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NewsCinema Magazine - Novembre 2014

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Il numero di Novembre della rivista mensile legata al portale online www.newscinema.it con tante recensioni e curiosità sui film in uscita, un'intervista esclusiva al regista di Gomorra - La Serie e uno speciale su Woody Allen.

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INTERSTELLARUn film di fantascienza con un cuore pulsante di umanità

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Il terzo film di Christopher Nolanesplora l’Universo ed emozionadi Letizia Rogolino

Uno dei film più attesi del 2014 è  Interstellar di

Christopher Nolan, nelle sale italiane dal 6

Novembre distribuito dalla Warner Bros.

Quando pensi di aver visto tutto sul grande

schermo, questo regista visionario e moderno

che ha firmato pellicole come Inception e Il

Cavaliere Oscuro,  sorprende ancora una volta

con una storia di fantascienza dal cuore umano.

Matthew McConaughey interpreta Cooper, un

ex ingegnere che vive come  agricoltore nella

campagna americana, fino a quando il mondo

richiede il suo aiuto per essere salvato.  In un

futuro imprecisato, un drastico cambiamento

climatico colpisce  duramente l’agricoltura e un

gruppo di scienziati, sfruttando un “whormhole”

per superare le limitazioni fisiche del viaggio

spaziale e coprire le immense distanze del

viaggio interstellare, cercano di esplorare nuove

dimensioni. Il granturco è l’unica coltivazione

ancora in grado di crescere e loro sono

intenzionati a trovare nuovi luoghi adatti a

coltivarlo per il bene dell’umanità. Cooper sembra

essere l’uomo giusto, ma deve prendere una

dura decisione: abbandonare i due figli per una

missione nello spazio sconfinato, senza sapere

quando e se potrà tornare ad abbracciarli.

“Per me l’esplorazione dello spazio rappresenta

l’estremo assoluto dell’esperienza umana” ha

detto il regista, confermando la ricchezza della

struttura narrativa di questo film, aperto ad

infinite esperienze, sia fisiche che emotive. Dalla

prima all’ultima scena il ritmo è sostenuto e la

tensione si percepisce vivamente, fino ad

un’esplosione di sensazioni nel finale epico ed

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emozionante, anche grazie alla suggestiva colonna

sonora del mitico Hans Zimmer.

Lo spazio non è solo uno scenario magico e avvolgente

in cui i personaggi si muovono e cercano di portare a

termine la loro missione, ma diventa uno strumento per

fare i conti con i propri fantasmi e la propria natura

inguaribilmente umana. Come Gravity o il precedente

Moon, il film parla di un’avventura nell’universo, ma il

motore della storia è il cuore pulsante di umanità, il

concetto di famiglia, avvolto da una fantascienza nuova

tra poesia e misticismo.

McConaughey regala un’altra sua ottima interpretazione,

commovente e  dirompente nello stesso momento,

lasciando dietro Jessica Chastain e Anne Hathaway,

convincenti ma abbastanza ordinarie.  Nolan sceglie il

registro di una potenza visiva delle immagini, che

donano al film un fascino estetico  senza precedenti, e

permette allo spettatore di esplorare insieme a lui

quell’universo silenzioso, esteso ed enigmatico, che

nasconde sorprese e prove dietro l’angolo.

“Una fantascienza nuovatra misticismo e poesia”NE

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L’attore premio Oscar parla di Interstellar:“La sfida più grande? Girare in Islanda!”a cura di Redazione

Il premio Oscar® Matthew McConaughey è sbarcato a

sorpresa a Roma per presentare Interstellar, l’atteso

nuovo film del visionario Christopher Nolan (Il Cavaliere

Oscuro, Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno,Inception), di cui

è protagonista insieme ad Anne Hathaway, Jessica

Chastain, Mackenzie Foy e Michael Caine.

Dopo aver presentato il film a Londra nella conferenza

stampa ufficiale della première europea, l’attore ha

parlato con alcuni giornalisti rispondendo ad alcune

domande sul kolossal in arrivo nelle sale italiane il 6

novembre. Interstellar racconta la storia di un gruppo di

scienziati che sfrutta la potenza dei misteriosi

“wormhole” per compiere viaggi interstellari alla ricerca di

una speranza per l’umanità. Matthew McConaughey ha

raccontato di alcune intense scene che ha dovuto girare

sul set, molto emotive ed emozionanti. “Spesso ero in

ansia prima di girare, ma un attore deve anche rilassarsi

al massimo per entrare al meglio in rapporto con il

personaggio e la scena, quindi non potevo permettermi

di essere teso. Mi sono buttato in quelle scene senza

pensarci eccessivamente.”

In particolare vi è stata una sequenza chiave

dove:  “Christopher Nolan mi disse che la prima ripresa

doveva essere quella definitiva, in quanto le emozioni

sarebbero state irripetibili. Così aggiunse un paio di

telecamere e alla fine andò bene proprio quella prima

ripresa, che catturò la mia vera e autentica reazione, che

poi è rimasta nel film.” Un ruolo impegnativo quello di

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Cooper non solo dal punto di vista emotivo, ma anche da

quello fisico, tra ingombranti tute da astronauta e set con

condizioni climatiche avverse: “La sfida più grande è stata

girare in Islanda. Vestivo una tuta pesante quasi 20

kilogrammi, scarpe con rampini, un forte vento e molto

freddo. Ero esausto, e tutto doveva svolgersi in condizioni

di sicurezza: ogni nostro passo sul ghiacciaio doveva

essere completamente sicuro, perché era molto

pericoloso. Anche le scene a gravità sono state

impegnative, dove ero sospeso a molti metri di altezza dal

suolo sospeso, e ci siamo preparati per ben tre settimane

prima di girarle.”

Interstellar è pregno di teorie fantascientifiche e

scienza applicata, un po’ come da tradizione per molte

pellicole dirette da Nolan. McConaughey ha spiegato di

aver compreso tutto durante le riprese anche grazie

all’aiuto dell’astrofisico teorico Kip Thorne, autore di

alcune celebri teorie e produttore esecutivo del film:

“Comprendere le varie nozioni è stato uno dei miei primi

compiti dopo aver letto per lo script per la prima volta.

Avevo molti dubbi, così ho chiamato Kip Thorne, e lui mi

ha spiegato tutto nel miglior modo possibile. Anche

Christopher Nolan mi ha aiutato molto, e quotidianamente

rispondeva ad ogni mio quesito, sulla gravità, sullo spazio-

tempo.” L’attore ha poi parlato del suo Cooper, padre di

famiglia che si trova di fronte a scelte importanti come

dover abbandonare i suoi figli per salvare il mondo e dare

speranza all’umanità: “Sono d’accordo con tutte le scelte

che fa Cooper. Non so cosa avrei fatto al suo posto, ma so

perché l’ha fatto. Ci sono enormi conseguenze per ogni

decisione che prende, che sono coraggiose,

molto difficili, ma sono scelte ponderate, e le

compie per un bene superiore. [...] Avrei potuto

girare questo film anche prima di diventare

padre, ma essendolo già ho inevitabilmente e

instintivamente messo dentro il film e il rapporto con il

personaggio di mia figlia molte delle mie esperienze

personali, ed è stata una cosa molto importante.”

Christopher Nolan ha scelto personalmente l’attore

ancor prima che lo script fosse completo. McConaughey

ha parlato del primo incontro con il regista: “Ero sicuro che

mi aveva chiamato perché aveva qualcosa da propormi e

sapevo che era un incontro importante. Voleva vedermi lui,

non lo studio o i produttori. A sorpresa non mi ha parlato

subito del film o del personaggio, come si fa abitualmente.

Abbiamo parlato del fatto di diventare padri, di essere

uomini, abbiamo anche scherzato insieme. Probabilmente

voleva capire se ero l’uomo giusto per la parte, se ero un

attore con cui era pronto a passare sei mesi insieme sul

set.” Qual è il tema più importante del film? “Il messaggio

più importante è che le nostre aspettative, le aspettative

del genere umano, i nostri sogni devono essere anche più

grandi di noi stessi. Dobbiamo sempre pensare in grande.

Il mio personaggio è più consapevole di chi è e da dove

proviene, perché ha lasciato quello che conosceva, per

comprendere meglio quello che non conosceva. Impari

qualcosa su te stesso quando ti abbandoni e ti perdi,

impari qualcosa sulla tua casa e su quanto conta per te

solo quando la lasci.”

Il nostro pianeta merita di essere salvato, proprio

come Cooper e l’equipaggio dell’Endurance cercano di

fare? “Lo spero! È un gran pianeta!” ha concluso con un

sorriso il premio Oscar®.

“Vestivo una tuta pesante quasi 20 kg, scarpe con rampini, un forte vento e molto freddo. Ero esausto...”

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HUNGER GAMES: IL CANTO DELLA RIVOLTA - PARTE 1

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Il 20 novembre uscirà in tutti i cinema italiani la prima parte del terzo e ultimo capitolo di Hunger Games: Il Canto della Rivolta - Parte 1. Scritto da Danny Strong e Peter Craig, diretto da Francis Lawrence e interpretato ancora una volta dal premio Oscar Jennifer Lawrence e da Josh Hutcherson, Liam Hemsworth, Woody Harrelson, Elizabeth Banks, Julianne Moore, Philip Seymour Hoffman e tanti altri, Il Canto della Rivolta vede la bella e agguerrita Katniss Everdeen (Jennifer Lawrence) alle prese con la difficile missione di salvare Peeta (Josh Hutcherson) e l’intero Paese dalle grinfie del crudele Presidente Snow (Donald Sutherland). Come abbiamo visto nel precedente capitolo Katniss è riuscita nell’intento di colpire il campo di forza che circonda l’arena ponendo fine una volta e per tutte agli Hunger Games. Ma questo non vuol dire che anche la guerra

contro Snow e Capitol City sia finita. Supportata in questa incredibile battaglia finale da amici di sempre (Gale e Haymitch, interpretati ancora una volta da Liam Hemsworth e Woody Harrelson) e da nuovi alleati (la Presidente Coin, interpretata dalla new entry del cast Julianne Moore) Katniss vendicherà la distruzione del distretto 12 cercando di porre fine una volta e per tutte all’impero di Snow. La Katniss che vedremo sarà quindi un personaggio molto diverso da quello dei precedenti film, una eroina indomabile ma anche una giovane donna alle prese con una missione più grande di lei: “E’ molto difficile interpretare qualcuno così provato emozionalmente - racconta Jennifer Lawrence - Katniss ne ha passate di tutti i colori e sta provando a capire da che parte stare, se ha fiducia o meno nelle persone del distretto 13 e se vuole responsabilità nel

Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson e Liam Hemsworthraccontano i segreti dei loro personaggidi Carlo Andriani

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diventare parte della rivolta. Il rapporto con Gale ora è più complesso perché dopo gli Hunger Games lei e Peeta hanno vissuto una esperienza che nessun altro, nemmeno Gale, potrà mai capire”. Se Katniss Everdeen presenterà dei lati inediti Peeta Mellark sarà un personaggio totalmente diverso rispetto ai precedenti capitoli: “Peeta in questo nuovo film è un personaggio oscuro particolarmente intenso, è proprio quello che da attore cercavo in un ruolo” - spiega Josh Hutcherson - “Katniss sa che è vivo, ma non sa più se è un suo amico o qualcosa di completamente diverso”.Così Katniss sarà costretta a doversi fidare ciecamente del suo primo amore, Gale Hawthorne, interpretato ancora una volta da Liam Hemsworth: “Gale ha raggiunto il culmine” - spiega l’attore australiano - “ne ha

abbastanza degli abusi di Capitol e non ha paura a schierarsi in prima persona. Si sente pronto a scendere in campo, non importa quali saranno i costi. Crede che il suo compito principale sia dare supporto e coraggio a Katniss. Ma nonostante questo c’è una certa distanza tra lui e Katniss, si conoscono da una vita e si vogliono bene, ma per Gale chiunque sia legato a Capitol City è un colpevole, per Katniss non è così”.Da queste interessanti dichiarazioni sembra proprio che Hunger Games - Il Canto della Rivolta sia una miscela perfetta di azione, emozioni e drammaticità. Non resta che attendere il 20 novembre 2014 per vedere la prima parte dell’epica battaglia finale di Katniss Everdeen e dei suoi amici contro il crudele impero di Capitol City.

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Jennifer Lawrence, la star del futuro:dagli esordi ad Hunger Gamesdi Ghita Stefania Montalto

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Nuovamente al cinema con il suo nuovo progetto dal titolo Una folle passione, diretto dalla regista Susanne Bier, Jennifer Lawrence è considerata da molti l’attrice del futuro, “Una giovane, bella regina dei film indipendenti, che può anche essere, senza alcun problema, protagonista di un action franchise dalle vendite stellari.”

In questo nuovo film la Lawrence recita al fianco di Bradley Cooper, che qui ne interpreta il consorte. Tratto dall’omonimo romanzo, scritto da Ron Rashed edito in Italia da Salani, Una folle Passione racconta la storia di un amore talmente forte da trasformarsi in follia, di un sentimento esagerato che ben presto si trasforma in una vera e propria ossessione. Ambientato alla fine degli anni ’20, sullo sfondo delle montagne del North Carolina, la pellicola ha come protagonisti George e Serena Pemberton, due giovani neosposi, bellissimi ed innamorati. Qui la Lawrence interpreta Serena, una giovane donna forte, passionale e senza alcuna paura: supervisiona i

taglialegna, dà la caccia ai serpenti a sonagli e salva addirittura la vita ad un uomo in mezzo alla natura selvaggia.

Forti e consapevoli dell’ascendente e del carisma che entrambi esercitano sugli altri, i Pemberton non permettono a nessuno di ostacolare il loro folle amore e le loro forti ambizioni, ma quando Serena scopre il passato segreto del marito George, la loro unione passionale incomincia a cambiare trasformandosi in altro, facendo presagire così un epilogo decisamente drammatico. A soli 22 anni Jennifer è, al momento, l’attrice più richiesta e famosa di Hollywood, con un Oscar appena vinto e numerosi ruoli da protagonista alle spalle, interpretati con grande successo, come quello in Hunger Games e X-Men. La Lawrence è diventata così, a tutti gli effetti e in breve tempo, l’attrice giusta nel film giusto, ma soprattutto al momento giusto. Sono numerosi infatti i registi che pare vogliano lavorare con lei almeno una volta nella vita e lo stesso David Glasser, COO della Weinstein Company, ha recentemente affermato: “…che si parli di un attore o di un’attrice o di un regista o di uno studio, penso che chiunque, in questo momento, voglia trovare il nuovo grande progetto adatto a Jennifer Lawrence.“

La sua prima audizione cinematografica fu quella per il ruolo di Bella in Twilight, andato poi a Kristen Stewart, mentre il suo primo, grande, vero progetto

cinematografico realizzato fu invece Winter’s Bone, il coraggioso film indipendente del 2010, nel quale Jennifer interpretò un’adolescente tosta e forte, che si prendeva cura dei suoi fratelli minori, abbandonati dal padre, e di una madre affetta da una grave malattia mentale. In questo film la Lawrence recitò praticamente in ogni scena, entusiasmando all’epoca i critici che videro la pellicola, ottenendo così, già al suo primo lavoro cinematografico, la sua prima nomination all’Oscar. “C’era qualcosa nella sua audizione e nel modo in cui era capace di trasmettere il peso dell’avere la famiglia sulle sue spalle. Non è neanche qualcosa che puoi davvero interpretare.” affermò in quell’occasione Paul Schneeche, insieme a Kerry Barden, era stato il responsabile del cast proprio per quel film. Quando Lionsgateannunciò invece la realizzazione del nuovo progetto legato all’adattamento cinamatografico della trilogia di Suzanne Collins, Hunger Games, Jennifer Lawrence fu sin da subito la favorita per interpretare il ruolo

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della protagonista. Ma Gary Ross, che aveva l’arduo compito di scrivere la sceneggiatura e dirigere Hunger Games, sembra che in un primo momento non l’avesse ancora notata nè vista mai recitare. La decisione finale infatti arrivò solo nei tre giorni in cui Ross fu costretto a riscrivere alcune battute legate alla sceneggiatura del film di Jodie Foster, The Beaver, nel quale Jennifer interpretava la fidanzata di Anton Yelchin.

“Solo guardando quel film più e più volte continuavo a dire Chi è quell’attrice? e non potevo credere a quanto talento avesse.” dice lo stesso Gary Ross che definisce la sua decisione finale di prendereJennifer Lawrence per il ruolo di Katniss “…la più facile che avessi mai dovuto fare.” “Non c’era praticamente neanche da fare una scelta. Mi sentivo soltanto fortunato che esistesse un’attrice con quel talento in quel momento, per quel film. È così che mi sentivo. Ricordo di aver detto a quelli di Lionsgate, quando stavamo decidendo il cast, Guardate, una così arriva solo ogni 10 anni. Quando qualcuno entra nella stanza con quel tipo di talento, ti lascia KO sulla sedia.” I film d’azione sono da sempre stati un genere cinematografico particolarmente adatto per essere girato dagli uomini, mentre le donne hanno sempre avuto il dominio del genere più remunerativo e disponibile per loro, ovvero le commedie romantiche.

Fino a vent’anni fa era praticamente impossibile ed impensabile che una donna, un’attrice, pur quanto brava e di talento, bellissima e richiesta dal grande cinema internazionale, potesse mai girare una pellicola d’azione o un franchise da centinaia di milioni di dollari, facendo ruotare qualsi tutto l’interro film su una protagonista di sesso femminile, perchè le donne al cinema sono sempre state pensate e considerate più adatte per girare film delicati, pieni di passione e sentimento romantico.

Da qualche anno però le cose sono decisamente cambiate e molte case di distribuzione e registi, visti anche i talenti che ci sono in giro, tra i quali anche quello della Lawrence, hanno deciso di cambare decisamente rotta e affidare ruoli prettamente maschili, di forza e d’azione, anche ad attrici femminili, molte delle quali diventano anche protagoniste di un intero film. Ecco che nel 2010 Angelina Jolie, che aveva già interpretato Lara Croft e Mrs. Smith, porta al successo anche Salt, un thriller d’azione inizialmente pensato e scritto per Tom Cruise. Cambia quindi totalmente il panorama dei film d’azione e il modo di rappresentarlo, oggi infatti le eroine di questo genere di film non sono più donzelle deboli e in evidente difficoltà, ma sono toste, coraggiose, forti, combattive e non si arrendono, basti pensare ad alcuni titoli famosi come:

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La Ragazza Con Il Tatuaggio del Drago, Brave – Ribelle o Biancaneve e il Cacciatore. Così quando Jennifer Lawrence ottenne il ruolo di Katniss nel 2011, divenne improvvisamente non solo il volto della nuova Giovanna D’Arco del romanzo di Suzanne Collins, ma una vera e propria testimonial, in quanto rappresentò, da quel momento in poi, il volto di colei che stava riportando al botteghino il potere delle donne. Tra i numerosi film da lei interpretati in questi primi anni di carriera ricordiamo anche i ruoli in: My Super Sweet 16, del 2007, Monk, la sua partecipazione alla serie tv Cold Case, del 2007, The Poker House, del 2008, la serie tv Medium, del 2007 e Like Crazy. Gary Ross non è stato però il primo a scoprire il talento di Jennifer Lawrence sul set e ad adattarlo poi alla realizzazione di un blockbuster, Matthew Vaughn infatti,

regista di X-Men: L’Inizio, l’aveva già scelta per interpretare la versione giovane di Mystique, la mutante dalla pelle blu interpretata poi da Rebecca Romijn nella trilogia originale.

Nonostante in questo film Jennifer non fosse la protagonista e il suo personaggio fosse secondario, fece immediatamente ed ugualmente un’ottima impressione sul produttore Bryan Singer, che in quell’occasione la scelse per un suo film, dichiarando: “C’era una scena che stava girando e ho subito notato che non aveva nessun problema a dire quello che pensava, ed era divertente. Non penso che Jennifer sia spaventata da qualcosa o da qualcuno. Sarei sorpreso di sapere che lo sia mai stata. È una delle persone con più fiducia in se stessa che io abbia mai incontrato in vita mia, ma ha ragione. Ha il talento dalla sua.“

“Una giovane e bella regina dei film indipendenti, che può essere protagonista di un action franchise dalle vendite stellari”

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NIGHTCRAWLERLOSCIACALLO

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di Letizia Rogolino

Dan Gilroy, sceneggiatore di Bourne Legacy e Real Steel,

debutta alla regia con Nightcrawler – Lo Sciacallo, il film

presentato al Festival Internazionale del Film di Roma in

anteprima, che sarà nelle sale italiane dal 13 Novembre 2014.

Si è parlato molto della condizione fisica del giovane attore Jake

Gyllenhaal, che, per interpretare il protagonista Lou Bloom, è

visibilmente dimagrito e ha lavorato sulle espressioni e il look per

diventare più inquietante ed ambiguo.

La possibilità di trovare lavoro in questo particolare momento

storico sembra essere una sfida impossibile, così Lou ha un’idea,

sicuramente discutibile sul piano morale, ma che gli permette di

guadagnare ingenti quantità di denaro in breve tempo. Comincia

a girare di notte per i  vasti meandri della città di Los Angeles,

armato della sua telecamera, cercando di trovarsi al posto giusto

nel momento giusto. Corre sui luoghi delle emergenze per

riprendere le scene più cruente, che poi vende bene ai network

dei notiziari locali. La sua scalata al successo lo rende però

sempre più insensibile e spietato, fino ad uno scoop sensazionale

che lo porta al centro di un crimine sanguinoso e pericoloso, che

lo mette davanti ad una scelta.

Sullo sfondo di una città dispersiva, distaccata e invasa dalla luce

artificiale che ricorda il recente Locke, il protagonista è un

cacciatore di notizie particolare, pronto a tutto per uno scoop,

poichè il suo unico amico e compagno di vita è il dio denaro.

Gilroy riesce a rendere Lou Bloom uno specchio della società

attuale alienata e della sottocultura degli abitanti di Los Angeles,

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“Lou Bloom è lo specchio della società attuale alienata e della sottocultura degli abitanti di Los Angeles”

accecati dall’ambizione, dalla ricchezza e dal degrado

etico, senza provare il minimo risentimento nel mettere

totalmente da parte il rispetto e l’affetto per gli altri esseri

umani, pur di raggiungere il proprio benessere.

“Lou è una persona che non cambia e piuttosto manipola il

mondo intorno a sè” ha dichiarato il regista, e

l’interpretazione di Gyllenhaal è sicuramente il punto di

forza che dona al film il pathos e il coinvolgimento propri

di un thriller ben fatto. Lo sguardo e l’enigmatico appeal di

Lou Bloom ipnotizzano lo spettatore, che non lo giudica

da subito, ma lo segue nelle sue macabre avventure

come una sorta di anti-eroe della strada. La sua umanità

viene messa in evidenza dall’inizio alla fine del film,

mantenendo il ritmo calzante e dinamico sul filo di una

tensione nascosta, ma costantemente percettibile.

Lo Sciacallo è un thriller riflessivo e maniacale che pone al

centro la nuova pratica del giornalismo partecipativo, in

cui gli utenti privati offrono notizie, video e foto ai media

internazionali, ‘giocando’ a fare i giornalisti.

Ma  Cimarosti, Co-Fondatore della prima piattaforma

italiana di videogiornalismo partecipativo YouReporter ha

precisato: “L’utente non sostituisce il giornalista, ma

contribuisce ad allargare l’orizzonte dei possibili punti di

vista”. Tenendo fede ai suoi precedenti script di successo,

Gilroy porta sul grande schermo una storia in cui l’azione

e la tensione viaggiano insieme all’emozione e alla

riflessione, nella mente di un protagonista forte,

determinato, ma anche follemente imprevedibile.

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“Gli oneri di una professione che ha a che fare ogni giorno con la vita e la morte”

In attesa di vedere Nightcrawler – Lo Sciacallo nelle sale italiane il 13 Novembre,   vi proponiamo dieci film da vedere o rivedere prima di andare al cinema. Questo film diretto da Dan Gilroy ritrova Jake Gyllenhaal nei panni del protagonista, il solitario ed inquietante Lou Bloom, un giornalista troppo ambizioso che vaga di notte per le strade di Los Angeles per riprendere scene cruente di incidenti, omicidi e  le più diverse barbarie, per poi rivendere il materiale ai telegiornali. Abbiamo selezionato dei film  che potrebbero aver  influenzato fortemente Nightcrawler – Lo Sciacallo, sia per  coloro che vi sono coinvolti, sia per una connessione esplicita.

1. TAXI DRIVERS e AL DI LA’ DELLA VITAConsiderando due dei film più acclamati del regista italo-americano, il confronto con Taxi Driver e Al di Là della Vita è giusto per quanto riguarda i protagonisti, anti-eroi come Lou Bloom. A volte cupamente divertente, Nightcrawler – Lo Sciacallo prende in prestito anche qualcosa da Re per una Notte (un film che Gilroy ha studiato mentre scriveva la sceneggiatura), umanizzando ugualmente il suo protagonista. Al di Là della Vita come Nightcrawler, mostra gli oneri di una professione che a che fare con situazioni di vita o di morte, anche se sui lati diversi della stessa moneta.

Quali film hanno ispirato Dan Gilroyper Nightcrawler - Lo Sciacallo?di Letizia Rogolino

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2. DENTRO LA NOTIZIA di James L. BrooksNightcrawler – Lo Sciacallo si concentra principalmente

sul personaggio di Lou Bloom, interpretato da  Jake Gyllenhaal, ma poichè Dan Gilroy  ha scelto di mettere sotto i riflettori  Rene Russo nel ruolo di Nina Romina, potrebbe sembrare simile al film di James L. Brooks, Dentro la Notizia. Una sorta di  triangolo amoroso che  costituisce il nocciolo del dramma del personaggio di  Holly Hunter, che appare più oscuro invece nel film di  Gilroy, anche se  l’esperienza elettrizzante di avere l’ultima notizia è la stessa.

3. COLLATERAL di Michael MannNightcrawler  cattura Los Angeles in un modo molto

diverso dagli altri film, come Collateral, il thriller di Michael Mann con cui questo film condivide anche un approccio tecnico. Per il film del 2004, i direttori della fotografia Paul Cameron e Dion Beebe  hanno usato ampiamente il digitale per le sequenze di notte, per catturare meglio la

luce disponibile, quindi hanno poi continuato con la pellicola per le scene in interni.

Per quanto riguarda  Nightcrawler, Gilroy  ha detto a Indiewire: “C’è stato qualcosa in cui ho seguito l’esperto di effetti visivi Robert [Elswit]. Ho avuto molte conversazioni a tarda notte con lui, riflettendo sul fatto che è un crimine molte volte  che la pellicola  non venga utilizzata di più, perché permette un’immagine complessivamente migliore rispetto a qualsiasi immagine digitale che si vuole ottenere. Naturalmente, sul versante finanziario, il cinema costa molti più  soldi di illuminazione ed elaborazione. E poichè parliamo di un film da 8 milioni di dollari, abbiamo dovuto fare affidamento sul digitale il più possibile, e Robert ha scelto il digitale per la notte perché assorbe tanta della luce a disposizione. Ma Robert, come cinefilo, ha voluto utilizzare la pellicola, per quanto possibile, che aveva un senso per i nostri scatti diurni. La qualità delle immagini era bellissima“.

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4. DRIVE di Nicolas Winding RefnOltre all’ambientazione nella città di Los

Angeles, Nicolas Winding Refn certamente si è ispirato un po’ allo stile di Mann. Il neo-noir potrebbe condividere lo stesso fascino  per la violenza di  Nightcrawler, molte  sequenze di guida e la costante caccia culminante verso il finale del film. Le somiglianze finiscono, tuttavia, considerando che il personaggio di Ryan Gosling è una figura di poche parole, mentre Lou Bloom utilizza la lingua inglese proprio come strumento di manipolazione e  suo unico propellente.

5. L’ASSO NELLA MANICA di Billy Wilder“L’asso nella manica è un film fenomenale.

Uno dei film più dark  di tutti i tempi, su  un giornalista che si imbatte in un minatore intrappolato e fa una storia su di lui  prima che uccida il ragazzo. E’ un bellissimo, orribile film” ha dichiarato Dan Gilroy alla rivista CHUD. In effetti,

il classico di Billy Wilder potrebbe essere la prima ispirazione per Nightcrawler. Jake Gyllenhaal nei panni di  Lou Bloom non può scrivere articoli, ma ha molto in comune con il Chuck Tatum di Kirk Douglas, perché cattura i “fatti” attraverso le sue lenti depravate.

6. MAGNOLIA di Paul Thomas AndersonLa struttura e i temi del tentacolare film di

Paul Thomas Anderson, il suo ambizioso terzo film, potrebbero non essere direttamente legati a Nightcrawler, ma hanno in comune almeno un paio di punti. Trattano di  una intensa caccia notturna a Los Angeles, ed entrambi hanno avuto come direttore della fotografia Robert Elswit. Il Frank T.J. Mackey di Tom Cruise, una persona chiassosa,  potrebbe facilmente essere un cugino lontano del Bloom di Gyllenhaal, poichè entrambi hanno  visioni del mondo estremamente convincenti e secondo i propri ideali.

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7. NETWORK di Sidney LoumetSe Network predisse dove era diretto il giornalismo

televisivo, Nightcrawler si occupa in modo esplicito del  presente. Nightcrawler  prende in esame gli aspetti economici di un sistema in cui la più grottesca e invasiva “informazione” è la valuta più desiderata del settore. Immagino che molti si interrogheranno sulla morale del Lou Bloom di Gyllenhaal dopo questo film, ma l’inchiesta potrebbe essere migliore se diretta al sistema che lo ha lasciato prosperare.

8. L’OCCHIO CHE UCCIDE di Michael PowellLe competenze voyeuristiche senza precedenti di Lou Bloom sono impeccabilmente acquisite in una serie di scene a Nightcrawler, e mentre i personaggi di Scorsese di cui sopra, sono certamente i punti di riferimento, si possono legare più strettamente con il vantaggio di questo capolavoro di Powell. 8.NE

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FRANK

Il film manifesto di questa decima edizione del Biografilm

festival che si conclude oggi 16 giugno, è Frank, la

commedia agrodolce del regista irlandese Lenny

Abrahamson. Abituato a raccontare personaggi

emarginati ed unici nella loro natura, Abrahamson porta

sul grande schermo una storia ispirata all’artista Chris

Sievey, alias Frank Sidebottom, un cantante inglese

che si esibiva tempo fa in pubblico, indossando una

grande maschera di plastica.

Sotto la maschera c’è Michael Fassbender,attore

americano di origine tedesca, che in questi ultimi anni è

diventato uno dei più amati protagonisti di Hollywood,

mentre Domhnall Gleeson, volto noto della saga di

Harry Potter, interpreta Jon, un ragazzo che si guadagna

da vivere facendo l’impiegato in un ufficio, ma sogna di

diventare un tastierista di una importante band musicale.

Per una improvvisa coincidenza, incontra Frank e i suoi

bizzarri colleghi musicisti, e viene trascinato in una

di Letizia Rogolino

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14 avventura irlandese surreale e folle. “Abbiamo mandato a Michael la sceneggiatura e lui ci ha

risposto che era un progetto molto diverso da quello che aveva fatto di solito, che aveva riso molto e

così ci siamo incontrati e abbiamo scoperto di avere la stessa visione. Per il personaggio abbiamo

visto qualche cartone animato strano e abbiamo parlato molto della sua voce, di come avrebbe

dovuto risuonare e Michael in questo è stato molto bravo“. Indossando questa colorata maschera di

dimensioni importanti, Fassbender conquista ugualmente il pubblico, dando vita ad un personaggio

estremamente carismatico ed originale, come nessun altro. L’umorismo è la nota fondamentale per

l’intera durata del film, anche se mille sottotesti rimandano a spunti riflessivi molto attuali e rilevanti,

come la diversità, l’emarginazione, e l’essenza dell’artista, spesso incomprensibile o piuttosto

incompresa dal resto del mondo che non respirala stessa visione della realtà.

“Sono molto interessato dalla commedia amara come genere. E allo stile antico dei film musicali. Mi

piace il personaggio un po’ outsider al centro di una storia, poichè i personaggi estremi, insicuri,

cercano sempre qualcosa. E quando sono sotto pressione, danno vita a situazioni interessanti. Si

crea un’alchimia particolare” ha spiegato Abrahamson. La forza di Frank è la sceneggiatura acuta,

fresca ed elettrizzante, che non lascia nessuna inquadratura o dialogo al caso o alla sufficienza, e la

regia accompagna i personaggi nei vari ambienti, con disinvoltura e gentilezza. Jon  affronta

una crescita personale e si spinge alla scoperta di una nuova consapevolezza della creatività e di se

stesso, mentre Frank e gli altri compongono un quadro eccentrico e artificioso di una forma di arte

incontrollata e aperta alla sperimentazione, tanto da essere completamente imprevedibile. Questa

imprevedibilità risulta divertente e spassosa per lo spettatore, che ride, si stupisce e si emoziona a

seguire questo prezioso film di natura indipendente, ma degno di un successo di alto livello.

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COME AMMAZZARE IL CAPO...

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E VIVERE FELICI 2

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Il sequel del successo del 2011 diSeth Gordon ha il sapore di rebootdi Carlo Andriani

Il 6 gennaio 2015 uscirà in tutti i cinema italiani Come

ammazzare il capo... E vivere felici 2, sequel del grande

successo del 2011 di Seth Gordon.

Diretto da Sean Anders e interpretato ancora una volta

dall’esilarante trio composto da Jason Sudeikis, Charlie

Day e Jason Bateman, Come ammazzare il capo...E

vivere felici 2 vede questa volta Nick (Jason Bateman),

Dale (Charlie Day) e Kurt (Jason Sudeikis) abbandonare

i rispettivi lavori per lanciare una attività sotto la direzione

di un imprenditore (Christopher Waltz) di grande

successo. Ma anche questa volta i tre verranno truffati

dall’Horrible Boss di turno e finiranno con l’inscenare un

finto rapimento del viziato figlio (Chris Pine) del capo per

riottenere il controllo della loro attività. Inutile dire che il

piano, perfetto su carta, avrà delle conseguenze

disastrose che porterà i tre protagonisti a scontrarsi

un’altra volta con Julia Harris (Jennifer Aniston) e Dave

Harken (Kevin Spacey), i terribili boss che avevano

cercato di eliminare nel primo capitolo.

Come ammazzare il capo... e vivere felici, o più

semplicemente Horrible Bosses, fu uno dei più grandi

successi dell’estate del 2011 con oltre 209 milioni di

dollari incassati a fronte di una spesa di “soli” 35 milioni.

Ma nonostante l’enorme successo di pubblico e critica

nessuno si sarebbe aspettato un sequel, perché in un

modo o in un altro il primo capitolo, eliminati i boss,

metteva fine alle vicende di Nick, Dale e Kurt. Eppure ad

Hollywood c’è sempre spazio per un sequel, soprattutto

di un successo milionario, e così ecco arrivare a distanza

di tre anni nelle sale di tutto il mondo Come ammazzare il

capo... E vivere felici 2. Un sequel che in realtà sa più di

reboot, perché del primo capitolo oltre ai vecchi

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personaggi non è rimasto praticamente nulla. E questo

può essere sia un bene, perché in qualche modo dà al film

una impostazione diversa e più accattivante rispetto al

limitarsi ad un mero rifacimento del primo capitolo con

boss diversi, sia un male, perché un sequel non può

dichiararsi tale solo sulla base del riutilizzo di determinati

personaggi di una storia. Ma d’altronde era inevitabile,

come anticipato ad inizio articolo un sequel vero e proprio

di Come ammazzare il capo... e vivere felici era pressoché

impossibile e la scelta di Sean Anders di concentrare

l’attenzione più sugli elementi action che su quelli

goliardici (presenti anche in questo sequel ma in forma

molto più ridotta) è vincente, soprattutto perché dà al film

la possibilità di raggiungere un pubblico più ampio e di

trasformare le vicende di Nick, Dale e Kurt in una saga sul

genere di Una Notte da Leoni.

Ma il fatto che il film in qualche modo funzioni non lo

pone allo stesso livello del primo esilarante capitolo: i

nuovi boss, interpretati dai bravi ma un po’ anonimi

Christoph Waltz e Chris Pine non sono minimamente

allo stesso livello dei vecchi boss di Jennifer Aniston e

Kevin Spacey, tornati solo per pochissime scene di

questo sequel. E la sceneggiatura di Sean Anders e

John Morris, a tratti efficace, non è brillante e irriverente

come quella di Michael Markowitz, John Francis Daley

e Johathan M. Goldstein. Aspetti negativi che possiamo

trovare però in quasi tutti i sequel.

Quindi nonostante le inevitabili pecche Come ammazzare il

capo... e vivere felici 2 diverte e intrattiene mettendo le

basi per un terzo capitolo che sicuramente nel giro di un

paio di anni invaderà le sale di tutto il mondo.

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STILL ALICELa nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma ha presentato  l’ultima

impeccabile prova di Julianne Moore: Still Alice. Scritto e diretto da Richard Glatzer e Wash

Westmoreland, Still Alice racconta la storia di Alice (Julianne Moore), una professoressa della

Columbia University, che trascorre la sua vita tra un lavoro che la appassiona, un marito che la

ama e tre splendidi figli che le regalano ogni giorno grandissime soddisfazioni.

Ma quando si reca a Los Angeles per tenere una lezione presso l’UCLA succede

improvvisamente qualcosa di inaspettato: dimentica un termine fondamentale della sua lezione.

Tornata a New York vive un secondo episodio inquietante, perdendosi durante il suo solito

jogging attorno al campus. I due fatti la portano a consultare un neurologo e la diagnosi è

terribile: ha una forma precoce di Alzheimer. La malattia ovviamente devasterà la sua vita

perfetta, portandola a lottare con tutte le sue forze per rimanere la donna intelligente, forte e

determinata che è sempre stata. Uno dei più grandi misteri di Hollywood è sicuramente perché

l’Academy non si sia ancora decisa a dare un premio Oscar ad una delle attrici più brave di

di Carlo Andriani

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“Un’interpretazione da Oscar per Julianne

Moore”

sempre: Julianne Moore. E Still Alice, un ottimo film tratto

dall’omonimo libro di Lisa Genova, è l’occasione perfetta

per darle la tanto ambita, ma sempre sfiorata statuetta

grazie a quello che potrebbe essere il ruolo della sua vita.

La determinata e a tratti calcolatrice donna in carriera Alice

Howland, che nella sua vita ha collezionato un successo

dietro l’altro, improvvisamente si trasforma in una donna

fragile costretta ad utilizzare l’iphone per non dimenticare il

giorno in cui è nata o il nome dei figli. La spaesatezza, il

senso di solitudine, il disagio di Alice sono rappresentati

alla perfezione in un film che, in altre mani, avrebbe potuto

facilmente sfiorare il ridicolo o per lo meno il patetico.

Eppure la regia di Glatzer e Westmoreland rimane sempre

solida, composta, lineare, concentrata sulla malattia della

protagonista, ma allo stesso tempo poco aperta a qualsiasi

forma di speranza. Perché, sin dall’inizio del film, noi

sappiamo perfettamente che fine farà Alice così come lo sa

Alice stessa. Eppure una piccola parte di noi non smette di

credere in questa fantastica donna disposta ad attaccarsi

ad ogni singolo stratagemma per rimanere “ancora Alice”.

Ed è proprio Alice il punto di forza fondamentale di questo

film. Un film ben fatto e ben interpretato (bravissima Kate

Bosworth e come al solito monoespressiva Kirsten

Stewart) che, a tratti, perde la bussola per tornare

perfettamente a fuoco in alcune sequenze toccanti, prima

tra tutte il discorso finale della protagonista.

Un discorso che commuove ed emoziona proprio perché

incentrato sulle generazioni future di malati di Alzheimer a

cui Alice augura una vita e una situazione migliori della sua.

Una situazione drammatica su cui il film apre finalmente

una porta da sempre socchiusa ad Hollywood, regalando

uno dei film più toccanti e dolorosi della nona edizione del

Festival Internazionale del Film di Roma.

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Andiamo a quel Paese, la nuovacommedia del duo comico sicilianodi Carlo Andriani

Ficarra e Picone hanno ufficialmente chiuso la nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma con Andiamo a quel paese, brillante commedia che vede due amici, Valentino (Valentino Picone) e Salvo (Salvo Ficarra), costretti a trasferirsi dalla città al piccolo comune siciliano di Monteforte per limitare le spese. Superato l’impatto traumatico con la vita di paese, i due decidono di trasformare la piccola casa che condividono in un ospizio improvvisato, in modo da riscattare le pensioni dei vari zii e nonni che ospitano. Gli affari inizialmente fioriscono ma una serie sfortunata e improbabile di incidenti mortali convince gli “ospiti” a credere la casa stregata e così rimane solo Lucia (Lily Tirrinnanzi)  l’anziana zia della

moglie di Salvo. Ma nessuna pensione è per sempre. E l’unica soluzione a tutti i problemi può essere solo far sposare Zia Lucia a Valentino. Ma un impensabile imprevisto sconvolgerà i loro piani e quelli dell’intero paese.Ficarra e Picone, giunti al loro quinto film, costruiscono una commedia alla Franco Franchi e Ciccio Ingrassia su un’ idea vincente ma sviluppata solo in parte. Le gag e gli sketch prendono il sopravvento sulla storia e Andiamo a quel paese da black comedy che era, diventa una sorta di commedia romantica di cui tutti conosciamo l’epilogo. L’umorismo, a tratti irresistibile e mai volgare di Ficarra e Picone, eleva Andiamo a quel paese rispetto alle altre commedie italiane, ma alcune situazioni,

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veramente troppo forzate, riportano il film in basso tra critiche un tantino fuori luogo alla chiesa e le solite stilettate alla politica, i raccomandati e i laureati disoccupati. Il problema principale di Andiamo a quel paese è proprio l’eccesso di tematiche e gag viste e riviste, forse più adatte ad un prodotto teatrale o televisivo, piuttosto che ad un lungometraggio vero e

proprio. Ma la simpatia dei protagonisti, ancora una volta sceneggiatori e registi, conferisce ad Andiamo a quel paese qualcosa in più rispetto ad altre commedie di stampo simile grazie anche al supporto di eccezionali comprimari del calibro di Lilly Tirrinnanzi, Fatima Trotta e Francesco Paolantoni.

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L’horror prodotto da Eli Roth,da Youtube al cinema

di Carlo Andriani

Il clown altro non è che un semplice uomo mascherato per far divertire i più piccini. Eppure quel genio di Stephen King che nel 1986 scrisse il terrorizzante It, è riuscito nell’impossibile intento di trasformare il clown in un vero e proprio babau del cinema horror. Ora Eli Roth, creatore della saga di Hostel, ha deciso di seguire in parte le gesta del massimo esponente della letteratura horror producendo Clown, un horror psicologico che racconta la storia di Kent (Andy Powers), un padre che per rimediare al forfait del clown alla festa del figlio decide di indossare un vecchio costume chiuso da tempo in cantina. Esausto dopo i festeggiamenti si addormenta vestito da clown, ma il giorno dopo ogni tentativo di togliere trucco, parrucca e costume si rivela inutile. Il costume si è fuso con la sua stessa pelle e una fame violenta e insaziabile comincia sempre più a prendere il sopravvento sulle sue azioni. Lentamente Kent si sta trasformando in Cloyne, un crudele demone affamato di giovani e innocenti bambini. Il progetto di Clown è

nato sui banchi di scuola quando il regista Jon Watts e lo sceneggiatore Chris Ford volevano realizzare per semplice diletto un film interamente basato su un clown assassino. Finiti gli studi i due decisero di pubblicare un finto trailer di un finto film intitolato Clown sul loro canale Youtube, trailer che divenne subito virale grazie anche al brillante stratagemma di inserire Eli Roth nei credits dell’opera. Eli Roth ovviamente non sapeva niente del progetto di Watts e Ford, ma vista la popolarità del trailer in rete, decise di contattare i due per trasformare quel piccolo trailer amatoriale in un vero e proprio film. E così Watts e Ford iniziarono ad elaborare lo script per adattarlo ad un lungometraggio che avesse lo stile degli horror di una volta: “Clown doveva essere un film ispirato ai classici della Universal degli anni Trenta - spiega Eli Roth - e ai body horror contemporanei come La Mosca di Cronenberg”. Così, scartata l’idea poco originale del clown killer l’inedito terzetto Roth, Watts, Ford decise di

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“La leggenda nordica di Cloyne, un antico demone dal volto bianco che aveva l’insolita abitudine di divorare bambini nella sua caverna”

concentrare l’attenzione sulla leggenda nordica di Cloyne, un antico demone dal volto bianco che aveva l’insolita abitudine di divorare bambini nella sua caverna. E così sviluppato lo script e ingaggiato un cast di volti noti del calibro di Peter Stormare, Laura Allen, Elizabeth Whitmere e perfino Eli Roth (che interpreta Frowny il Clown) il finto trailer di un tempo è diventato il film horror più atteso dell’anno.

Sicuramente internet e i social networks avranno milioni di aspetti negativi ma è anche grazie all’era moderna che due semplici appassionati di cinema di genere come Watts e Ford hanno avuto la possibilità di catturare l’attenzione di Eli Roth e di realizzare un vero e proprio horror che invaderà le sale cinematografiche italiane il 13 novembre 2014.

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La nuova commedia romanticae paranormale di Woody Allendi Ghita Stefania Montalto

Dopo il successo di Midnight in Paris, Woody Allen torna dietro la macchina da presa per dirigere una nuova commedia francese, in costume, ambientata nel Sud della Francia tra gli anni Venti e Trenta, dal titolo Magic in the Moonlight, un film che racconta le vicende di una romantica storia d'amore. Scritto e diretto dal grande Woody Allen, Magic in the Moonlight ha come protagonisti Emma Stone e Colin Firth ed uscirà nelle sale cinematografiche il prossimo 4 Dicembre, distribuito dalla Warner Bros. La storia si svolge nel 1928 in un paesino del Sud della Francia. Il protagonista è un illusionista, un gentlemen inglese di nome Stanley, il cui nome d'arte è Wei Ling Soo, ingaggiato con lo scopo di smascherare una

truffa messa in atto da una giovane sedicente sensitiva di nome Sophie, sospettata di essere una ladra e di commettere dei furti ai danni di ricchi personaggi residenti in Costa Azzurra. In un primo momento Stanley rimane molto colpito da Sophie e dalle sue potenzialità di sensitiva, così tanto che le sue certezze razionali iniziano addirittuta a vacillare. Col tempo però, dopo numerose peripezie e colpi di scena, splendide ville e tanto jazz, Stanley ha finalmente la certezza che la bella chiaroveggente è in realtà una truffatrice, ma sarà ormai troppo tardi per starle lontano, perchè l'amore tra i due è già scoccato. Allen ha dato inizio alle riprese di questo film nel Luglio del 2013, il primo trailer ufficiale è arrivato invece in

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Italia solo lo scorso 21 Maggio, mentre la distribuzione nelle sale cinematografiche statunitensi è avvenuta a partire dal 15 Agosto 2014. Da alcune indiscrezioni rilasciate dai quotidiani americani, sembra però che la visione del film proprio in America sia stata addirittura vietata ai minori di 13 anni, per la presenza nel film di "..Fumo eccessivo e commenti inappropriati." Magic in the Moonlight, la nuova commedia sentimentale realizzata da Allen, arriva al cinema dopo il film drammatico Blue Jasmine, da lui realizzato invece nel 2013 ed interpretato da Cate Blanchett, che ha ricevuto per quest'interpretazione il Premio Oscar come miglior attrice protagonista. Nel cast di Magic in the Moonlight, oltre ad Emma Stone e Colin Firth, anche Marcia Gay Harden, Eileen Atkins e Jacki Weaver. In una recente intervista Allen ha dichiarato che l'idea del soggetto di questo film non è in realtà del tutto nuova, sembra infatti che Woody abbia pensato al contenuto della storia già molto tempo fa, annotandola, sotto forma di appunti, su un foglietto di carta finito poi in un cassetto,

dove sembra che vadano a finire tutti i futuri progetti del regista, in attesa che questi si trasformino poi in una vera e propria sceneggiatura. A tale proposito ha affermato: "E' una vita che tengo da parte gli appunti su Magic in The Moonlight. Sapevo che era una bella storia, ma la sua iniziale ambientazione contemporanea mi lasciava perplesso. Poi mi è venuto in mente di collocarla negli anni Venti e allora ha cominciato improvvisamente a funzionare."Il film ha inizio con la splendida You Do Something To Me di Cole Porter, scelta dal regista come colonna sonora d'apertura, per poi dare spazio alla scena iniziale ambientata in un teatro, all'interno del quale si sta eseguendo un numero di magia, ed ecco apparire il protagonista, quel Wei Ling Soo interpretato da un cinico e razionale Colin Firth. Magic in the Moonlight è stato definito un film ben fatto dal punto di vista estetico, con una particolare e straordinaria cura per la scelta dei luoghi e per l'eleganza delle immagini, con un ritmo serrato nella narrazione, che viene tenuto insieme dall'interpretazione brillante dei due protagonisti, Firth e Stone. Di partilcolare effetto e bellezza è soprattutto la splendida fotografia che fa da cornice alla storia, affidata nuovamente alla bravura di Darius Khondji, che ha curato ancheg gli ultimi film romani e parigini del regista. Una pellicola surreale, nella quale si mescolano continuamente fiaba e trucchi, verità e finzione, in un susseguirsi di giochi ed illusioni. Una

commedia d'altri tempi, che rappresenta in qualche modo anche una fuga dalla realta' e dalla normale quotidianità, avvicinado lo spettatore al sogno grazie ad un'attenta regia, alla cura dei dettagli, all'atmosfera romantica che aleggia durante tutto il film, ai luoghi di ambientazioni e ai panorami

incantevoli della Costa Azzurra.

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WOODYALLENL’uomo, il regista, il genio

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Dotato di una straordinaria ed innata ironia e di un sarcasmo pungente, che lo ha sempre caratterizzato, Woody Allen è considerato da molti un genio del nostro cinema e del nostro tempo, anche se, in realtà, lui non ha mai amato i complimenti nè essere considerato un genio o un intellettuale. Ogni regista, così come ogni attore ed ogni scrittore, tende quasi sempre a mettere molto di se stesso all'interno dei progetti che realizza, ma Allen sostiene invece di non aver nulla a che fare con il carattere dei personaggi dei suoi film, che ha interpretato in questi lunghi anni di carriera cinematografica e nega di essere un intellettuale. Senza alcun dubbio però Woody Allen è un regista, ma soprattutto un uomo, dalla personalità complessa, riservata ed affascinante e il suo modo di essere lo rende sicuramente un uomo, un attore ed un regista molto intelligente.E' stato regista di nuemrosi film di successo, ben 46, molti dei quali sono ambientati in Europa, tra questi il cinico e spietato Match Point, girato a Londra nel 2005, il sensuale Vicki Cristina Barcelona del 2008, il romantico To Rome with love del 2012, fino ad arrivare a Midnight in Paris del 2013, la pellicola di maggior successo, che gli ha permesso di incassare oltre 150 milioni di dollari al botteghino, regalandogli anche il suo quarto Oscar per la miglior sceneggiatura originale. Fatta eccezione per Blue Jasmine, girato a San Francisco nel 2013, ben otto dei suoi ultimi nove film sono quindi ambientati e realizzati in Europa e non nella sua amata New York, che

rappresenta invece non solo la città in cui è nato e alla quale è particolarmente legato, ma soprattutto il luogo in cui ha origine e prende vita la sua creatività. Con la sua solita ironia afferma: "Il lavoro è una grande distrazione. Se non stessi girando, me ne starei seduto a casa ossessionato dall’idea di quanto sia terribile la vita. Sono sempre in procinto di scrivere una nuova sceneggiatura, di promuovere un film o di realizzarne un altro. Sono stato fortunato nel riuscire a mantenere questo ritmo per la maggior parte della mia vita e non saprei come vivere in altro modo. Girare film in Europa permette inoltre, a me e alla mia famiglia, di trascorrere estati in posti molto belli ed interessanti. Ho potuto facilmente trasferirmi a Londra o a Parigi quando non ero a mio agio a New York."

Da Io & Anniea Magic in the Moonlightdi Ghita Stefania Montalto

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Sposato con Soon-Yi Previn, la figlia adottiva della sua ex compagna Mia Farrow, vive attualmente in una casa costruita in mattoni rossi, in stile tipicamente newyorkese, insieme alle due figlie adottive: Bechet di 14 anni e Manzie di 13.Confessa di amare moltissimo lavorare in Europa, ecco il motivo per cui, in più occasioni, ha scelto città meravigliose per l'ambientazione dei suoi film, come ha fatto per Match Point, ambientato a Londra. "Quando ho scritto la sceneggiatura di Match Point avevo pensato in un primo momento di ambientare la storia a New York, ma sarebbe stato troppo costoso, così l’ho riscritta adattandola a Londra e la cosa ha funzionato molto bene." Nonostante l'indiscussa grandezza e la bravura che lo caratterizza, Woody Allen ha sempre mostrato una grande umiltà, riconoscendo i propri limiti ed i propri errori. Durante un'intervista, a riguardo, ha infatti affermato: "Io continuo a fare film nella vana speranza di realizzare un giorno un vero capolavoro, anche se mi rendo conto che la maggior parte dei miei film sono dei fallimenti." Ha sempre sperato di vedere uno dei suoi film proiettato ad un Festival cinematografico, ma sembra che da tempo abbia già abbandonato questo sogno, perchè forse eccessivamente critico con se stesso: "Sono costantemente deluso dal mio lavoro anche se mi piace Match Point, perché il risultato finale è molto vicino a quello

che volevo ottenere quando ho scritto la sceneggiatura. Ma di solito non è così. Anche i miei film considerati migliori, come Io e Annie e Manhattan, sono molto diversi da quello che avevo in mente. Io e Annie doveva essere un collage di ricordi, ma alla fine è diventato un racconto più tradizionale. Manhattan invece l’ho odiato a tal punto che ho cercato di ricomprarlo dalla casa di produzione per un milione di dollari. Settembre l’ho rigirato completamente e la seconda versione non era molto meglio della prima."Critico di se stesso in prima persona, pignolo e perfezionista, esige molto da sè e dagli attori che hanno la fortuna di lavorare con lui alla realizzazione di un suo film. Un uomo fortunato, come lui stesso si definisce, che ha avuto l'abilità e la bravura di divertire il pubblico sin dai primi film girati, raccontando una serie di storie nelle quali gran parte della gente si rivede, si ritrova, rivivendole attraverso i personaggi. Ecco perché uno dei temi principali presenti in molti dei suoi film, forse addirittura il suo preferito, è l’elemento fortuna. "La maggior parte delle persone rifiuta di ammettere che tanta parte della vita dipende dalla sorte, perché questo metterebbe in crisi la loro identità e la convinzione di essere padroni del destino. Io invece sono sempre stato consapevole di essere stato molto fortunato nella mia vita."Oltre alla fortuna, un altro tema ricorrente nei suoi film è la fuga dalla realtà e Midnight in Paris, così come lo stesso

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“Sono costantemente deluso dal mio lavoro, anche se mi è piaciuto Match Point, perchè il risultato finale è molto visino a quello che volevo ottenere quando ho scritto la sceneggiatura”

Magic In The Moonlight, che debutterà in Italia il prossimo 4 Dicembre, ne sono la prova. Per lui infatti la vita reale si rivela spesso particolarmente noiosa e triste e grazie ad un film è possibile invece evadere dalla quotidianità e dalla realtà, entrando in una dimensione completamente nuova, surreale, sognata, che rende liberi e felici, fino ad entrare in perfetta sintonia con i luoghi, le situazioni e i sentimenti romantici narrati nelle storie. L'amore per lui è quindi al centro non solo della vita dell'uomo, ma soprattutto dei suoi

film, divenendone, in modo quasi del tutto naturale, un tema dominante e lo descrive e rappresenta in ogni sua forma e sfumatura, passando dalla passione all'ossessione, dal bene all'amore romantico, guardandolo sempre con tenerezza e nostalgia. E proprio parlando dell'amore lui dice: "L’amore è fuori dal nostro controllo e nessun grado di saggezza o di coscienza storica e sociale potrà mai cambiare questo aspetto della natura umana."

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L’intrigante ed avvincente nuovo film di David Fincher

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Era dai tempi di Seven che non si vedeva sul grande schermo un thriller così ben costruito, intrigante ed avvincente  come Gone Girl, presentato in anteprima alla nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma. David Fincher realizza un nuovo capolavoro, ispirato al libro di Gillian Flynn ed interpretato da Ben Affleck e Rosamund Pike nei ruoli della coppia protagonista.

Nick Dunne è sposato con Amy. All’inizio della loro relazione, sono tremendamente innamorati e affettuosi, ma dopo alcuni anni di matrimonio quell’ equilibrio si trasforma e la loro casa diventa un terreno segnato da conflitti e discussioni sempre più accese. Il giorno del loro quinto anniversario, Amy scompare nel nulla, la polizia ritrova alcuni indizi seminati nei luoghi frequentati normalmente dalla coppia, e Nick si ritrova al centro di una tempesta di accuse, sospetti e timore per il proprio futuro da uomo libero. Fincher si muove su sentieri a lui noti, ritrovando lo stile impeccabile e intrigante del thriller contaminato dall’umorismo e dal noir. La sua capacità di viaggiare su una linea narrativa che coinvolge generi diversi, ci ha già conquistato con i passati successi Fight Club e Seven, ma Gone Girl si potrebbe definire una black comedy, costruita su una sceneggiatura puntuale e perfetta, che non perde di vista nemmeno il più piccolo dettaglio. Il film ha un ritmo costante e sembra un orologio con una meccanica perfetta

che scandisce le varie scene.  Il pubblico utilizza quest’ultime come tessere di un puzzle per scoprire piano piano qualcosa in più e arrivare al finale del film, completamente in linea con il resto della storia. Mentre Ben Affleck è convincente ma si conferma ancora una volta migliore come regista che come attore, l’interpretazione di Rosamund Pike lascia senza parole.

La sua Amy è ipnotica, inquietante ed enigmatica come richiede la sceneggiatura, sull’impronta  dei personaggi femminili di Attrazione Fatale o La Guerra dei Roses. Tuttavia Fincher è attento a dare il giusto risalto anche ai personaggi secondari come la sorella di Nick, il detective che indaga sulla scomparsa della donna, l’avvocato Tunner e altri. I dialoghi sono intensi e audaci, ma anche estremamente sarcastici e ironici, confezionando un film brillante e coinvolgente, difficile da paragonare con altri precedentemente realizzati. Gli sguardi, i sospetti e i segreti della coppia e degli avvenimenti, si intrecciano sulle note originali e suggestive della colonna sonora realizzata da Trent Retnor. Si respira un’aria moderna e un’audacia stilistica, ma  anche legata ai film più caratteristici di Hitchcock  e nulla è lasciato al caso. Da vedere assolutamente, distribuito nelle sale italiane a partire dal 18 Dicembre 2014 dalla 20th Century Fox.

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Rosemund Pike parla di Gone Girl: “Sono stata ricoperta di sangue per quasi tutto il film”a cura di Redazione

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Nel mese di settembre, Rosamund Pike  è stata intervistata da Variety per circa due ore e mezza e ha parlato apertamente del suo ruolo in Gone Girl, il nuovo film di David Fincher. L’attrice ha raccontato di come si è preparata per interpretare  Amy Dunne, con un allenatore della dizione e una  formazione come pugile professionista, e ha rivelato alcuni segreti sul finale del film. Ci sono molti spoiler di seguito, quindi smettete di leggere ora se non avete ancora visto il film.1. Pike ha girato le scene “evil Amy”, dove riemerge viva nel bosco, il primo giorno di riprese.“Abbiamo iniziato un giorno con le riprese di  lei in fuga, e quando  interpreta  un’altra persona. Questo è stato molto difficile. Non hai interpretato  una persona che si sta trasformando in qualcun altro“.2. La scena di sesso raccapricciante.Dopo che viene derubata, Amy chiama il suo ragazzo Desi (Neil Patrick Harris) e finisce per ucciderlo durante una scena d’amore molto grafica. La Pike dice che è stata una delle parti più difficili del film da girare, perché ha coinvolto un impianto nascosto attaccato alla pelle  che schizzava sangue quandoAmy taglia la gola

di Desi. “Ci ha ricoperto” ha detto l’attrice. “Poi siamo arrivati ad un certo punto, ci si è bloccato, ed è stato aggiunto più sangue. Alcuni di questi sono anche dolorosi, come si asciugano… è come colla super”.3. Il reparto trucco ha sperimentato con esami del sangue.“C’erano così tante persone che cercavano di arrivare alla versione perfetta di sangue nel film” dice la Pike. “Diverse tonalità, consistenze diverse. Ha schizzato nel modo giusto? Si deve diffondere nel modo giusto, deve penetrare nel tessuto nel modo giusto. Se è troppo appiccicoso, farà linee come lo sciroppo e non è buono. Ho passato così tanto tempo coperta di sangue nel film. E bisogna resettare tutto mille volte e pulire”.4. Non è stata considerata la possibilità di un sequel di “Gone Girl”.“No, no, no” dice su suggerimento la Pike, anche se lascia una piccola porta aperta. “Solo se Gillian [Flynn] lo ha scritto. Non mi piace l’idea che qualcuno da fuori entri nel progetto e metta mano su questi personaggi. I realizzatori non vogliono nemmeno che la gente sappia che Amy è ancora viva alla fine“.

INTERVISTA

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Stephen Daldry racconta il degradotra i rifiuti delle favelas di Riodi Carlo Andriani

Alla nona edizione del Festival Internazionale del

Film di Roma è stata presentata la nuova opera

di Stephen Daldry, Trash, al cinema il 27

Novembre 2014.

Il film racconta la storia di Rafael (Gabriel

Weinstein) e Gardo (Rickson Tevez), due

ragazzi che smistano rifiuti nelle favelas di Rio.

Durante una delle loro giornate tipo trovano un

portafoglio contenente la foto di una bambina,

un nome e alcuni numeri che sembrano essere

un codice. Quando la polizia locale si fa avanti

offrendo una grande ricompensa a chiunque

avesse trovato il portafoglio i ragazzi capiscono

l’importanza dell’oggetto e iniziano a cercare di

scoprire i segreti che nasconde. Aiutati da Rato

(Luis Eduardo) Rafael e Gardo iniziano una

straordinaria avventura piena di terribili ostacoli,

tra cui il pericoloso Frederico (Selton Mello), un

uomo disposto ad uccidere chiunque si metta

sulla sua strada. Saranno Padre Julliard (Martin

Sheen) e la sua giovane assistente Olivia

(Rooney Mara) gli unici ad aiutarli nell’impresa.

Un’impresa iniziata solo per un unico motivo,

perché era giusto farlo.

Dopo due capolavori del calibro di The Hours e

The Reader non era sicuramente facile per

Stephen Daldry ripetere la magia. Così,

assoldato quel genio di Richard Curtis per

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scrivere la sceneggiatura Stephen Daldry ha deciso  di

cambiare totalmente genere adattando per il grande

schermo il fantastico libro di Andy Mulligan. E la scelta si

è rivelata vincente. Sviluppato con uno stile che ricorda a

tratti il The Millionaire che trionfò ai premi Oscar 2009  (e

anche qui possiamo scommettere su almeno un paio di

nomination) Trash è un film che funziona per tanti motivi.

Primo tra tutti tre giovani protagonisti di una bravura

sorprendente e un coprotagonista, Martin Sheen, capace

di regalare grandissime emozioni.

In secondo luogo una sceneggiatura perfetta (ma

parliamo di Richard Curtis, uno degli sceneggiatori più

bravi di sempre) che racconta le avventure dei tre

protagonisti senza sbavature, incoerenze, muovendosi

perfettamente in archi temporali differenti e concludendo

la storyline di tutti i personaggi della storia. Il ritmo poi è un

altro punto a favore di Trash, un film che nonostante i

quasi 120 minuti di durata non annoia mai grazie ad una

miscela perfetta di azione, dramma e realismo. Realismo

che però lascia spazio anche a quel pizzico di magia che

da sempre accompagna gli script di Curtis e che rende

Trash una fantastica odissea che lancia un velo di

speranza su una situazione difficile come quella delle

favelas brasiliane. NEWSC

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Intervista a Stephen Daldry, Rooney Mara e Richard Curtis: “Sul set eravamo gli unici stranieri, è praticamente un film brasiliano”di Carlo Andriani

Come è nato questo progetto?

Kris Thykier: Ho letto il libro prima che venisse pubblicato.

E’ un romanzo d’avventura per ragazzi che mi ha

interessato subito molto. Così ho inviato il copione a

Richard Curtis per verificare se fosse veramente un buon

libro e poi a Stephen Daldry. E’ piaciuto anche a loro, così

è nato il progetto.

Richard Curtis: Il libro è bellissimo, è scritto in prima

persona, un aspetto che ho cercato di mantenere facendo

parlare i ragazzi davanti la macchina di presa. E’ una storia

di amicizia, quindi non è così lontano dai miei lavori soliti.

Sono molto felice di aver lavorato con Stephen Daldry.

Stephen Daldry: Il libro è interessante per molti motivi. E’

allo stesso tempo un’avventura e una fiaba. Siamo andati in

Brasile quattro anni fa per studiare il contesto ottimale per

ambientare il film. Gran parte del merito va ai giovani

protagonisti, senza la loro incredibile energia il film non

sarebbe venuto così bene.

Quale è stata la sfida maggiore del suo ruolo?

Rooney Mara: La sfida più dura è stata comunicare con i

ragazzi perché non parlavamo la stessa lingua. Così

abbiamo dovuto costruire un modo per comunicare tra di

noi. E’ stata la cosa più difficile ma anche la più bella di

questa esperienza.

Come è stato lavorare con questi giovanissimi

protagonisti?

Stephen Daldry: Sono dei ragazzi straordinari, hanno un

incredibile ottimismo. Hanno un forte senso della giustizia e

credono nella trasformazione del Brasile. Io vengo

dall’Inghilterra che è un luogo molto più cinico e triste. Mi

hanno regalato una enorme dose di ottimismo e hanno

portato qualcosa di loro nei personaggi.

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Come sarà accolto questo film in Brasile?

Stephen Daldry: I temi affrontati in questo film sono stati

già trattati in opere brasiliane molto celebri. Il film è una

storia di avventura che affronta anche aspetti reali e per

questo andava raccontato anche in un modo reale. Non è

un’opera che ha il fine di cambiare il mondo o incidere sulle

elezioni in Brasile. Il nostro punto di partenza era creare una

bella fiaba. Inoltre il pubblico brasiliano vede il nostro film

come una specie di commedia non come un’opera cupa e

pesante, ma come una celebrazione della vita.

Kris Thykier: Sul set eravamo gli unici stranieri, la troupe e

tutti gli attori erano brasiliani quindi il film è praticamente

un’opera brasiliana. Non avevo mai lavorato con una

squadra così creativa. Ci siamo sentiti una piccola

comunità cinematografica.

Dove è stato girato il film?

Stephen Daldry: Siamo andati in Brasile e abbiamo

studiato a fondo Gramacho, una delle discariche più grandi

della zona. Così abbiamo ricostruito una discarica

ispirandoci a Gramacho per evitare il problema dei rifiuti

tossici che avrebbero reso il nostro lavoro molto pericoloso.

Come è stato rivedervi sul

grande schermo e cosa

avete imparato da questa

esperienza?

Gabriel Weinstein: La prima

volta che mi sono visto sul

grande schermo mi sono

sento felice e orgoglioso, ma

anche molto sorpreso. I miei

amici non volevano credermi

all’inizio. E’ stata sicuramente

una esperienza bellissima che

mi ha permesso di vedere

posti incredibili. E’ assurdo che

tutto questo sia capitato proprio a me, non trovo parole per

esprimere tutta la mia felicità.

Luis Eduardo: Non mi sarei mai aspettato di vivere una

esperienza di questo genere. Nel film sono sempre sporco

e molti dei miei amici mi hanno preso in giro per questo. La

mia famiglia ha amato il film. E’ stata una esperienza

incredibile.

Rickson Tevez: La mia famiglia mi ha supportato molto e

anche i miei amici, nonostante pensassero fossi buffo nel

film. E’ stato bellissimo girare questo film e poi ho avuto

l’occasione di vedere luoghi incredibili come Roma e il

Colosseo.

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Il regista francese Olivier Assayas dirige un cast

prevalentemente femminile nel  film drammatico

ed introspettivo Sils Maria, che esce nelle sale

italiane il 6 Novembre distribuito dalla Good

Films. Juliette Binoche interpreta Maria

Enders, un’attrice di successo che si reca in

Svizzera con la sua giovane assistente

Valentine  (Kristen Stewart) per celebrare il

lavoro di Wilhelm Melchior, un celebre

drammaturgo di Amburgo che aveva segnato il

suo debutto sulla scena.

Quando quest’ultimo muore all’improvviso, il suo

viaggio in quel remoto paese delle Alpi,

chiamato Sils Maria, si rivela un’occasione per

riscoprire se stessa e mettersi alla prova come

attrice, per un revival della commedia che

l’aveva resa famosa venti anni prima, Maloja

Snake. Mentre ai suoi esordi Maria  interpretava

la giovane intriganteSigrid, che seduce il suo

capo Helena fino a spingerla al suicidio, ora il

suo ruolo è quello della matura e sofferente

imprenditrice, alle prese con il tempo che passa

e le sue debolezze. Al centro del film la figura di

un’attrice che sprofonda nell’abisso del tempo,

sia per ragioni professionali sia per ragioni

morali, ma il personaggio di Maria Enders ed

Helena iniziano a procedere in modo parallelo,

fino a confondersi l’una con l’altra, in un turbinio

di sentimenti ed emozioni che portano ad una

certa instabilità. Preparando il nuovo spettacolo

ed esercitandosi insieme ripetendo il  copione ,

Valentine e Mariaesplorano quei personaggi

così affascinanti ed inquietanti, limando il confine

sottile tra realtà e finzione, che le divora, sullo

“Un’attrice sprofonda nell’abisso del tempo, per ragioni professionali e morali”

Juliette Binoche e Kristen Stewartnel nuovo film di Olivier Assayasdi Letizia Rogolino

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sfondo di un  paesaggio nebbioso, etereo e

suggestivo dell’ Engadina. Il titolo dell’opera

Maloja Snake infatti fa riferimento ad un

affascinante fenomeno naturale che si incontra

quando arriva il brutto tempo verso il passo del

Maloja, quando l’aria umida sale trasformandosi

in una nuvola che viene poi trasportata come

una strisca tra le montagne, che ha la forma di

un serpente. Juliette Binoche e Kristen

Stewart sono legate da un’alchimia che

funziona e coinvolge lo spettatore. I loro dialoghi

hanno il tono e il contenuto di monologhi

interiori, ma sono attraversati anche da una

leggerezza e una dose di umorismo che li

arricchisce ancora di più. Assayas sceglie una

regia poetica e metaforica, che avvolge ed

accompagna lungo la storia, sulle alte montagne

della Svizzera e all’interno dell’animo umano,

semplice e nudo, nonchè tormentato. Sils Maria

è un film teatrale che racconta la vita e si regge

fondamentalmente sulla sceneggiatura capillare

e logorroica che scava nei personaggi, ma

ipnotizza il pubblico, vittima della bravura di un

cast adatto ai vari ruoli.

Persino la Stewart presenta nuove espressioni,

che in altri film non abbiamo avuto la fortuna di

notare, forse per la vicinanza con un’artista di un

certo livello come Juliette Binoche, o forse per

la scrittura di un personaggio interessante e

ricco di sfaccettature. Una storia e una relazione

tra due donne vista da diverse prospettive, con il

passato che diventa uno strumento per svelare

la propria identità, Sils Maria è un film che

convince e trasporta in una strana dimensione,

anche se la colonna sonora a volte sembra fuori

luogo e il regista sembra avere il vizio di lasciare

troppe porte aperte.

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Ermanno Olmi racconta laPrima Guerra Mondialedi Carlo Andriani

Il 6 novembre 2014 uscirà in tutti i cinema italiani il nuovo film di Ermanno Olmi: Torneranno i prati. Interpretato da Claudio Santamaria, Alessandro Sperduti, Francesco Formichetti, Andrea di Maria, Camillo Grassi e Niccolò Senni, Torneranno i prati racconta la storia di un gruppo di soldati italiani sul fronte Nord-Est. E’ il 1917 e dopo gli ultimi sanguinosi scontri avvenuti i soldati si trovano a dover sopravvivere ai bombardamenti e agli ordini criminali che vengono dall’alto. Intorno a loro il nulla, ma dentro di loro la paura della vicina trincea austriaca, che rende ogni minuto della notte di luna piena narrata tanto lungo quanto terribilmente insopportabile.

A distanza di quattro anni da Il villaggio di cartone Ermanno Olmi torna dietro la macchina da presa, questa volta su commissione, per celebrare i 100 anni dall’Armistizio firmato a Villa Giusti che pose fine alle ostilità della Prima Guerra Mondiale.

E il risultato finale è un film molto teatrale, privo di qualsiasi tipo di dinamicità, realizzato con l’intento didascalico di istruire le generazioni più giovani agli orrori della guerra. Intento nobile ma che probabilmente non avrà sviluppi concreti. PerchéTorneranno i prati non è assolutamente un film per tutti. Interpretato magistralmente da un cast di attori esordienti (il bravo Claudio Santamaria  ha solo un ruolo

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minore) Torneranno i prati racconta in modo evocativo e molto personale le frustrazioni, le sofferenze e la solitudine di un gruppo di soldati italiani mandati al macello senza una ragione ben precisa. La staticità che domina la narrazione rende difficile seguire il film ai più grandi e impossibile ai più giovani, abituati alla velocità dei video musicali e a film da popcorn come Fast & Furious e tanti altri. Tralasciando l’intento didascalico del film e tornando all’opera in sé Torneranno i prati è sicuramente un film raffinato, interessante, personale, caratterizzato da una fotografia di Fabio Olmi che rende perfettamente la solitudine dei personaggi e da una scenografia di Giuseppe Pirrotta che ricostruisce con esattezza l’essenzialità della vita di trincea rimandando al teatro di cui il film in parte è figlio. Aspetti che rendono Torneranno i prati un film colto per palati raffinati; un prodotto che rimane dedicato ad una ristrettissima fascia di pubblico di cui sicuramente non fanno parte i più giovani.

“Quando dirigi un film non sai esattamente perché lo fai. E’ un po’ come quando ti innamori, lasci che il sentimento prenda il sopravvento. Ma non è il caso di questo film. Ho realizzato

Torneranno i prati perché mi hanno chiesto di farlo. E subito ho pensato ai racconti di mio padre quando ero bambino, racconti di guerra che non potevo capire allora ma che ho riscoperto adesso tornando col pensiero alla guerra mondiale. Una guerra che ha ucciso milioni di giovani, giovani che non hanno nemmeno capito il perché della loro morte. Adesso celebriamo il centenario dalla prima guerra mondiale ma dobbiamo prima di tutto trovare un modo per chiedere scusa. Se vuoi che un pensiero cambi il mondo prima devi cambiare te stesso. E se vogliamo che le nuove generazioni cambino il mondo dobbiamo prima di tutto cambiare noi stessi. L’idea di patria è una idea che si è disciolta nel corso della storia, ormai non esiste più l’amor patrio, eppure quei ragazzi ci avevano creduto constatando amaramente e tragicamente la grande truffa in cui erano finiti. I nemici non erano quelli della trincea di fronte ma quelli che li avevano mandati ad uccidere altri come loro. Spero che questo film mostri un indizio per uscire dalla trappola vergognosa in cui siamo finiti tutti” ha raccontato Ermanno Olmi.

“Una guerra che ha ucciso milioni di giovani che non hanno capito nemmeno il perchè della loro morte”

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L’impronta di Joe Dante e Mario Bavanel cinema horrordi Carlo Andriani

Abbiamo incontrato in occasione della nona edizione del

Festival Internazionale del Film di Roma due delle

personalità più interessanti del cinema dell’orrore: Joe

Dante e Lamberto Bava. Approdati al Festival per

presentare una proiezione speciale di Operazione Paura i

due registi hanno parlato del cinema di Mario Bava, vero

e proprio precursore del cinema di genere e padre di

alcune delle pellicole più rappresentative dell’horror

mondiale come La maschera del demonio, La ragazza che

sapeva troppo e I tre volti della paura.

Come venivano visti in America questi film horror

italiani?

Joe Dante: In America questi film non venivano diffusi

come italiani e molti avevano l’impressione fossero inglesi.

All’epoca i  film della Hammer erano basati sulle opere di

Edgar Allan Poe e l’impressione generale era che gli

americani non volessero vedere film di altri paesi. Ma il

successo di I tre volti della paura cambiò tutto creando

una connessione tra Mario Bava e gli studios americani

che iniziarono a finanziargli le opere. Mentre per il film La

ragazza che sapeva troppo, Mario decise di realizzare due

versioni differenti, una italiana e una inglese. La versione

inglese purtroppo andò persa lasciando quella italiana che

è ottima ma non altrettanto divertente.

Chi era Mario Bava?

Lamberto Bava: E’ sempre emozionante parlare di mio

padre. Quando ero piccolo il cinema era la forma di

spettacolo più vista in tutto il mondo; i film in Italia non

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erano solo prodotti di intrattenimento ma una possibilità di

sviluppo industriale. Quando si è cominciato ad andare

oltre i film artistici e le commedie e a vedere anche il

mercato estero come possibilità di vendere e guadagnare

con film realizzati anche a costi contenuti come quelli

horror le cose sono cambiate. Mio padre era un grande

lettore, leggeva di tutto, anche i fumetti che all’epoca

venivano visti come qualcosa di perverso. Quando iniziò a

raccogliere idee per realizzare i suoi film utilizzò tutto il suo

incredibile bagaglio di conoscenze della letteratura

europea e mondiale.

Avete entrambi lavorato con una delle attrici più

celebri del cinema horror: Barbara Steele. Che ricordo

avete di lei?

Joe Dante: Barbara ha lavorato nel mio secondo film,

Piranha. Interpretava la scienziata della storia, un ruolo

originariamente scritto per un uomo. Ultimamente ho

girato un cameo nel suo ultimo film The Butterfly Room, è

una attrice che stimo molto.

Lamberto Bava: Mio padre andò a Londra per fare un

casting e scelse subito questa grande attrice. Una attrice

che ho avuto la possibilità di conoscere meglio negli anni,

come quando la incontrai negli Stati Uniti durante una

convention in onore di mio padre. Lei non è mai stata una

grande amante del cinema horror. E’ ancora una donna

molto bella, intelligentissima, amante del nostro paese

come pochi e una grande esperta di cinema.

Che rapporto aveva Mario Bava con Federico Fellini?

E come veniva considerato dagli altri autori

dell’epoca?

Lamberto Bava: Mio padre era

molto amico di Federico Fellini, si

conoscevano addirittura da prima

della guerra mondiale. Il loro

rapporto era un continuo scherzo e

gioco, erano due persone molto

vicine. Nel cinema d’autore  Mario

Bava era riconosciuto come un

grande tecnico ed esperto di effetti

speciali. Ad esempio durante le

riprese del mio primo film come aiuto regista, Terrore nello

spazio, tutti i maggiori esponenti del cinema tra cui anche

De Sica, venivano  a visitare il set di mio padre perché

incuriositi dalla sua abilità nel creare incredibili scene con

pochissimi mezzi. Fu proprio allora che capii l’importanza

della sua figura.

Quale è l’importanza di Mario Bava nel cinema horror

italiano?

Joe Dante: Non ci sarebbe Dario Argento senza Mario

Bava. Molti film in America venivano pubblicati

direttamente in tv e non avevamo la possibilità di

conoscere i registi di quelle opere se non molti anni

dopo.Bava fu sicuramente un regista cruciale anche per

me. Purtroppo adesso è difficile trovare molti di quei

fantastici film. Quando io e Tarantino abbiamo fatto una

retrospettiva a Venezia sul cinema B ci è stato detto che le

strutture di restauro in Italia sono un po’ indietro nel tempo

e molte di queste opere non sono state conservate. Per

questo abbiamo realizzato la retrospettiva per permettere

a tutti i giovani di vedere questi

film. Sono capisaldi del cinema italiano e hanno influenzato

registi come Tarantino, Scorsese e molti altri.

Perché il cinema horror è così popolare?

Joe Dante: L’horror è un genere famoso in tutto il mondo.

Molti iniziano con gli horror perché non richiedono molte

spese e se mostri un po’ di sangue va già bene. Ormai è

irrilevante la qualità dei film, i produttori cercano di fare

soldi. Artisti come Bava però avevano il dono di elevare il

genere. Lo stile e la classe di un film sono aspetti di

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“Molti iniziano con gli horror, ma artisti come Bava avevano il dono di elevare il genere”Joe Dante

un’opera che non hanno costi ma che sono sempre

fondamentali. Adesso è sicuramente più facile realizzare un

film rispetto a prima, c’è una sottocultura che cresce, ma il

problema resta sempre la distribuzione. A volte non è

sufficiente realizzare un buon film. Lamberto Bava: Oggi il

cinema non è più lo spettacolo di cinquanta anni fa.

Andando a convention negli Stati Uniti e in Germania ho

potuto constatare che tantissimi fan vanno a chiedere

autografi agli autori dei videogiochi, non agli autori del

cinema.

Per quale motivo i tempi sono così lunghi tra i suoi film?

E quando vedremo in Italia Burying the Ex?

Joe Dante: I tempi sono lunghi per vari motivi. Ci vuole

tanto tempo per mettere su un progetto, ormai l’epoca

d’oro è finita. Tutti ci muoviamo per trovare soldi per girare

un film, questo vale per molti registi di oggi. Per quanto

riguarda Burying the Ex non so quando uscirà in Italia,

dipende da chi lo comprerà. La società di produzione sta

già facendo alcuni accordi, bisogna trovare un distributore.

Quale è la vostra sequenza preferita dei film di Mario

Bava?

Lamberto Bava: Una volta Joe Dante disse una cosa

molto intelligente in una intervista: per giudicare un regista

non è sufficiente vedere solo un suo film. Ma se devo

restringere il campo a solo una sequenza sicuramente

quella della goccia di acqua de I tre volti della paura è

incredibile; soprattutto la parte della donna morta durante la

seduta spiritica e della infermiera che va a vestirla.

Joe Dante: Sono d’accordo con Lamberto, quella

sequenza è la sintesi più perfetta del cinema di Bavaed è

meravigliosa da guardare. Un’altra scena che amo molto è

quella in cui il protagonista sembra cacciare qualcosa ma

capisce solo alla fine che sta cacciando se stesso. E’ una

sequenza che ancora oggi mi regala sempre un brivido.

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32° Torino Film Festival: film di ogni genereda Woody Allen al cinema horrordi Letizia Rogolino

“Nel corso di questi anni i vari Direttori del Torino Film

Festival hanno donato qualcosa di personale.  Nanni

Moretti il suo rigore, insistendo nel mantenere la specificità

del TFF come scoperta e ricerca di nuovi talenti.

Mantenere quindi una sua identità.  Gianni Amelio  la

passione per il cinema, non solo rivolta al cinema del

passato ma anche verso il futuro. L’intelligenza di Paolo

Virzì nel sottolineare invece la natura pop del festival. Se

dovessi pensare ad una mia caratteristica è la curiosità,

verso il nuovo e vecchio” ha dichiarato Emanuela Martini

alla conferenza stampa di presentazione del Torino Film

Festival. Per questa 32° edizione Paolo Virzì sarà Guest

Director poichè impegnato nella promozione del suo film Il

Capitale Umano che potrebbe rientrare nella cinquina degli

Oscar come Miglior Film Straniero, così la Martini in veste

di nuovo Direttore del festival, ha illustrato il programma

che prevede ben 197 titoli, che toccano tutti i generi

cinematografici, dall’horror alla commedia, dal thriller al

melò, dal film biografico al documentario.

Il Torino Film Festival si svolgerà dal 21 al 29 Novembre,

aprendo con Anna Mazzamauro che, in qualità

di Madrina della serata, introdurrà il filmGemma Bovery di

Anne Fontaine, con Gemma Arterton e Fabrique

Luchini protagonisti di una commedia francese frizzante e

divertente ambientata in un piccolo villaggio della

Normandia. Un fornaio appassionato di letteratura

comincia a fantasticare quando i suoi nuovi vicini di casa,

per assonanza dei nomi ricordano i personaggi del celebre

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“Michal C. Hall nel thriller Cold in Julye l’avventuroso The Rover

con Robert Pattinson e Guy Pierce”

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libro Madame Bovary. Come lo scorso anno in cui ha

aperto  le danze l’esilarante Last Vegas, anche questa

nuova edizione sceglie di iniziare all’insegna del sorriso,

mentre il film di chiusura è Wild, il nuovo film di Jean Marc

Vallèe, in cui Reese Whiterspoon lascia tutto per un

viaggio estremo dal Messico al Canada, a contatto con la

natura e non solo.

IN CONCORSO:

Anuncian Sismos di Rocio Caliri e Melina Marcow

As You Were di Jiekai Liao

The Babadook di Jennifer Kent

 Big Significat Things di Bryan Reisberg

The Duke of Burgundy di Peter Strickland

Felix & Meira di Maxime Giroux

For Some Inexplicable Reason di Gabor Reisz

Frastuono di Davide Maldi

Gentlemen di Mikael Marcimain

Mange Tes Morts di Jean Charles Hue

Mercuriales di Virgil Vernier

N-Capace di Eleonora Danco

Violet di Bas Devos

What We Do in the Shadows di Jemaine Clement e Taika

Waititi

The Kings Surrender di Philipp Leinemann

Tanti titoli interessanti anche nelle sezioni Festa Mobile e

After Hours che raccolgono thriller, horror e film per cinefili

e non, con la commedia italiana Ogni Maledetto Natale,

Could in July conMichael C. Hall, il film doppio The

Disappearance of Eleonor Rigby, una storia d’amore tra

Jessica Chastain e James McAvoy raccontata da due

punti di vista e già applaudito al Festival di Cannes, il

nuovo Tokyo Tribe del visionario e folle Sion Sono e tanti

altri che potete leggere nell’elenco completo sul sito

www.torinofilmfest.org.

Grande attesa poi per il nuovo film di Woody Allen Magic

in The Moonlight, con Emma Stone e Colin Firth, mentre i

nostalgici potranno gustarsi sul grande schermo le versioni

restaurate di Profondo Rosso e Via col Vento, due classici

da rivedere. Se non potete fare un salto a Torino, seguite

qui su NewsCinema.it il festival con news, recensioni,

interviste e tante curiosità.

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SERIE TV

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La serie tv di Steven Soderberghdall’11 Novembre su Sky Atlanticdi Carlo Andriani

E’ stata presentata in occasione della nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma la serie tv The Knick. Scritta da Jack Amiel, Michael Begler e Steven Katz, prodotta e diretta da Steven Soderbergh e interpretata da Clive Owen, André Holland, Jeremy Bobb , Jul iet Ry lance , Eve Hewson,Michael Angarano, Cara Seymoured Eric Johnson, The Knick racconta le vicende ai primi del Novecento del Knickerbocker Hospital, un ospedale dove si sperimentano procedure chirurgiche all’avanguardia per superare i limiti della medicina di quei tempi. Capo dello staff chirurgico è il dottor John Thackery (interpretato da Clive Owen e parzialmente ispirato al dottore

William Stewart Halsted), un geniale e ambizioso medico dipendente da alcol e droghe costretto a prendere il timone dell’ospedale in seguito al suicidio del suo precedente capo. Ma i veri problemi nascono quando viene assunto come suo dipendente il dottor Algernon Edwards (André Holland), un chirurgo di colore laureato ad Harvard che deve lottare per ottenere il rispetto del suo capo e di tutto l’ospedale, chiaramente impostato secondo le logiche razziste del tempo.Solitamente quando grandi registi producono o dirigono delle serie tv lo fanno per un numero limitatissimo di episodi, spesso addirittura solo per il pilot, in modo da lanciare nel migliore dei

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14 modi quello che potrebbe poi divenire un giorno uno show di successo. In questo caso le cose sono andate in modo ben diverso: innanzitutto Steven Soderbergh ha diretto tutti e dieci gli episodi della prima stagione di The Knick, caratteristica che garantisce ad una serie tv forse per la prima volta nella storia di avere l’impronta di un solo regista, un regista che non dimentichiamo ha vinto un premio Oscar nel 2001 per Traffic. In secondo luogo The Knick offre un quadro dettagliatissimo delle luci e delle ombre della vita medica di un tempo. Un tempo caratterizzato certamente da alcune delle più grandi scoperte scientifiche di sempre ma anche ricco di corruzione, disagi, scarsa igiene e poca etica del lavoro. Protagonista è il dottor John W. Thackery, interpretato dignitosamente da Clive Owen sulla scia di un suo “collega” contemporaneo, il dottor Housedi Hugh Laurie, di cui Thackery riprende il caratteraccio, le dipendenze da sostanze stupefacenti, la misoginia e ovviamente il razzismo, seppur qui logicamente più accentuato in nome dell’abbondante secolo che separa le due storie e i due ospedali. Ma protagonista è anche la medicina stessa, realizzata secondo le cure del dottor Stanley Burns, fondatore e CEO del The Burns Archive che ha lavorato a stretto contatto con la produzione per rendere le scene chirurgiche del telefilm il più strettamente vicine a quella che era la vita ospedaliera dei primi del Novecento.Ma non è tutto. Premesso che chi scrive non è un amante della filmografia di Soderbergh The Knick è un prodotto interessante proprio perché si distanzia dalle logiche patinate e commerciali dei numerosi telefilm d’oltreoceano per offrire uno show diverso, attento alle scenografie, ai costumi e alla fotografia, che Peter Andrews ha reso magnificamente alternando i colori dominanti sulla base delle ambientazioni delle scene. Se proprio dobbiamo

trovare un difetto a The Knick è il ritmo, talmente lento da rendere lo show a tratti noioso e poco godibile. Ma è un dettaglio su cui possiamo sorvolare in nome di un prodotto che porta di un ulteriore passo in avanti le serie tv, oramai approdate senza sfigurare a questa interessante nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.

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Come le è stato proposto di partecipare a questo progetto? E’ stato impegnativo affrontare un ruolo di questo genere?Conoscevo Steven solo di vista ma non ci avevo mai lavorato prima. Un giorno mi ha contattato dicendomi di leggere la sceneggiatura di The Knick. Inizialmente non volevo impegnarmi in una serie tv ma dopo aver letto lo script ho capito subito di voler prendere parte al progetto. Avevo già fatto film d’epoca ma mai interpretando un personaggio come John, un genio brillante che è allo stesso tempo un uomo arrogante, razzista e tossico. Tutta la serie è stata sviluppata con una grande attenzione ai dettagli, se fosse stata un film o uno spettacolo teatrale l’avrei fatta comunque.E’ stato difficile rendere il personaggio piacevole per il grande pubblico?Beh si, c’è un sottile equilibrio tra antipatia e simpatia in John. I personaggi vanno capiti, va capita la loro storia, i

loro punti deboli. Sono proprio questi aspetti che li rendono interessanti.Perché spesso i medici televisivi più sono arroganti e più piacciono?Quando si sviluppa una serie ambientata in un ospedale la posta in gioco è sempre molto alta. Noi parliamo in The Knick di un’epoca straordinaria per la medicina, un’epoca in cui ci sono stati progressi incredibili in tempi brevi. Il mio personaggio piace perché non è convenzionale, sarebbe stato molto meno interessante se fosse stato un uomo perfetto. Quando ho iniziato a fare l’attore volevo solo lavorare nel teatro, poi mi sono imbattuto in progetti cinematografici interessanti e ora in The Knick. La mia preparazione è sempre la stessa indipendentemente si tratti di cinema, tv o teatro.Come è stato lavorare in un set così realistico?Meraviglioso e gran parte del merito va a Steven Soderbergh perché lui faceva praticamente tutto, manovrava le luci, gestiva le riprese, si occupava del montaggio. Quando ho visto il prodotto finito sono rimasto sconcertato dal risultato finale. C’era una attenzione ai dettagli che toglieva il fiato. Sul set tutto sembrava reale, se aprivi un cassetto trovavi veramente oggetti antichi. Una esperienza veramente bellissima.Come è stato interpretare un personaggio dipendente da alcol e droghe?Il telefilm si basa su un personaggio realmente esistito. All’epoca si pensava che la cocaina fosse una sorta di anestetico, ci sono voluti anni per capire che era una droga. E’ stata una grande sfida interpretare John, una sfida tanto impegnativa quanto affascinante.Con quale regista italiano le piacerebbe lavorare?Ho amato moltissimo La grande bellezza quindi la risposta può essere solo Paolo Sorrentino.

“All’epoca si pensava che la cocaina fose un anestetico”di Carlo Andriani

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Per quale motivo le serie tv stanno diventando sempre più interessanti dei film?Dobbiamo innanzitutto ricordare che ormai lavorano nelle serie tv grandissimi registi del calibro di Steven Soderbergh. Poi in una serie tv c’è sicuramente più tempo per esplorare i personaggi, entrare a fondo nella storia, sperimentare di più. Non c’è il vincolo dei 90 minuti dei film.Per quale motivo The Knick è così cruento?Il telefilm è stato realizzato con una grande attenzione alla realtà di quei tempi. Volevamo ricreare fedelmente le operazioni chirurgiche che avvenivano ai primi del ‘900 e venivamo seguiti da un esperto in materia che ci suggeriva dettagli medici. Il nostro obiettivo era il realismo non la violenza gratuita.Cosa dobbiamo aspettarci dalla seconda stagione di The Knick?Steven tornerà a dirigere tutti e dieci gli episodi della serie. Cominceremo a gennaio e avremo modo di sviluppare la serie in modi veramente folli e stimolanti.

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“Ho amato moltissimo La Grande Bellezza. Tra i registi italiani vorrei lavorare con Paolo Sorrentino”

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THE VAMPIRE DIARIES

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E’ ufficialmente iniziata la sesta attesissima stagione di The Vampire Diaries. Sono passati ormai quattro mesi dagli eventi narrati nel season finale shock della precedente serie che vede Damon (Ian Somerhalder) e Bonnie (Kat Graham) tenersi per mano mentre l’Altro Lato collassa e svanire con esso. L’incantesimo che i Viaggiatori hanno lanciato su Mystic Falls grava ancora sulla città e gli storici eroi dello show sono tutti alle prese con i demoni di una nuova realtà che non hanno ancora accettato: Elena (Nina Dobrev) abusa di erbe magiche che le danno l’illusione di vedere il suo amato Damon; Jeremy (Steven R. McQueen) vive con Matt (Zach Roerig) e Tyler (Michael Trevino) e trascorre le sue giornate ubriacandosi e

andando a letto con tutte le ragazze che incontra; Stefan (Paul Wesley) lavora in un’officina fingendosi un comune essere umano e Caroline (Candice Accola) fa di tutto per annullare la magia dei Viaggiatori. Nel frattempo Damon e Bonnie sono intrappolati in una dimensione parallela che ripete all’infinito una giornata del 1994. Per fortuna ad aiutare tutti tornerà un personaggio particolarmente amato dello show, Alaric Saltzman (Matthew Davis), scampato alla distruzione dell’Altro Lato durante il season finale della precedente serie. Ma la sesta stagione di The Vampire Diaries vedrà l’arrivo anche di alcune interessantissime new entries: Gabrielle Walsh vestirà i panni di Sarah, una donna disposta a tutto per

Anticipazioni sesta stagione:inattesi ritorni, new entries e triangoli amorosidi Carlo Andriani

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portare a termine un piano oscuro, Colin Ferguson sarà Tripp, il capo di una milizia che ha come obiettivo principale la distruzione di tutti i vampiri che incontra sul suo cammino ed Emily Chang sarà Ivy una dolce ragazza dotata di un lato selvaggio inaspettato. E non è tutto. Nella prima parte della serie Carolineed Enzo (Michael Malarkey) cercheranno in tutti i modi di convincere Stefan a tornare a Mystic Falls. L’impresa sarà ardua ma darà modo ai tre protagonisti di conoscersi meglio e chissà, forse anche di innamorarsi: “L’inizio della stagione si incentra proprio sul tentativo di questi amici di ritrovarsi – spiega la produttrice e creatrice Julie Plec – se dovesse succedere qualcosa questo li allontanerebbe brevemente gli uni dagli altri. Parte del viaggio, durante la prima parte della stagione, si basa sull’importanza di esserci l’uno per l’altro”. Iniziata ben cinque anni fa, il 10 settembre 2009,The Vampire Diaries rimane una delle serie più seguite e amate degli ultimi anni. Da un paio di anni circolano voci su una probabile ma mai confermata uscita di scena di Ian Somerhalder

con annessa chiusura dello show. Ma la creatrice Julie Plec non sembra minimamente intenzionata a porre fine alle avventure dei sensuali vampiri di Mystic Falls: La chiusura dello show non è ancora in programma. Puoi chiedere a dieci persone diverse questa cosa e avrai dieci risposte diverse, riguardo a quanto tempo andrà ancora avanti lo show la Warner Bros direbbe “17 stagioni!” Io credo che direi “Sette!”. Presumibilmente faremo qualcosa che si avvicini ai miei desideri o ai loro, dipenderà dalle circostanze. Quindi per ora possiamo tirare un sospiro di sollievo e avventurarci per l’ennesima volta a Mystic Falls, sperando in un ritorno alle origini dello show.

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Intervista a Claudio Cupelliniregista di Gomorra - La Seriedi Letizia Rogolino

La serie evento dell’anno, ispirata all’omonimo libro di Roberto Saviano, continua a conquistare pubblico e critica, raccontando nel corso degli episodi, la guerra tra due clan rivali della camorra. Prodotta da Sky Atlantic, Cattleya e Fandango, in collaborazione con La7 e Beta Film, la serie italiana ha riscosso un notevole successo in ben 70 paesi e risulta attualmente un prodotto in grado di competere con il mercato internazionale. Nel cast Marco D’Amore che interpreta Ciro L’Immortale, Fortunato Cerlino nel ruolo del capo clan Don Pietro, Maria Pia Calzone e Salvatore Esposito, moglie e figlio del boss, e Marco Palvetti nei panni di Salvatore Conte, l’antagonista principale. Come spesso avviene per le serie americane più seguite, anche Gomorra - La serie vanta una regia corale, che comprende Stefano Sollima, Francesca Comencini e Claudio Cupellini.

Dopo aver portato sul grande schermo Una Vita Tranquilla e Lezioni di Cioccolato, Claudio Cupellini ha accettato la sfida del prodotto seriale, mettendo il suo talento al servizio di una storia avvincente, complessa, che affronta tematiche sociali imponenti e studia da vicino il problema della criminalità nelle zone più difficili di Napoli e dintorni. Abbiamo avuto il piacere di incontrare il regista, che ci ha raccontato questa esperienza e ci ha svelato alcune curiosità.1) Come sei stato coinvolto nel progetto di Gomorra - La Serie?Sono stato cercato da Cattleya e da Stefano Sollima. Credo avessero amato Una vita tranquilla e le sue atmosfere. Nonostante non fosse, in primo luogo, un film di genere, conteneva delle atmosfere che avrebbero potuto sposarsi bene con la serie di Gomorra. 

ESCLUSIVANE

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2) Avevi già pensato al mondo delle serie tv prima di questo?Precedentemente avevo ricevuto delle offerte, ma in alcuni casi non mi sembravano di grande qualità artistica, in altri c'era un problema di sovrapposizione con i miei progetti per il cinema. 3) Conoscevi il mondo descritto in Gomorra prima di affrontare questo progetto?Sì, anche se l'esperienza di Gomorra ha rappresentato un'immersione totale nel mondo già raccontato da Saviano e Garrone. Ho vissuto un anno a Napoli, e buona parte di questo tempo l'ho speso documentandomi e studiando il mondo e la materia di Gomorra. 4)  Avevi letto il libro di Roberto Saviano? Cosa hai pensato la prima volta?Avevo letto il libro e avevo conosciuto Roberto a Capua, proprio ai tempi dell'uscita del romanzo. Ne ero rimasto rapito e ammirato per la forza del contenuto e la ricchezza della sua penna. Ai tempi io giravo con la sceneggiatura di Una vita tranquilla sotto il braccio. Sembrano passati dei secoli. 5) Pensi che trasportare questa storia sia al cinema che in televisione possa avere qualche conseguenza

sull’andamento quotidiano di quel mondo e quelle zone?Non credo, anche perchè non ho mai pensato che un film, una serie o un romanzo debbano avere scopi pedagogici. 6) Cosa rispondi a coloro che accusano Gomorra - La serie di mostrare i personaggi sbagliati come eroi e dare il cattivo esempio?Credo sia una polemica vecchia e piuttosto usurata. Come tutti sanno, ogni forma d'arte ha sempre raccontato il mondo anche nei suoi aspetti più crudi e dolorosi. La storia del cinema e, prima ancora, la storia della letteratura, sono permeati di personaggi negativi. Si racconta l'animo umano, e l'animo delle persone racchiude anche aspetti e risvolti che affondano le loro ragioni nell'oscurità. 7) Pensi che le serie tv italiane possano essere sullo stesso piano di quelle internazionali, di alto livello e molto competitive anche con il cinema?Ne sono sicuro. L'importante è dare spazio a progetti coraggiosi, nuovi e non consolatori. Nel mercato televisivo lo spazio per una pluralità di racconti c'è, basterebbe avere il coraggio liberatorio per mettere in atto dei buoni propositi. 8) Qualcosa di interessante accaduto sul set di Gomorra - La serie?

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È stata un'avventura difficile e affascinante. Credo che la cosa più interessante sia stata la quotidiana conoscenza di un mondo e dei suoi abitanti. 9) Hai avuto il controllo del cast? Hai scelto tu i protagonisti principali e come?I ruoli principali erano stati scelti da Stefano Sollima, che aveva reclutato anche il mio amico fraterno Marco D'Amore, col quale avevo lavorato in Una vita tranquilla. Nei miei episodi ho curato la scelta del cast insieme al prezioso lavoro di Laura Muccino.10) Hai dei modelli internazionali di regia?Quando studiavo cinema ne avevo molti, oggi continuo ad amare i miei numi tutelari con lo stesso ardore, Truffaut, Malick, Scorsese, cercando di usare però la mia voce.

 

11) Quali sono i tuoi progetti futuri?Sto finendo di montare il mio nuovo film, Alaska, con Elio Germano e Astrid Bergès Frisbey, una giovane e talentuosa attrice francese. È una storia d'amore che si dipana nell'arco di cinque anni.12) Quali sono le difficoltà  maggiori nel realizzare una serie tv piuttosto che un lungometraggio?Non ci sono molte differenze. Ogni volta che vado sul set sento la responsabilità di raccontare bene e in maniera originale e toccante una storia. A volte hai più tempo, a volte meno. Tutto qui. Diciamo che, in una serie, fai parte di una squadra di regia e devi saperti relazionare e fondere con i tuoi colleghi pur mantenendo una tua propria cifra.  

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Le uscite di Novembre 2014in dvd e blu-raya cura di Ghita Stefania Montalto

TRASCENDENCE

Il Dr. Will Caster è uno dei più importanti studiosi dell'intelligenza artificiale, specializzato nello studio di PINN, un sistema altamente avanzato di computer, dotato di autocoscienza e basato sul cervello delle scimmie, che vengono utilizzate come cavie. Ma nel momento in cui un attentato, eseguito da una frangia terroristica, che ha l'obiettivo di bloccare lo sviluppo di queste nuove tecnologie, lo condanna a morte, la moglie decide di sottoporre la mente del marito allo stesso trattamento al quale viene sottoposto il cervello delle scimmie e caricarla quindi dentro PINN, sperando che così continui a vivere, utilizzando i computer al posto della materia grigia. L'esperimento ha un grande successo e la mente di Will Caster non solo riesce a vivere, ma acquista anche una rapidità e una potenza di calcolo straordinaria.

HOMEVIDEONE

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NYMPHOMANIAC - VOL 2

Joe continua il racconto della sua vita legata alla sessualità, mentre l'anziano Seligman sta ad ascoltarla. Dal suo racconto emerge così che il blocco dell'orgasmo con cui si chiudeva il primo volume continua e Jerome è costretto ad accettare che Joe cerchi altri uomini per provare piacere. Tutto questo però non le impedisce di avere un figlio, la cui presenza comunque non servirà affatto ad unire la coppia. Tra esperienze con africani ed esplorazioni del proprio versante masochistico, Joe scoprirà anche l'interesse per un rapporto lesbico.

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Prodotto dalla GK Films e dalla Sony P ictures, i l f i lm è l 'adat tamento cinematografico del musical di Broadway Jersey Boys, vincitore nel 2005 dei Tony Awards. Il film racconta la storia di Frankie Valli e dei Four Seasons, un gruppo di ragazzi provenienti da un quartiere povero, che in breve tempo diventano uno dei più grandi gruppi pop americani di tutti i tempi. Il gruppo ha venduto più di 175 milioni di dischi in tutto il mondo prima di raggiungere i trent'anni di carrierà. Sono presenti nel film le stesse canzoni utilizzate in teatro, ovvero Sherry, Big Girls Don't Cry, Oh What a Night e and Can't Take My Eyes Off of You.

PANE E BURLESQUE

Un paese del Sud Italia naviga in cattive acque: da quando la fabbrica di ceramiche Bontempi ha chiuso, i suoi ex operai giocano al fantacalcio nella storica sezione del centro gestita da Frida, una rappresentante sindacale impegnata nelle giuste cause, mentre la piccola merceria di Vincenzo e di sua moglie Matilde non è più in grado di andare avanti. Tutto sembra andare a rotoli quando, improvvisamente, un ciclone vero e proprio investe la vita tranquilla del paesino: Mimì La Petite, ovvero Giuliana, figlia della buonanima del Cavalier Bontempi, che torna in paese dopo piu` di vent'anni d'assenza, insieme alle Dyvettes, il suo gruppo di Burlesque, per vendere le proprietà di famiglia. Ma Le Dyvettes organizzano una truffa contro di lei e Giuliana, con il conto ormai in rosso, decide di mettere su un nuovo gruppo di Burlesque, reclutando tre paesane.

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14 GABRIELLE -UN AMORE FUORI DAL CORO

Gabrielle ha 20 anni, un deficit intellettivo e un grande amore, Martin. Vivace e dotata di un grande talento musicale, Gabrielle canta nel coro de Les Muses de Montréal e vive in un centro per ragazzi, che hanno il suo stesso deficit. Amata e legata a Sophie, la sorella maggiore, che sogna di raggiungere il fidanzato in India, Gabrielle ama ed è riamata da Martin. Contrastati dalla madre di Martin, Gabrielle e Martin vengono ingiustamente separati. Ma Gabrielle è decisa ugualmente a vivere una vita normale. Un concerto d'estate e una canzone di Robert Charlebois realizzeranno i suoi desideri e la sua voglia di indipendenza.

TUTTE CONTRO LUI

Bella, bionda e innamorata, Carly è un avvocato di successo che ama Mark. Parchi, terrazze, ristoranti, salotti, non c'è un luogo di New York in cui Carly e Mark non si siano incontrati e amati. Ma un giorno Mark annulla, con una scusa, la cena col padre di Carly e la ragazza scopre così che il suo fidanzato è in realtà già sposato con Kate, una casalinga semplice e credulona, che vive solo per il marito. Scosse dalla sconvolgente scoperta e dalle promesse tradite dall'uomo che diceva di amarle, le due donne decidono di confidarsi le rispettive pene, affogandole nell'alcol. Sorpreso con una terza donna, Carly, Kate e Amber, la nuova arrivata, decidono così di vendicarsi dell'uomo che amavano, progettando per lui un piano praticamente perfetto, che porterà il pluri-fedifrago nella totale disperazione.

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E ancora...NE

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