». Manik si recò immediatamente alla stazione e salì sul treno per Khulna. Giunto a Khul-na, dopo aver camminato a piedi per un’ora e mezzo, si recò all’ufficio postale e trovò il postino Abdul, che gli mostrò una immensa estensione di terreno, dove la gente rompeva i mattoni. Manik incominciò a cercare fra di loro, ma non riuscì a trovare il nonno. Pian-gendo se ne stava tornando, quando qualcuno lo chiamò: «Dadu, eccomi qui!».Manik con un balzo gli saltò al collo e lo abbracciò dicendo: «Dadu, noi continuiamo a piangere per te, non riusciamo né a mangiare né a dormire. Su, andiamo; io non ti lascerò… No, tu non potrai fare nessuna obiezione, andiamo».

3. Di per sé questo è il nome con cui viene indicato il nonno; qui il nonno, affettuosamente, si rivolge al nipote chiamandolo dadu.

Page 58: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)250

Amor di Patria

Nel mezzo della tragedia della guerra, un episodio da burla, messo in scena da Bulu, per vendicare la sua amata capretta, uccisa dai soldati pakistani. I pescatori, nel mondo culturale indù, appar-tengono ad una casta inferiore, chiamata Jele. «La guerra di liberazione del Bangladesh» (Bengali Muktijuddho) fu un conflitto armato che vide schierati Pakistan dell’Est e India contro Pakistan dell’Ovest. La guerra diede origine alla secessione del Pakistan dell’Est, che divenne il Bangladesh indipendente. La guerra scoppiò il 26 marzo 1971, quando l’esercito pakistano, in risposta alle proteste di piazza, che chiedevano il rispetto della vittoria elettorale della Lega Awami (il Partito nazionalista bengalese) lanciò un’operazione militare denominata «Operazione Searchlight». Politici e società civile del Pakistan Orientale annunciarono la dichiarazione di indipendenza del Bangladesh. La resistenza bengalese venne condotta con azioni di guerriglia da parte della forma-zione partigiana Mukti Bahini («Combattenti per la libertà» o «Esercito di liberazione»), com-posta da militari dell’Est, paramilitari e gruppi civili. L’esercito del Pakistan e milizie estremiste religiose (i fondamentalisti di Razakar, Al-Badr e Al-Shams) commisero sistematicamente atrocità verso la popolazione, alla ricerca del genocidio della comunità bengalese. La svolta nella guerra arrivò il 3 dicembre 1971, con l’intervento dell’India a fianco delle truppe di Mukti Bahini. Travolto da due fronti di guerra, l’esercito pakistano non fu in grado di reggere l’urto e dichiarò la resa il 16 dicembre 1971. Ricordo inoltre che il 4 aprile 1971 il missionario Saveriano Mario Veronesi, assieme ad alcuni cristiani, fu ucciso dai soldati pakistani dinanzi al Fatima Hospital in Jessore, e qualche anno fa il Governo bengalese lo ha dichiarato eroe nazionale.

• •

Le quindici capanne indù della Jele para, situata sulla riva del fiume erano vuote. I sol-dati pakistani consideravano gli indù Mukti Bahini e perciò uccidevano tutti quelli

che incontravano. In quel mese, non essendoci i Jele, nel fiume si trovava una grande quantità di pesci. Alì, sulla riva del fiume, pescava i pesci col suo piccolo arpione. Oggi un battello aveva attraccato al pontile del fiume. Dall’interno del battello un drappello di soldati guardarono verso di lui. Vedendo il piccolo arpione di Alì, il capitano gridò: «Ecco un partigiano! Sparate!». E così Alì fu ucciso. Aveva solo quindici anni.Una settimana dopo il capitano ritornò in jeep al villaggio con dieci soldati. I Mukti Bahi-ni, appresa la notizia, uccisero a colpi di fucile il capitano e quattro soldati. Purtroppo, quando gli abitanti del villaggio vennero a portare loro la notizia, videro che la capra bianca di Bulu era stata uccisa. Bulu aveva dodici anni. Quante volte aveva bevuto il latte di quella capretta! La sua capretta aveva ora dato la vita per la Patria. Cosa farà adesso Bulu? Se non la seppellisce, gli sciacalli e cani sbraneranno la capretta. Bulu disse agli abitanti del villaggio: «C’è abbastanza spazio fra le loro tombe. Seppellitela in mezzo a loro».

Page 59: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

251germano: novelle bengalesi - ix

Gli abitanti del villaggio così fecero e fuggirono sull’altra sponda del fiume.Bulu cercò cinque mattoni. Portò da casa un secchio di calce e scrisse il nome di tutti: «Sepoy4 n. 1, sepoy n. 2, sepoy n. 3, lo stupido capitano, la capra di Bulu». Poggiati i mattoni al loro posto, se ne andò. Trascorse una settimana. Il dolore, però, co-vava dentro il cuore di Bulu. Alla fine non riuscì più resistere e ritornò al villaggio. Arri-vato sulla sponda del fiume, trovò la barca, ma non si vedeva alcun barcaiolo. Afferrato il remo, iniziò a remare. I pesci guizzavano all’interno della barca perché il barcaiolo si era servito della barca per pescare. Attraversato il fiume, Bulu attraccò la barca e si recò sulla tomba della capra. Seduto dinanzi alla tomba, cominciò a piangere.Improvvisamente da dietro sentì qualcuno che gli disse: «Ehi, tu! Chi sei?».Bulu già da tempo aveva imparato a memoria la risposta e dicendo: «Allah Akbor!». Si asciugò le lacrime e si diresse verso di loro. Erano in cinque, lunghi come il tal gach5. Gli chiesero: «Dov’è il capitano?». Bulu, alzando la mano, indicò le tombe. Essi avanzarono e cercarono di leggere la scritta sui mattoni. Ma nessuno di loro vi riuscì. Alla fine l’uomo lungo come il tal gach disse: «Qui sta il capitano!». Estrasse la bandiera dal suo zaino e la dispiegò sulla tomba della capra. Tutti portarono la mano alla fronte e per cinque minuti resero omaggio alla capra. Bulu faticò molto a trattenersi dal ridere. Pensò tra sé e sé: «Questi non sanno parlare bengalese e non sanno neppure leggere e poi vengono qui a governare la mia Patria!…». Il tal gach chiese: «Dove sono i partigiani?». «Non ce ne sono!», rispose Bulu.Il tal gach chiese ancora: «Dov’è il ponte?».Bulu rispose: «Il ponte non esiste, c’è solo questa barca».Essi scesero al pontile. Mentre salivano sulla barca, si capiva che non erano mai saliti su

4. Soldato.5. Un tipo di palma, il cui legno, molto duro, una volta veniva usato per la copertura dei tetti delle case in muratura.

Page 60: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)252

una barca e tuttavia pretendevano di governare la Patria di Bulu! Arrivati al centro del fiume, improvvisamente i pesci grossi cominciarono a guizzare dal fondo della barca. Il tal gach disse:«Ecco i partigiani! Sparate!». Tutti indirizzarono le mitragliatrici verso il fondo della barca. In poco tempo la barca af-fondò. Bulu, nuotando, si recò verso la sponda del fiume. Guardando indietro poté vedere i cinque soldati che, non sapendo nuotare, stavano affogando. Non provò nessun dispia-cere, anzi, seduto sulla sponda del fiume, disse: «Avete capito questa volta di chi è questa terra? Noi qui possiamo darvi un posto per la sepoltura, ma non vi daremo nient’altro!»6.

6. Traduzione dal bengalese del missionario Saveriano p. Antonio Germano Das.

Page 61: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4: 253–254 2019 Centro Studi Asiatico

Iswar

Kazi Nazrul Islam

In questa poesia, che costituisce il secondo sottotitolo di Samyabadi, il poeta bengalese Kazi Nazrul Islam parla di Dio e delle scritture. La sua visione fondamentale è che Dio, il Creatore, risieda, faccia parte, sia presente nella stessa essenza dell’uomo. Di conseguenza, scritture e leggi religiose varie hanno un significato secondario e comunque subordinato a questa presenza origi-naria di Dio nell’animo umano. Se le scritture hanno solo un ruolo subordinato, coloro che Nazrul chiama «i segretari privati di Dio» sono ridicolizzati ed eliminati come i suoi luogotenenti: essi possono conoscere i gioielli, ma non il Gioielliere. La metafora che Nazrul impiega per articolare ricerca di Dio, Dio stesso, le scritture e i suoi scribi è quella della perla preziosa che in una specie di grande inclusione abbraccia la poesia dall’inizio alla fine - Sergio Targa1.

• •

Chi sei tu, oh fratello, che scruti i cieli e la terra alla ricerca di Dio?Chi sei tu che vaghi tra le foreste, e che ascendi le vette dei monti?Oh rishi, oh derviscio2,Tu stringi al petto la perla che cerchi di luogo in luogo!Il creato guarda a te, ma tu tieni gli occhi chiusi, e non vedi,Cerchi il creatore, ma solo te stesso tu trovi.Oh caparbiamente cieco! Apri gli occhi, guarda allo specchio, vedi la tua immagine.Ti accorgerai che in tutte le tue forme, la sua ombra si riflette.Non temere, oh eroe, non aver paura degli specialisti delle scrittureEssi non sono di Dio3 i segretari privati4!Egli è manifesto in tutti, Egli è in tutti!Vedo me stesso e riconosco l’invisibile datore della mia vita!

1. Sergio Targa è un missionario Saveriano da oltre vent’anni missionario in Bangladesh.2. Nella tradizione vedica e indù i rishi sono i grandi saggi, coloro che hanno percepito la verità dalle ori-gini. I dervisci invece appartengono alla tradizione Islamica e indicano un tipo di sufi in cui l’ascetica ha un posto fondamentale nella ricerca della verità/Allah. Nazrul citando rishi e dervisci vuole riferirsi alle due tradizioni religiose a lui care come nazionalista Indiano: l’induismo e l’islam. 3. Significativamente la parola «Dio» usata qui dal poeta è khoda, un termine persiano, di uso comune tra i mussulmani. La stessa parola «Dio» invece usata nella prima riga di questa poesia è Jagodiswar, un termine sanscrito appartenente alla tradizione indù, il cui significato letterale è «Signore del mondo». 4. «Segretari privati» traduce l’originale inglese private secretary. Spesso Nazrul polemizza sottilmente con coloro che egli ritiene i mestieranti della religione, scribi, preti o santoni che essi possano essere. L’accusa è che essi in qualche modo monopolizzino il patrimonio religioso, si facciano sue sentinelle e ostacolino così il suo accesso a tutti.

Page 62: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)254

Mercanti commerciano in pietre preziose sulle rive dei mari,ma non sognarti di chiedere5 loro circa l’origine dei loro gioielli.Loro sono mercanti di preziosi,e pensano che conoscendo i gioielli essi conoscono anche il Gioielliere6!Ma essi non si sono mai gettati alla ricerca degli scrigni preziosi nelle immobili profondità dei mari,amico, dimentica le scritture, e buttati nelle acque degli oceani di verità7.

5. Il termine «chiedere» traduce qui l’originale pucho, un termine hindi. La poetica di Nazrul è caratteri-stica anche per l’uso spregiudicato, all’interno di una stessa poesia, di termini appartenenti a lingue diverse fra cui il persiano, il sanscrito, l’arabo, il hindi e l’inglese. Di quest’ultima lingua la poesia in analisi ha già offerto un esempio. Si veda la nota precedente. 6. La metafora dei mercanti di pietre preziose esplicita ancor di più la relazione tra i mestieranti delle reli-gioni (cioè i mercanti di pietre preziose) e le pietre preziose o i gioielli stessi (probabilmente le scritture o più genericamente, le verità religiose). Il punto cruciale qui è che questi mediatori appunto perché conoscono i gioielli pensano di conoscere il Gioielliere (cioè Dio). Nazrul è chiaro nel dire che tale equivalenza non è sempre vera: coloro che pretendono di essere «i segretari di Dio» sono solo mestieranti, e non hanno mai veramente cercato la verità appunto perché convinti di possederla.7. Fa parte della tradizione popolare dei popoli dell’India il credere che I fondali degli oceani sono gli scrigni di pietre preziose e ricchezze incommensurabili. Nazrul probabilmente fa uso di questa tradizione folkloristica adattandola alla ricchezza che la verità di Dio è.

Page 63: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

In margine

Avvertire la presenza dello Spirito Santo

Naohiko Watanabe

Page 64: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Avvertire la presenza dello Spirito Santo

Naohiko Watanabe

Quando frequentavo l’università, mi piaceva molto leggere. Un giorno, non trovando più in casa libri da leggere, notai una Bibbia del Nuovo Testamento. Non che avessi

un grande interesse; la presi solo per il fatto che non c’erano altri libri a disposizione. Ri-cordo che la prima impressione fu di un libro monotono e noioso. Però, dopo aver letto tutti e quattro i Vangeli, dicevo a me stesso: «Se questo Gesù è veramente esistito, non può essere stato che Dio».

Passò frattanto del tempo. Un giorno ebbi l’occasione di incontrare una zia che si era fatta suora e le dissi di aver letto i Vangeli e l’impressione che avevo provato. Al che lei suggerì: «Se senti interesse di saperne di più, prova ad andare in chiesa». Fu così che decisi di iniziare la catechesi per la preparazione al Battesimo e alla fine, incoraggiato anche dal prete, decisi di ricevere il Battesimo. Col passare del tempo però, preso dallo studio, dal lavoro a ore che mi impegnava spesso anche la domenica, piano piano mi allontanai dalla Chiesa.

Passati alcuni decenni, avvenne un fatto che mi lasciò molto turbato. Una delle mie dipendenti mi disse che le era stato diagnosticato un tumore al seno. Non so spiegarmi perché rimasi così angustiato, benché non si trattasse neppure di un mio familiare. Per la mia povera conoscenza di medicina, per me il termine «tumore» equivaleva a un verdetto di morte. In quei frangenti riaffiorarono alla mia mente le preghiere che avevo imparato in chiesa, in particolar modo il Padre nostro e l’Ave Maria. Non è che fossi io a decidere di ripetere tali preghiere, mi sgorgavano dal cuore e io le ripetevo così, come venivano. Non solo, ma quando non le dicevo, temevo che potesse accadere qualcosa di brutto.

Dopo vari giorni trascorsi in questo stato d’animo, capitò che un altro dipendente ebbe un incidente sul lavoro, in ditta. Si trattò di una frattura e dovette essere ricoverato in ospedale. Fortunatamente poté riprendere il lavoro dopo poche settimane, ma poiché tutti e due erano miei diretti dipendenti ne fui scosso più di quanto mi sarei aspettato.

Mi resi conto che fino a quel momento ritenevo normale che si pregasse per se stessi, mentre invece capii a poco a poco l’importanza di pregare per gli altri, provando in que-sto un senso di pace. Davvero finora non avevo mai pregato per gli altri! Quando mi resi conto di questo, sentii forte in cuore il desiderio di riprendere contatto con la Chiesa. Ma

Quaderni del CSA 14/4: 257–259 2019 Centro Studi Asiatico

Page 65: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)258

c’era un altro «io» dentro di me che diceva: «Un cristiano irresponsabile e facilone come te, potrà mai ripresentarsi in chiesa?». «Anche se entri a testa bassa, come puoi sperare che ti accolgano?». Insomma, dentro di me provavo un autentico conflitto. Ogni settimana arrivavo fin presso la chiesa, ma a causa di questo conflitto interiore non riuscivo a metter piede dentro. Dopo circa tre mesi, un sabato sera che si celebrava la Messa della vigilia, riuscii finalmente a entrare in chiesa. Appena entrai mi sentii invaso da una grande gioia. Dopo questa esperienza, mi sentii in grado di partecipare anche alla Messa della dome-nica mattina.

E fu appunto dopo la Messa della domenica che potei parlare con il prete e spiegare la mia situazione. Poi incontrai le suore e il presidente del Consiglio pastorale. In quell’an-no si celebrava il cinquantesimo anniversario della fondazione della chiesa di Izumi, e mi trovai a essere impegnato e lieto di poter dare qualche aiuto. Nell’unità pastorale di Izumi, che comprende tre chiese, si svolgeva un corso di catechesi serale suddiviso in quattro parti, ognuna delle quali comprendeva dieci sessioni. Fui invitato a parteciparvi e decisi di approfittare senz’altro di questa occasione. Questo studio, ricco di contenuto e costrut-tivo anche grazie ai momenti di condivisione, mi fu di grande aiuto.

Fino ad allora, non capivo il significato di espressioni come: «Il Signore è sempre alla ricerca di ognuno di noi», né avevo chiara consapevolezza dell’esistenza di Dio. Anzi, avevo a lungo cercato di nascondermi per non farmi trovare. Ritornando al Signore dopo tanti anni, provai anche la gioia che viene dalla certezza di essere stato ritrovato.

Recentemente ho fatto un’esperienza che mi ha fatto molto pensare. La scorsa estate, di ritorno dal lavoro, mi fermai al chiosco della stazione per prendere qualcosa da bere.

C’era un po’ di gente in attesa di pagare e fra gli altri notai una donna che, visti gli abiti che indossava, non poteva che essere una persona senza fissa dimora. Mi stupii nel vederla comperare qualcosa, e il mio primo pensiero fu di tenermi a una certa distanza perché, dato la forte calura estiva, presumevo che avvicinandomi avrei sentito un cattivo odore. Guardando da lontano, mi accorsi che dopo aver pagato, la donna mise un po’ di soldi nella cassetta per le offerte al lato della cassa. La mia prima reazione fu di collera — anche se non so se nei miei o nei suoi confronti. E non capisco neppure perché provai quella collera. Pensavo soltanto: «Ma guarda cosa fa! È senza soldi e mette un’offerta!». E in cuor mio gridavo: «Se è affamata, le compero io qualcosa». Non so spiegarmi perché, ma delle lacrime cominciarono a scendermi lungo le guance. Ogni volta che mi rammen-to di quella donna, delle lacrime mi riaffiorano ancor oggi. Ne ho parlato con il parroco. E lui mi ha detto che forse il Signore aveva scelto quella maniera per insegnarmi qualcosa, e mi invitò a far tesoro di tale esperienza. E mi pare di percepire che il mio modo di guar-

Page 66: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

259watanabe: avvertire la presenza dello spirito santo

dare le persone sia di fatto cambiato da allora.Da quando ho ripreso contatto con la Chiesa, ho invitato mia moglie a venire con

me per la Messa di Natale e di Pasqua. Tuttavia mi era parso che non avesse particolare interesse per il Cristianesimo. Dentro di me desideravo che si avvicinasse alla Chiesa, ma capivo anche che la fede nasce da una decisione personale, per cui non volli interferire.

Si presentò l’occasione di una cena insieme con il gruppo della catechesi. Invitai mia moglie, che subito acconsentì. Quando, dopo qualche tempo, iniziò di nuovo il corso delle dieci sessioni della catechesi, mia moglie espresse il desiderio di parteciparvi. E da lì, piano piano, senza alcuna forzatura, è giunta alla decisione di ricevere il Battesimo. Credo di non aver capito, all’inizio, ciò che passava nel cuore di mia moglie. Penso che attraverso l’incontro con il prete, le suore e i cristiani, mia moglie abbia sentito la mano del Signore che la guidava. Sono profondamente grato al Signore per le grazie che ha donato a me e a mia moglie.

Credere richiede sempre un’adesione personale, ma credere è anche riconoscere che il Signore non si stanca mai di cercarci e che, nonostante le nostre resistenze, alla fine ci scova sempre.

Quando si constata che il Signore ci ha trovati, si sente che ciò è dovuto alla presenza dello Spirito Santo che vive dentro di noi.

Da ultimo, non posso tralasciare di dire che la mia dipendente è guarita e ha ripreso il suo lavoro1.

1. Questo racconto di conversione è stato raccolto e tradotto dal giapponese dalla missionaria Saveriana Luisa Gori.

Page 67: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Indice 2019

Page 68: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4: 263–265 2019 Centro Studi Asiatico

Volume 14 2019

3 Paolo e la parrēsia Michel Foucault e il coraggio di dire-il-vero

Tiziano Tosolini

61 Paolo e la parrēsia Michel Foucault e il coraggio di dire-il-vero (2 parte)

Tiziano Tosolini

121 Dialogue and Missio Dei The Asian Xaverian Perspective — Taipei 12–15 February 2019

Paulin Batairwa Kabuya

193 «Questo dolcissimo, questo terribile Paolo» Jacques Derrida: decostruzioni, circoncisioni e veli

Tiziano Tosolini

RELIGIONI E MISSIONE

17 Experiences of Dialogue in Bangkok-Khlong ToeyAlessio Crippa

23 La funzione creatrice e salvifica del Logos nel Prologo di Gioavnni (Gv 1,1-18)Maria De Giorgi

29 Trinitarian ConfucianismUmberto Bresciani

34 Chiesa giapponese: una minoranza significativa Essere sale e luce della terra

Silvano Da Roit

77 Analogia Israel, analogia Christi, analogia Spiritus Uno sguardo biblico sull’analogia

Fabrizio Tosolini

80 Religiosity and Spirituality in Filipino Adolescents Understanding Them Through Developmental Psychology

Cassien Nshimirimana

85 Una domenica con la comunità cattolica di una piccola missione del Giappone

Silvano Da Roit

125 Xaverian Community and Interreligious Dialogue in BangladeshDomenico Pietanza

Page 69: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del CSA 14/4 (2019)264

134 Indonesia. Interreligious Dialogue in the Context of Religious RadicalismRaymundus Ivan

137 The Religious Missionary Formation and Interfaith Dialogue in IndonesiaVitus Rubianto and Raymundus Ivan

146 Interreligious Dialogue in the PhilippinesMatteo Rebecchi and Emanuele Borelli

148 Interreligious Dialogue. A Xaverian Way to Mission in TaiwanPaulin Batairwa Kabuya

159 Il dialogo interreligioso in GiapponeFranco Sottocornola

170 Interreligious Dialogue Ministry in Kansai (Osaka)Rocco Viviano

181 Experiences of Dialogue in ThailandAlessio Crippa

187 Dialogue and Missio Dei Interreligious Dialogue and the Xaverian Mission in Asia A Report from the Meeting Held in Taipei 12–15 February 2019

Editorial Board

209 Un libro suggestivo e suggerente G. Agamben, Altissima povertà. Regole monastiche e forme di vita

Franco Benigni

220 Le pulizie di CapodannoSilvano Da Roit

CULTURA E SOCIETÀ

41 SamyabadiSergio Targa

45 Novelle Bengalesi - vii Sumon e Sumoti / Fedeltà alla parola data / Il ladro e la capra

Antonio Germano

91 La scatola dei pettini Il Tamakushige di Motoori Norinaga

John Brownlee

103 Novelle Bengalesi - viii L’astuzia del contadino / Il falco e i piccioni / Choto Bhai

Antonio Germano

Page 70: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

265indice 2019

109 BarangonaSergio Targa

225 Tamakushige. La scatola dei pettiniMootori Norinaga

246 Novelle Bengalesi - ix Un nastro per i capelli / Il nonno esce di scena / Amor di Patria

Antonio Germano

253 IswarKazi Nazrul Islam

IN MARGINE

53 The 2018 Introduction to Japanese Culture and Society SeminarRocco Viviano

115 Il mio incontro con il CristianesimoHiromi Watanabe

257 Avvertire la presenza dello Spirito SantoNaohiko Watanabe

Page 71: Quaderni - CDSR · 2019-12-03 · La critica nietzschiana della metafisica, ... questo logocentrismo assume i distinti contorni di un fonocentrismo nel momento stesso ... al contempo,

Quaderni del Centro Studi AsiaticoXaverian Missionaries